L'idea di raggiungere gli amici alla Bishop's Valley era stata di Dawson. La Seat proseguiva lentamente sulla strada sterrata, e i rami degli alberi a lato graffiavano di tanto in tanto il tettuccio della vettura. Seduta di fianco al suo ragazzo, Sarah Lever sbuffava sperando che quella giornata finisse presto. I motivi erano due: il giorno dopo sarebbe dovuta andare vedere la recita della sua sorellina, poi, raggiungere gli amici di Dawson in montagna, significava assorbire la presenza di sua cugina, che non riusciva a stare zitta nemmeno per un istante. Era un sabato pomeriggio, e il sole era scomparso da circa venti minuti dietro alle vette delle montagne circostanti. Una buca fece sobbalzare l'auto, e Sarah lanciò uno sguardo al suo ragazzo.
Dawson Queery si sistemò il cappello rosso sulla testa, rimanendo con lo sguardo fisso sul tragitto.
- Amore, ti prometto che ti divertirai.
Sarah fece una smorfia. - Immagino.
- Mi farò perdonare.
- Spero solo che tu e i tuoi amici resterete sobri.
- Non ti fidi?
- Diciamo che ho qualche dubbio-, rispose lei guardando dal finestrino.
Sarah era una ragazza modello, ottimi voti a scuola, un lavoro sicuro come psicologa, e vantava un fisico da urlo: alta, capelli biondi con una frangia che ricadeva sugli occhi, e un naso a punta che le faceva mantenere il classico viso da adolescente, pur essendo ventitreenne da pochi mesi. Lei e Dawson si erano conosciuti due anni prima in un pub a Crowley City, nel Massachusetts, e per Sarah era stato amore a prima vista.
Dawson era il classico stallone che faceva girare la testa a ragazze con un fisico spettacolare ma senza cervello. Sarah invece era una via di mezzo: un fisico stupendo, e un'intelligenza altrettanto invidiabile.
- Questa zona è la più isolata della contea-, spiegò lei portandosi i capelli dietro alle orecchie.
Dawson annuì. - Qui intorno non abita più nessuno da molti anni.
- Ci sono solo radure, alberi e montagne.
- Guarda il lato positivo tesoro-, continuò il suo fidanzato, - potrai stare in un posto tranquillo in mia dolce compagnia.
Sarah sorrise squadrandolo, era proprio il ragazzo adatto a lei: muscoloso, un viso spigoloso con gli zigomi evidenti e capelli corti neri.
La Seat rallentò per fare una curva a gomito.
- Sembra la strada che porta al castello di Dracula.
- Sarah non iniziare con le tue fantasie, sai benissimo che non mi spaventi.
Lei sorrise alzando le spalle.
- Eppure dovresti sapere che questa zona è considerata maledetta da molte persone.
Dawson scosse la testa restando concentrato sulla guida.
- L'anno scorso è stato ritrovato il cadavere di una ragazza nel bel mezzo del bosco: il viso era sfigurato.
- Ecco la statua!
A una ventina di metri davanti a loro, sovrastata da rami che le ricadevano sul fronte, una donna in pietra scrutava la strada.
- Bob mi ha detto che una volta giunti alla fontana dalla donna, mancano solo sei chilometri per arrivare al suo chalet.
- Perfetto, non ne potevo più di rimanere seduta!
La Seat riprese velocità ronzando.
Rachel Bennett aprì gli occhi sentendosi confusa. Aveva la nausea, e percepiva la voce di due uomini non lontano da lei. Dov'era? Era ancora all'università? Scrollò la testa cercando di focalizzare. Si trovava in una macchina, sul sedile posteriore, e aveva le mani legate dietro alla schiena. Poi ancora quelle voci. Finalmente riuscì a inquadrare la scena, lanciò un'occhiata dal finestrino, vedendo alberi e distese radure che passavano velocemente. Aveva la fronte sudata, e i capelli neri erano in parte appiccicati sulle tempie.
- Si è svegliata Bill!-, disse l'uomo al posto del passeggero.
Rachel corrugò la fronte sentendo poi un lieve dolore all'altezza del sopracciglio destro. Dallo specchietto retrovisore vide il livido rossastro: ora ricordava!
Era stata rapita, e adesso si trovava in balìa dei due sequestratori. Trasse un lungo respiro e si riaddormentò.
Sarah aprì gli occhi sentendosi rintontita. Dal finestrino vedeva solo alberi da circa tre ore, e adesso stava cominciando davvero a stufarsi. Infossò il collo nella giacca nera e restò con lo sguardo davanti a sé, sperando di vedere lo chalet di Bob tra pochi minuti.
- Dovremmo essere quasi arrivati-, disse Dawson inarcando le sopracciglia.
- Lo spero, perché non ne posso più.
- Stai male?
Sarah alzò le spalle. - Diciamo che sto morendo di noia.
- Nello chalet di Bob ci sono più di tre camere, sai che cosa significa questo?
- No, che cosa?
Ci fu un attimo di silenzio.
- Significa che potremmo spassarcela sotto le coperte.
Sarah si fece scappare un sorriso scrollando la testa.
Era tipico di Dawson fare certe frasi, e molto spesso venivano a crearsi dei doppi sensi.
La Seat rallentò di nuovo fino a fermarsi. Sarah inarcò le sopracciglia.
- Che cosa succede?
- Dannazione, Bob non mi aveva detto che la strada si diramava.
In effetti, a cinque metri davanti a loro, la strada diventava una lingua biforcuta, e non c'era nemmeno un cartello che desse indicazioni.
- E adesso?
- Sta calma Sarah, fammi ragionare.
- Comincia a fare buio amore!
Dawson annuì togliendosi il cappello dalla testa. Era vero, dal finestrino gli alberi cominciavano a diventare indistinguibili, e stava salendo una sottile nebbiolina tipica della zona.
- Chiama Bob.
