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Marianna de Leyva
Desiderato amore mio,
ho ancora il cuore in tumulto. Lo sento battere all'impazzata, così veloce da togliermi il fiato, così forte da rimbombarmi nelle orecchie. Le mani tremano e faccio fatica anche a scrivere, ma devo fissare sulla carta ciò che provo prima che possa dimenticare anche solo una briciola di questa smania.
Di fronte agli occhi ho quel muro che tante volte ho maledetto ed odiato perché mi separava dal mondo, e che ora benedico perché il mio mondo è tutto qui dentro, tra lo stormire degli alberi, l'odore degli agrumi ed il cinguettio degli uccelli. Oggi piove, ma mi è bastato intravedere il tuo viso oltre quel muro per sentire la vampata del sole di agosto.
Come devo sembrarti puerile, quanto infantili ti parranno le mie parole, ma io non so parlare di quell'amore che mi hanno insegnato a temere, e che invece è la più dolce delle torture.
Credevano che rinchiudendomi qua dentro io avrei dimenticato di esistere, ed è invece proprio in questo luogo che, grazie a te, ho iniziato a vivere. E tutta questa vita mi ubriaca, mi stordisce, mi dà la certezza di essere un gradino più in alto della meschinità di coloro che volevano dimenticassi persino il mio nome.
Ma io esisto, vivo, amo.
Da quando il tuo sguardo si è posato su di me sento la vita scorrere impetuosa sotto questo abito creato per mortificare, sotto questo saio che per troppo tempo ho vissuto come una prigione, come l'emblema del mio non esistere. Ed ora non la smetto di accarezzare la stoffa ruvida, il copricapo ed il soggolo soffocante, perché sono loro a preservare il mio corpo per te solo, ad impedire che le mie azioni quotidiane possano sporcare la mia pelle che da te solo vuole e deve essere sfiorata.
Se solo sapessero che mai come ora amo quel Dio che mi hanno imposto! Se solo immaginassero quanta gioia metto nel cantare la Sua gloria, proprio ora che ai loro occhi mi sono macchiata del più impudico dei peccati!
Quella fede che non ho mai avuto, quel Dio che altri non è stato che il mio carceriere, ora mi risuona dentro come una splendida melodia, perché chi, se non Lui, può aver trasformato il mio deserto interiore in amore sconfinato. Amore per te, che sei il mio angelo ed il mio demonio, il mio tormento e la mia estasi, il mio peccato e la mia assoluzione.
Qui dentro non vi sono specchi, la vanità viene costantemente umiliata, ed io cerco la mia immagine nell'acqua del pozzo, nell'opaco riflesso di un mestolo o di un secchio, e vedo un volto pallido e due occhi di brace. Non sono bella amore mio, un tempo lo ero, ma tra queste mura anche la bellezza è un peccato e non un dono di Dio, ed hanno tentato di rubarmela.
Ho paura. Paura che il tuo sia solo un gioco, che le tue promesse siano solo uno stratagemma per violare quello che non dovrebbe essere violato, che io per te sia solo un trofeo da inchiodare sul muro della tua camera da letto.
Non lo potrei sopportare, bada che ti ucciderei!!! Non mi importa nulla del voto infranto e della menzogna nella quale vivo. Non temo il giudizio degli uomini, e quello di Dio mi è indifferente. Temo solo di non poterti più rivedere, di non sentire più la mia pelle bruciare sotto le tue carezze, di non assaporare più la violenza dei tuoi baci.
Non ho paura dell'inferno, anzi, lo invoco, lo anelo, lo desidero, perché il calore eterno delle fiamme è simile a quello che pervade il mio corpo quando sei con me, perciò non voglio essere pura, non voglio essere casta né santa, perché la santità è fredda, mentre io non voglio mai smettere di bruciare.
Sta suonando la Sesta amore caro, devo andare. Ti prego, anzi, no... ti imploro, se mio vuoi un po' di bene, vieni da me stanotte. Fa che queste ore vuote abbiano un senso, che questo silenzio si riempia degli echi dei nostri sospiri, che il buio della notte non sia solitudine.
Ti aspetto Giovan Paolo mio, ti aspetterò per sempre.
Tua
Marianna de Leyva
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