- Giusto, è l'unica soluzione.
Dawson prese dalla tasca destra dei jeans il cellulare e selezionò il numero del suo amico.
La casa era lì, in quella radura circondata da alberi. Aveva fame, una fame terribile. Da oltre cent'anni, non aspettava altro di sentire voci che si avvicinavano, di poter sentire passi sulle scale, e il rumore delle porte che venivano chiuse. In quella dimora erano accaduti fatti orribili, episodi che erano talmente forti da ripetersi nel tempo, e che avrebbero facilmente sconvolto la vita di estranei. Da circa quaranta metri, s'intravedeva la sagoma scura a due piani, il tetto a due falde malandato, e un pino vicino a essa che graffiava la parete est con i suoi rami. A venti metri invece, appariva il portico di legno, con i pilastri che sostenevano il balcone al secondo piano. Sotto il porticato c'erano sedie, tra cui una a dondolo, e sull'angolino destro un vecchio pupazzo annerito dalla polvere. Dal fuori nessuno si sarebbe mai immaginato che genere di casa era. Traeva in inganno i poveri malcapitati e una volta dentro, l'orrore avrebbe segnato le loro vite: già, perché quella non era per niente una casa normale.
Aveva fame. All'interno, tra le camere del secondo piano, la voce di una bambina cercava aiuto, ma di preciso non si poteva localizzare. Poi, scendendo dalle scale di legno, strane ombre passavano dal soggiorno alla cucina, e silenziosamente macchiavano il pavimento di sangue. Sangue vecchio oramai.
Scendendo nello scantinato, si sentivano dei fruscii, come se qualcuno fosse nascosto dietro ai vari attrezzi da giardinaggio. Risalendo di sopra, si sentivano rumori di passi veloci al secondo piano: ora più che mai si sentiva la voce della bambina che piangeva.
Poi, tornando di fuori e riguardando la casa da lontano, si poteva notare la sagoma di una bambina vestita di bianco, che da una delle finestre del secondo piano scrutava davanti a sé.
Benvenuti a Bishop's Ville.
Charles Kauffman tirò il freno a mano sterzando lievemente a sinistra. Doveva assolutamente prendere quei due bastardi. La sirena della sua auto echeggiava nel bosco, e le ruote sollevavano un gran polverone. I due sequestratori non dovevano essere molto distanti, ma Charles sapeva benissimo che non si sarebbero arresi tanto facilmente. Certa gente, a sua detta, non avrebbe mai capito che fuggire dalla polizia non serviva a niente, anzi, peggiorava solo la situazione. Sterzò bruscamente a destra senza fare staccare gli pneumatici dal terreno. Quella ragazza, Rachel, doveva essere ancora viva, almeno lo sperava.
Tutto era successo un'ora prima, mentre stava pattugliando la zona industriale, vicino all'università. Quei due bastardi avevano agito con molta rapidità: si erano accostati alla ragazza, le avevano messo un fazzoletto alla bocca per farla addormentare, e poi in tutta tranquillità l'avevano caricata sui sedili posteriori.
Quei vermi però non erano stati attenti a lui, Charles Kauffman!
E da quel momento era iniziato l'inseguimento.
I due avevano abbandonato la cittadina, dirigendosi verso la Bishop's Valley, una gola isolata nel Massachusetts. Charles sapeva chi era quella ragazza: Rachel Bennett, la figlia di uno dei più importanti avvocati di Crowley City, e questo poteva spiegare il perché del sequestro.
Comunque aveva già affrontato situazioni di questo genere, e sapeva come doveva comportarsi. Era una quarantaduenne di colore, e alle spalle aveva un'esperienza oramai più che ventennale.
Aveva deciso di fare il poliziotto già all'età di nove anni, quando un ubriaco aveva investito suo padre senza neppure fermarsi.
Quel lavoro gli piaceva, perché era razionale, e Charles non si definiva un uomo di ampie vedute. A lui non piaceva la fantasia, perché lo avrebbe distratto da ciò che aveva sotto gli occhi.
- Dannazione, dove sono finiti quei maledetti?
Si passò una mano sulla fronte restando concentrato sulla guida. Fece un'altra curva a destra sentendosi deciso più che mai. I due bastardi stavano di sicuro cercando un posto tranquillo per chiamare e chiedere un riscatto ma Charles glielo avrebbe impedito. Digrignò i denti accorgendosi che stava iniziando a piovere. Era l'unico poliziotto che si trovava in quella zona, un posto isolato nel bosco, dove nessuno avrebbe potuto dargli la mano. In qualche modo, cercò di sentirsi sicuro stringendo le mani sul volante. Poi, svoltando a sinistra, intravide due fari rossi degli stop. Eccoli, ora gli era alle calcagna.
Accelerò ingranando la terza.
- Che cosa ti ha detto Bob?-, chiese Sarah alzando le spalle.
Dawson rimise il cellulare in tasca. - Ha detto di prendere la strada che gira a destra.
- Sta iniziando a piovere, tra poco non vedremo più niente talmente sarà buio!
- Cerca di calmarti, tra poco saremo a destinazione.
Sarah inarcò le sopraciglia. - Lo spero.
Adesso la pioggia tamburellava sulla carrozzeria dell'auto ferma, e sul parabrezza si vedevano dei cerchi d'acqua che colavano sul cofano.
- Siete stati al telefono per venti minuti, che cosa ti ha detto?
- Che ci stanno aspettando, e che hanno già preparato un'ampia scelta di alcolici.
Sarah corrugò la fronte. - Alcolici?
- Già, un piccolo aperitivo.
- Lo sapevo, mi avevi promesso che non avreste bevuto!
- Sarah, amore, ti avevo promesso che non sarei stato ubriaco, nient'altro.
Lei non rispose sbuffando. Sapeva che sarebbe finita così, oramai lo conosceva da tanto tempo, e le promesse che faceva non si realizzavano quasi mai.
Ripensò alla volta in cui l'aveva conosciuto.
" Stai tranquilla Sarah, è un ragazzo perfetto, bello e intelligente", questo era ciò che gli avevano detto le sue amiche, e lei naturalmente era stata talmente ingenua e infatuata da cascarci.
Comunque a lei Dawson piaceva moltissimo, si trovava bene con lui, e a detta di molti, formavano una bella coppia.
- Pronta a ripartire?
Lei annuì tenendogli il broncio.
La Seat ripartì con un ronzio, imboccando la strada sterrata che girava a destra.
Sarah s'infilò in bocca una caramella alla liquirizia, seguendo con gli occhi il movimento dei tergicristalli. Sapeva benissimo che Dawson si sarebbe ubriacato a quella festa, ma dopotutto, l'idea non gli dava poi così fastidio. Probabilmente sarebbe stato peggio trovarlo in una stanza assieme a due ragazze, ma anche questo non poteva succedere: a quella festa c'erano solo coppie.
- Sei mai passato prima d'ora da queste parti?
Dawson scosse il capo. - Mai, è la zona più isolata della contea.
- Infatti, e noi ci siamo proprio in mezzo.
Seguì un attimo di silenzio.
- Ancora con questa storia? Devi avere un po' di pazienza.
- È da più di tre ore che viaggiamo nel bel mezzo del bosco: abbiamo incontrato solo radure e alberi, neppure un piccolo paesino!
Dawson sorrise. - Sei proprio insopportabile, lo sai?
- In questa situazione ritengo che sia più che normale!
- Invece di assillarmi, perché non mi tranquillizzi raccontandomi cosa ti piacerebbe fare una volta che saremo sotto le coperte di un letto caldo?
La sua ragazza non rispose respirando profondamente. Ora stava cominciando a piovere a catinelle, e tra non loto la visibilità sarebbe svanita. Forse avrebbe dovuto dare retta a sua madre, che glia aveva sconsigliato di andare con Dawson. Ma lei non era di certo la ragazza che mollava il fidanzato perché sua mamma faceva storie.
- La strada sta diventando fanghiglia.
- Allora rallenta.
Dawson fece un cenno col capo scalando in prima. L'auto sforzò, accennò a fermarsi e poi proseguì con il solito ronzio.
- Ancora qualche altra curva e saremo arrivati. Non vedo l'ora.
- Ehi Bill, si è di nuovo addormentata.
Alla guida, Bill Jenson continuava a guardare dallo specchietto retrovisore. Era stanco, stava facendo buio, pioveva, e avevano rapito una ragazza.
- Hai capito Bill?
- Si che ho capito, tappati quella boccaccia Tyler!
L'auto sterzò bruscamente per fare una curva.
- Credo sia meglio lasciare la macchina qui e scappare nel bosco!
- Ti sei forse bevuto il cervello dannazione? Quel poliziotto ci sta alle calcagna!
Sul sedile del passeggero, Tyler Mason cercava di rimanere calmo accendendosi l'ennesima sigaretta. L'idea di rapire quella ragazza era stata di Bill, non sua. Lui non la conosceva nemmeno quella, e pertanto aveva accettato solo per dividersi i soldi del riscatto. Tutto qui.
Conosceva Bill da tanto tempo, e sapeva che era un tipo pericoloso, e piuttosto che contraddirlo, avrebbe fatto il suo leccapiedi finché l'avesse desiderato.
- Pioggia di merda, rende tutto più complicato!
La voce di Bill rimbombò nella testa del suo socio con un boato. Faceva paura solamente a guardarlo in faccia. Tyler si voltò a guardare quella ragazza.
Era distesa sui sedili posteriori con una mano sotto la guancia sinistra: dalla fronte, il punto in cui Bill l'aveva colpita, scendeva un rivolo di sangue secco.
Quella ragazza, Rachel, era la figlia di un un'importante avvocato, chi aveva fatto chiudere la ditta dove lavorava Bill.
"Maledetto! Giuro che gliela farò pagare", aveva esclamato mentre aspettavano che la ragazza uscisse dall'università. E così fu.
Tyler non si sentiva per niente convinto di ciò che avevano fatto, dopotutto se l'affare non fosse andato in porto, avrebbero finito entrambi i loro giorni all'interno di una cella quattro per quattro.
Il suono della sirena si fece più intenso.
- Dannazione! Aumenta la velocità Bill!
- Quel maledetto poliziotto! Dobbiamo seminarlo!
Bill spinse il pedale del gas più forte e l'auto salì velocemente di giri.
- Ehi Tyler, sai una cosa?
L'altro annuì.
- Penso che due milioni di dollari siano troppo pochi da chiedere a quel verme!
Scoppiarono entrambi in una goffa risata.
- Facciamo quattro-, continuò Tyler, - anzi, cinque!
Da dietro provenne un lamento.
Con gli occhi lucidi, Bill lanciò uno sguardo allo specchietto retrovisore: la ragazza si era svegliata di nuovo, e sembrava lamentarsi per via del nastro isolante sulla bocca.
- Lasciala parlare, sentiamo cosa ha da dire.
Seguendo l'ordine, Tyler gli tolse il nastro isolante. Rachel scosse la testa confusamente, poi focalizzò il volto davanti a lei che la fissava.
- Chi siete? Dove sono?
Bill fece un sorriso restando concentrato sulla guida, quel dannato poliziotto non poteva essere che a cinquanta metri dietro di loro, e il suono della sirena lo rendeva nervoso.
- Non preoccuparti Rachel-, disse Tyler passandosi una mano sul mento, - non ti faremo del male.
- Lasciatemi subito andare, oppure!
Bill sorrise di nuovo. - Oppure che cosa? Chiamerai il tuo paparino?
- Esatto, e sarà peggio per voi!
- Non credo proprio cara. Vogliamo solo chiedere qualche spicciolo a tuo padre: poi non ci servirai più.
Rachel iniziò a piagnucolare sistemandosi i capelli neri sulle spalle. Suo padre non avrebbe mai permesso una cosa del genere. Era l'avvocato più importante della sua cittadina, figuriamoci cedere a un riscatto!
Però c'era di mezzo lei, sua figlia, e a quest'ora l'FBI doveva già essere al lavoro. Poi, come a conferma della sua idea, udì il suono di una sirena: la polizia!
- Non avete scampo, la polizia vi prenderà maledetti!
Tyler accartocciò il pacchetto di Winston blu sul cruscotto. - Ha ragione Bill! Muoviti, vai a tutto gas!
- Non è un'autostrada! Vuoi per caso schiantarti contro un albero?
- Frena!
L'auto rallentò bruscamente.
- Amore, che cosa ti prende?
Sarah trasse un lungo respiro rilassandosi sul sedile.
- Andavi troppo veloce!
- Sono capace di guidare, e vorrei raggiungere lo chalet di Bob prima di domani mattina.
- Certo, speriamo di arrivarci vivi!
L'auto riprese velocità facendo una curva a sinistra. Dai finestrini si vedevano solo alberi e prati: non avevano più incontrato una casa dopo essere usciti dalla superstrada.
- Adesso stai iniziando davvero a stufarmi Sarah! Dovevi rimanere a casa!
- Certo, scusami di essere venuta, la prossima volta ti lascerò solo in compagnia dei tuoi amici!
Ci fu un attimo di silenzio. Dawson allungò la mano accendendo la radio, ma l'unica cosa che si sentì fu un lungo ronzio. Gli dava fastidio pensare che la sua ragazza era venuta solo per tenerlo d'occhio. Che razza di relazione era la loro?
Lui si fidava cecamente di Sarah, e sperava di sentirsi dire il contrario anche da lei. E poi, lasciare Sarah sarebbe stato un grosso errore, e a lui non piaceva commettere sbagli su questo genere di argomento.
- Mi dispiace, scusa, non volevo contraddirti.
Sarah inarcò le sopracciglia.
- Neanche io, sono solo un po' nervosa.
- Per che cosa?
- Non lo so, una sensazione. Sarà perché ci troviamo nel bel mezzo del bosco e sta piovendo.
Dawson fece un sorriso. - Tra poco saremo arrivati, no ti preoccupare.
Ingranò le terza facendo slittare le gomme.
Sarah strizzò gli occhi e vide la sagoma che giaceva in mezzo la strada.
- Presto frena!
Dawson sobbalzò notando il tronco d'albero caduto in mezzo alla strada e premette il piede sul freno. La Seat sbandò prima a destra, poi continuò diritta slittando. Colpì il tronco passandoci sopra, poi fece un testa coda andando a finire contro un albero con un tonfo.
Il parabrezza dell'auto era andato in frantumi, e i vetri erano ricaduti all'interno, ricoprendo la maggior parte dell'abitacolo. Sarah riprese conoscenza avvertendo immediatamente un dolore al collo. Che cosa era successo? Trasse un lungo respiro sperando di non essersi rotta nessuna costola. No, non sentiva nessuna dolore.
- Dawson.
Nessuna risposta. Voltò lentamente la testa: il suo ragazzo era un peso morto e la testa poggiava sul volante. Entrambi erano ricoperti di vetro e la pioggia zampillava sulle loro cosce. Ora ricordò! Il tronco in mezzo alla strada, gli erano andati addosso.
Guardò davanti a sé e vide l'albero contro il quale si erano schiantati. Poi il panico prese il sopravvento su di lei.
- Dawson!
Lo scrollò con le mani e dopo qualche istante si sentì un flebile lamento.
- Come stai?
Il ragazzo si tirò su digrignando i denti.
- Mi sento a pezzi.
- Dobbiamo uscire!
Con riluttanza, Dawson aprì la portiera e cadde a terra inzuppandosi di fanghiglia.
- Arrivo amore!
Sarah scese velocemente e lo aiutò a rimettersi in piedi.
- Ora che facciamo?
- Prendi il mio cellulare e chiama Bob, digli che abbiamo avuto un incidente!
- Ho paura Dawson, vedrai che resteremo bloccati!
- Presto, chiama Bob.
Sarah prese il cellulare selezionando il numero di Bob, mentre la pioggia rigava il piccolo schermo. Poi da destra s'intravide un chiarore che si avvicinava sempre di più. Era una macchina, e andava abbastanza veloce.
Sarah si mise in mezzo alla strada iniziando a fare cenni di aiuto. L'auto dapprima sterzò, per poi fermarsi.
- Dio ti ringrazio!-, esclamò Dawson alzando la testa al cielo.
Dall'auto uscirono due uomini, il primo molto alto e robusto, mentre il secondo magro, e sembrava essere abbastanza nervoso.
- Aiutateci-, disse Sarah andandogli incontro, - abbiamo avuto un incidente!
- Sta zitta!-, esclamò quello più robusto puntandogli addosso una pistola. Sarah impallidì bloccandosi di colpo.
- Tyler prendi la ragazza!
- Ma Bill, la strada è bloccata da quell'albero, e in più abbiamo uno sbirro alle calcagna! Non riusciremo mai a scappare!
- Fai come ti ho detto!
- Vi prego, non fateci del male-, disse Sarah sentendo le gambe tremargli.
Dawson intanto si era appoggiato contro la portiera, e non aveva ben inquadrato la situazione: con fatica si avvicinò alla sua ragazza mettendosi davanti.
- Che intenzioni hai ragazzo?-, chiese Bill inarcando le sopracciglia. Teneva impugnato un revolver a pochi centimetri dalla copia.
- Lasciateci andare, non diremo niente.
- Ma sentitelo! Ragazzo tu sai già troppo!
Da dietro arrivò Tyler, e teneva per un braccio una ragazza dai lunghi capelli neri.
- Lasciatemi andare subito!
- Ma chi siete voi?-, chiese Dawson inarcando le sopracciglia.
- Questo non ha importanza ragazzo-, spiegò Bill con la pistola spianata davanti a sé, - e non fare altre domande, chiaro?
- Dannazione Bill! Quel poliziotto sarà qui a momenti, ci prenderà! E sta cominciando a piovere a dirotto!
- Sbrighiamoci, dobbiamo addentrarci nel bosco, lì non ci troverà!
Sarah scosse la testa piagnucolando.
- E che cosa ne facciamo di loro?-, chiese Tyler nervosamente.
- Verranno con noi, poi ce ne libereremo! Sento già il profumo dei soldi!
- La pagherete cara!-, disse Rachel.
- Forza, andiamo!-, strillò Bill puntando la pistola contro Dawson.
Uscirono dalla strada sterrata addentandosi nel bosco.
Charles scalò in seconda per fare una curva a gomito, e l'auto emise degli stridii. Non era mai passato con la macchina da quella zona, e non l'avrebbe mai fatto se non ci fosse stato un valido motivo! Ma dove diavolo erano finiti? Eppure gli era alle costole! Sgranò gli occhi per vedere meglio dal parabrezza. Quella dannata pioggia rendeva il tutto più difficile!
Tossì portandosi alla bocca la radio.
- Centrale, qui Charles, mi sentite?
Ci fu un lungo ronzio
- Si Charles ti sentiamo, ma che fine hai fatto?
- Sto inseguendo i due sequestratori, ci stiamo inoltrando nella Bishop's Valley, e mi servirebbero dei rinforzi.
La voce della donna si fece più intensa.
- D'accordo, avverto alcune pattuglie, ti farò raggiungere.
Charles annuì. - Questa zona è un maledetto labirinto!
Poi appese la radio scuotendo nervosamente la testa. Passò nuovamente una mano sul parabrezza appannato e vide qualche cosa in mezzo alla strada.
Erano due macchine, la prima una Seat schiantata contro un albero, mentre la seconda dei sequestratori: una T-bird rossa.
- Che diavolo è successo?
Tirò il freno a mano e scese cautamente. Sfilò la Smith & Wesson dalla fibbia e si guardò attorno, cercando di chiarire la dinamica dell'accaduto.
Era possibile che avessero fatto un incidente? Squadrò la macchina dei sequestratori: no, non c'era neppure un graffio.
La Seat invece aveva il muso in frantumi. Poi finalmente vide il tronco sulla strada quindici metri dopo.
- Dannazione!-, esclamò guardandosi attorno. Dovevano essere scappati nel bosco, e probabilmente avevano obbligato le persone che guidavano la Seat a seguirli.
Rapidamente tornò alla sua vettura prendendo la ricetrasmittente.
- Centrale, sono ancora Charles, i due sequestratori sono fuggiti nel bosco, cerco di inseguirli, ho bisogno di rinforzi, passo e chiudo.
Trasse un lungo respiro uscendo dalla strada sterrata: gli alberi erano maledettamente fitti, ma si potevano notare diverse impronte sul terreno.
- Preparatevi, Charles Kauffman sta arrivando!
Sarah tossì cercando di non perdere l'equilibrio. C'erano alberi ovunque, e il percorso era difficile per via delle radici che sbucavano dal terreno.
- Muovetevi dannazione!-, esclamò Bill premendo la pistola contro la schiena di Dawson.
- Vi prego, non fateci del male!
- Non vi uccideremo-, rispose Tyler tenendo le mani serrate sui polsi di Rachel.
- Sta zitto! Preoccupiamoci solo che i soldi giungano nelle nostre tasche!
Rachel esitò. - Mio padre non vi darà un bel niente!
- Invece sì ragazzina!
- Ascolta Bill, dove stiamo andando? Perché non ci fermiamo, contattiamo suo padre e la facciamo finita!
- Tyler quel maledetto poliziotto ci starà cercando di sicuro, non possiamo rischiare!
Rachel fece una smorfia.
- E allora che intenzioni hai? Finiremo per perderci in questo posto dimenticato da Dio!
Dawson si voltò. - Perché non ascolti il tuo amico?
- Tu sta zitto ragazzo! Continua a camminare!
Sarah si passò una mano sul viso, sentendo le lacrime tagliargli la pelle fredda. Che fine avrebbero fatto?
Voleva dire qualche cosa, in fondo lei studiava psicologia, quindi avrebbe potuto inventarsi qualche tipo di gioco per risparmiare tempo.
Decise di farlo.
- Chi è la ragazza che è con voi?
- La nostra assicurazione-, rispose Tyler sogghignando.
Dawson gli lanciò uno sguardo, per paura di fare innervosirei due.
- Come ti chiami?
- Rachel-, disse trattenendo le lacrime a stento.
- Io invece sono Sarah.
- Insomma, volete piantarla?-, intervenne Bill agitando la pistola a destra e manca. - Mi state facendo innervosire!
- Perché l'avete rapita?-, chiese Dawson sentendo la canna della pistola premere sulla schiena.
- Secondo te? Per soldi!-, sghignazzò Tyler.
Ora davanti a loro, gli alberi diventavano meno fitti, e c'era una radura con l'erba che arrivava fino alle cosce, e in fondo c'era una...
- Quella è una casa-, disse Bill entusiasta.
Sembrava un'abitazione fantasma, e comunque rovinata dal tempo.
- Ci sarà qualcuno?-, chiese Tyler respirando profondamente.
- Non credo, non si vede alcuna luce, muoviamoci, entriamo la dentro, chiamiamo il paparino di Rachel, e facciamola finita!
Con più ci si avvicinava, più la sagoma della casa diventava chiara: era a due piani, c'era un vecchio di legno che dava sull'ingresso, e un albero sull'ala est, graffiava la parete con i suoi rami.
- E se ci fosse qualcuno?-, chiese Dawson ansimando. Bill non rispose sorridendo.
Sarah camminava lentamente, sentendo i fili d'erba accarezzargli i jeans. Aveva paura, quei due pazzi avrebbero fatto di tutto per portare a termine il loro piano. Ora erano circa a venti metri dall'abitazione, e la pioggia andava aumentando sempre di più.
- Ci siamo-, disse Bill squadrando l'abitazione. Da un ramo dell'abete vicino alla casa, penzolava una corda che reggeva un asse di legno.
Un'altalena.
Bill si rivolse a Sarah. - Vai avanti tu ragazzina! E non fare scherzi!
Rachel alzò lo sguardo al secondo piano, notando una figura vestita di bianco che la fissava da una finestra.
- Ehi ci sono persone!
Bill corrugò la fronte, guardando nella stessa direzione: c'erano solo finestre, e non si vedeva l'ombra di nessuno.
- Stai forse cercando di fare la furba eh? Con me non funziona! E tu muoviti, apri la porta!
Sarah esitò salendo i gradini del portico. C'erano sedie impolverate e foglie che ricoprivano il pavimento di assi in legno.
Provò la maniglia, e la porta si aprì cigolando. A quel punto, Bill fece segno a Tyler di entrare.
L'interno era buio, e ogni tanto era illuminato dalla luce dei lampi. Erano nel soggiorno, e schiarendo le pareti con le torce elettriche, videro un vecchio camino, alcuni quadri, e un pendolo messo contro alle scale che portavano al secondo piano.
Bill tolse delle lenzuola da una poltrona, e ci si buttò sopra ridendo.
Tyler scosse la testa. - Sbrighiamoci Bill! Chiamiamo per i soldi e andiamocene!
- Non avere fretta amico mio.
Poi si rivolse a Sarah e Dawson.
- Voi due, andate al di sopra e assicuratevi che non ci sia davvero nessuno, e se fate scherzi, sarà la vostra fine, intesi?
Sarah deglutì e tenendo per mano il suo ragazzo, salì pesantemente le scale.
Il secondo piano era ancora più buio, e il pavimento scricchiolava a ogni passo.
C'erano due camere a destra e tre a sinistra. Era buoi, e ci si vedeva a malapena.
- Dobbiamo trovare un'uscita-, disse Dawson nervosamente.
- Hai intenzione di farci uccidere?
- Lo faranno comunque! Forse riusciamo a calarci da qualche finestra!
Sarah scosse la testa. - Ci prenderanno amore! Dobbiamo tener duro, hanno detto che un poliziotto gli stava alle calcagna.
- Già, e tu credi che riesca a trovarci?
- Forse.
Dawson scosse la testa nervosamente.
- Coraggio, controlla una di quelle camere, io vado in questa.
Sarah entrò lentamente scrutandosi attorno. Puntò la torcia davanti a sé illuminando un letto, il materasso era pieno di tagli e ricoperto di polvere. C'erano un piccolo armadio, e una scrivania posta a lato della finestra.
Si avvicinò guardando fuori. Il tempo stava peggiorando, ora c'era il vento e sembrava che sul vetro stesse scorrendo un fiume.
Volandosi, vide qualche cosa sulla scrivania scheggiata: un diario.
Lo prese in mano aprendolo lentamente. Le pagine giallastre erano quasi tutte bruciacchiate, e le scritte erano state fatte in corsivo.
Sarah si mise a sedere sul letto, e all'improvviso sentì di avere schiacciato qualche cosa. Con la mano afferrò un pupazzo e lo scrutò. Sembrava uno spaventapasseri, ma non come quelli comuni. Gli occhi erano due bottoni neri, la bocca una lunga cucitura e indossava un cappello, simile a quello del cappellaio matto.
Lo mise di fianco a lei e iniziò la lettura del diario, che datava 15 luglio 1702, e portava il nome di Alessa Bishop.
" L'idea di chiamare casa nostra con il nostro cognome, Bishop, era stata di mio padre. A me è sempre piaciuto vivere qui, un posto tranquillo tra i boschi, isolato, giusto per godersi la propria vita. Eppure da quando siamo venuti a vivere in questo posto, i miei genitori sono cambiati nel vero senso della parola. Non sono più gli stessi, ed io, non avendo alcun amico con cui confidarmi, posso raccontare le mie paure solo a Ciak, lo spaventapasseri che ho costruito personalmente, e che tengo gelosamente in camera mia. Lui mi ascolta, mi da consigli e mi protegge dai cattivi. E mio padre è sicuramente diventato crudele. Mamma ha sempre paura di lui, anche se tra una settimana devono sposarsi, e gli ha regalato un bellissimo vestito bianco da sposa. Certe notti lo sento, è chiuso nella camera in fondo al corridoio, e posso udire dei lamenti, quasi stesse invocando qualche cosa o qualcuno..."
Sarah voltò pagina trovandola vuota, il racconto proseguiva più avanti, ma in quale momento entrò Dawson che le illuminò il viso con la torcia.
- Che cosa stai leggendo? Andiamo, cerchiamo un'uscita secondaria, ci deve pur essere!
- Sì, arrivo.
Prese con sé il diario, lanciò un'ultima occhiata allo spaventapasseri, e raggiunse il suo ragazzo.
Charles inciampò in una radice d'albero ma riuscì a non perdere l'equilibrio. Quel dannato bosco, e poi la pioggia si stava facendo più fitta. Riprese a camminare, nella mano destra la pistola, mentre nell'altra una torcia elettrica che illuminava i rami degli alberi pendenti sopra alla sua testa. Le impronte le vedeva benissimo, quei farabutti li avrebbe presi, ne era più che sicuro, sperava solamente di non passare l'intera notte a girovagare tra alberi e radure.
- Ma dove diavolo sono finiti?
Sapeva chi era quella ragazza, e l'avrebbe salvata, facendo un grande figura davanti al padre, uno degli avvocati più importanti della zona.
Le impronte erano confuse, e ogni tanto dovette fermarsi per non perderle di vista. Davanti a lui si estendeva una schiera di pini, e il terreno diventava ancora più fangoso. Sperò tanto di sentire la sirena dei rinforzi. Che situazione di merda!
Sapeva già cosa fare una volta bloccati i due sequestratori, nella mente aveva tutto chiaro, perfino i movimenti da fare!
Sulla destra sbucò in un'estesa radura, e finalmente vide la casa. Le impronte scomparivano non appena iniziava l'erba alta, ma comunque si poteva benissimo notare che era passato da poco qualcuno.
- Finalmente vi ho presi, maledetti!
Poi sentì un fruscio dietro di sé. Di scatto si voltò puntando la pistola in tutte le direzioni.
Sgranò gli occhi alla luce della torcia, notando che tra gli alberi c'era una figura nera.
- Mani in alto! Polizia!
Solo il rumore della pioggia.
- Charles...
Deglutì lentamente. Chi era, come faceva a sapere il tuo nome.
- Chi sei? Vieni fuori subito! Lo so che avete rapito quella ragazza, non fare storie e fatti vede!
Quella voce gli era parsa strana, quasi un lamento. Si avvicinò lentamente con la torcia: c'erano solo alberi, nient'altro.
Trasse un lungo respiro.
- Dannazione, questo posto fa venire i brividi.
Si assicurò di avere tolto la sicura dalla pistola, e s'incamminò verso la casa.
Tyler non riusciva a calmarsi. Aveva trovato delle candele, e il soggiorno adesso era illuminato da una fioca luce arancionastra. Si avvicinò a una finestra guardando l'acqua scrosciare sui vetri. Secondo lui sarebbe stato meglio chiamare subito, e darsela a gambe! Invece Bill era il solito testone. Si grattò la nuca accendendosi una sigaretta.
- Cerca di stare calmo-, disse Bill. Era seduto sulla poltrona, e passava il pollice di una mano sulla lama del suo coltello a serramanico.
- Ho freddo-, ammise Rachel stringendosi nelle braccia. Bill fece una smorfia.
- Dammi retta per una volta, facciamo quella telefonata e andiamocene da questo posto!
Bill si alzò di scatto afferrandolo per il bavero. - Smettila di frignare! Sembri una ragazzina!
- Perché diamine stiamo aspettando?
L'altro lasciò la presa, e Tyler si dette una stiracchiata.
- L'abbiamo rapita da poche ore, aspettiamo ancora un pò, quando le acque si saranno calmate.
- Già ma quel poliziotto ci troverà Bill!
- Non dire idiozie, chissà dov'è a quest'ora! Piuttosto, va di sopra a controllare quei due, perché non sono ancora tornati?
Al secondo piano, Dawson provò la maniglia dell'ultima porta. Chiusa.
Provò una seconda volta inutilmente.
- Che ne dici di chiuderci dentro in qualche camera?
Sarah trasse un lungo sospiro. - Amore, butterebbero giù la porta.
- Dovevamo ribellarci, dannazione!
- Sarebbe l'ultima cosa che faresti!-, rispose Tyler sbucando dal dietro.
- Ti prego, non farci del male-, disse Sarah alzando le mani.
- Avete controllato tutte le camere?
- Si-, spiegò Dawson, - ma questa è chiusa.
Tyler si fece spazio tra i due, afferrò la maniglia con entrambe le mani e tirò con tutta la forza che aveva. Niente, non si apriva.
Dawson voltò lo sguardo e vide una bambina vestita di bianco sgattaiolare all'interno di una camera.
- Ehi! Avete visto?
Sarah corrugò la fronte.
- Stai cercando di fregarmi bello?
Dawson scosse la testa. - No! Una bambina è entrata in quella camera!
Tyler si avvinò alla porta e la accostò con la canna della pistola, poi puntò la torcia all'interno.
- Un letto, una finestra, un armadio, ma niente bambine!
Dawson scosse la testa. - Giuro di averla vista!
- Piantiamola con questi scherzi, venite, torniamo di sotto!
Charles si mise di spalle contro la parete. Si trovava sotto al portico, e dalla finestra riusciva a vedere uno dei sequestratori. Era seduto su una sedia e giocava con un coltello: vicino a lui c'era la ragazza, Rachel!
Una folata di vento fece svolazzare l'altalena appesa all'albero di fronte a lui, e la pioggia cominciò a scendere storta. Finalmente sarebbe potuto entrare in azione. Era a pochi metri dalla porta d'ingresso.
Rifletté respirando profondamente. Se fosse entrato all'improvviso, avrebbe dovuto sicuramente sparare, e a lui questa cosa non andava giù.
Voleva che quei due finissero in prigione per parecchio tempo: sarebbe stata la punizione giusta!
Doveva entrare una seconda entrata, e quindi prenderli alle spalle, dandogli il tempo di alzare le mani e appoggiare i loro cannoni!
Si voltò notando che a terra, sull'angolo del portico, oltre ad alcune sedie e giocattoli c'era anche un cartello giallo sbiadito dal tempo: in nero c'era scritto BISHOP'S VILLE.
Scese gli scalini dirigendosi sul retro della casa. Ci doveva pur essere un secondo ingresso!
Sgranò gli occhi e vide una porta sull'angolo, Provò la maniglia ed entrò, riparandosi finalmente dalla pioggia e dal vento. Era buio e una scala di legno scendeva. Accese la torcia mettendo in luce il piccolo scantinato. Lentamente, scese gli scalini facendo attenzione a non urtare la testa contro le travi del pavimento.
Arrivò col piede destro sul pavimento fatto di terra e schiarì le pareti con la torcia. C'erano parecchi attrezzi da giardinaggio, alcune statuette da giardino, e vecchie taniche di benzina non ancora usate.
Deglutì voltandosi a destra: c'era quattro scalini che salivano, e poi una porta, che di sicuro l'avrebbe portato all'interno della casa.
Sì! Sentiva la voce di un uomo!
- Eccovi finalmente, stavo cominciando a pensare che foste fuggiti-, spiegò Bill sorridendo. Sarah e Dawson scesero le scale scortati da Tyler.
- C'era per caso il paese delle meraviglie di sopra? Che cos'è quel libro?
Sarah alzò le spalle. - È un diario.
Bill annuì prendendoglielo di mano. Lesse alcune frasi inarcando le sopracciglia. - Uno stupido diario!
Poi lo gettò sulla sedia.
- Ci sono persone in questa casa!-, spiegò Dawson allargando le braccia.
- Non dargli retta Bill! Dice di avere visto una bambina di sopra.
L'altro sogghignò scuotendo la testa.
- Anch'io prima ho visto qualcuno affacciato alla finestra!-, spiegò Rachel piagnucolando.
- State solo facendo i furbi! Tyler, è giunto il momento.
Il suo socio gli lanciò il cellulare e Bill lo afferrò sorridendo.
- Fatemi parlare con mio padre!
Rachel si alzò in piedi con le lacrime che gli rigavano le guance.
- Sta zitta ragazzina! Prima tocca a me!
- Non preoccuparti, andrà tutto bene-, disse Sarah abbracciandola.
Bill rimase in linea alcuni istanti, poi gettò il cellulare sul divano.
- Che cosa ti prende?-, chiese Tyler.
- Dannazione, non c'è linea!
- Prova a uscire sul portico Bill!
L'altro annuì aprendo la porta. Una folata di vento mista a pioggia lo investì, costringendolo a voltarsi di schiena.
- Vi prego-, disse Rachel alzandosi in piedi con le mani incrociate, - siete ancora in tempo per redimervi.
- Stai zitta!-, la fulminò Tyler.
- Io voglio solo andarmene da questo posto!-, intervenne Dawson.
Bill rientrò fradicio. - Niente da fare, non prendo alcuna linea!
- Merda, merda! E adesso che cosa facciamo?
- Prendiamo un po' di tempo!
Tyler deglutì annuendo.
- Temo che il vostro sia oramai scaduto!-, disse una voce dietro di loro.
Sulla soglia della cucina, un uomo di colore e in uniforme, temeva una pistola puntata contro Tyler.
Sarah sorrise iniziando a pregare.
- Mettete le mani in vista, e gettate le pistole! Muovetevi!
- Ehi amico, stai facendo un grosso errore-, spiegò Bill mettendo a terra l'arma. - Siete voi due che avete commesso un errore: mi chiamo Charles Kauffman, sono un agente di polizia, tenete le mani in alto, forza!
Rachel si rallegrò nascondendosi dietro all'agente.
- Sta calma, adesso ci sono io.
Bill sogghignò sedendosi sulla sedia. - E così eri tu che ci inseguivi!
- Cazzo, te lo avevo detto che dovevamo chiamare quando ci trovavamo nel bosco, adesso siamo finiti cazzo!
- Tappati la bocca Tyler!
Charles sorrise ironicamente. - Credo che il tuo amico abbia ragione.
Si avvicinò, e con la pistola sempre puntata verso i due, tirò fuori un paio di manette dall'imbottitura della giacca nera.
- Dammi una mano-, disse rivolgendosi a Dawson, - aiutami ad ammanettarli.
Il ragazzo si avvicinò e prese il braccio di Tyler portandolo vicino a quello del suo socio, poi Charles li ammanettò al manico della sedia.
- Ecco fatto, ora posso mettere via l'arma.
E così fece. Poi guardò gli altri.
- Rachel ti hanno fatto del male?
Lei scosse la testa. - No.
Un lampo illuminò i volti dei presenti.
- C'è una vera e propria tempesta la fuori-, disse Sarah rilassandosi. Era così contenta di stare bene, e soprattutto sapere che con loro adesso c'era un poliziotto.
- Come mai sei da solo sbirro?-, chiese Bill sogghignando.
- Basto e avanzo credimi.
Sarah si avvicinò all'agente. - Possiamo andarcene da questo posto?
- Pessima idea, la fuori si sta scatenando l'ira di Dio, sarebbe impossibile riuscire a trovare il sentiero.
- E allora che cosa facciamo?-, domandò Rachel.
Charles scosse la testa tenendo sempre la pistola puntato sui due uomini.
- Credo sia meglio aspettare che il tempo migliori, è la una di notte oramai.
- Faremo a turni io e te-, disse rivolgendosi a Dawson, - non dobbiamo perdere di vista questi due. E comunque, sono ammanettati!
- Dannazione a te Bill!-, sbuffò Tyler. L'altro fece un sorrisino compiaciuto.
- Devo darmi una rinfrescata-, ammise Rachel alzandosi in piedi.
- Di sopra c'è un bagno, seconda porta sulla sinistra-, rispose Dawson.
Poi gli porse una torcia elettrica.
La ragazza salì le scale lentamente. Al secondo piano fu investita dal buio più totale. Con la torcia tra le mani, giunse alla seconda porta e la aprì. All'interno c'era un lavandino sporco, e sulla parete uno specchio rotto che formava una sorte di ragnatela.
Aprì il rubinetto ma non c'era acqua. Sbuffò sistemandosi i capelli dietro alle orecchie. Chissà suo padre che cosa stava facendo per ritrovarla?
- Rachel...
Guardò allo specchio, vedendo che dietro di lei c'era una figura. Si voltò strillando. Era una donna, con un vestito da sposa sporco di sangue. Aveva i capelli raccolti in una coda, e aveva uno sguardo agghiacciante.
- Tu chi sei? Come hai fatto a entrare?
- Vieni con me Rachel, lui vuole conoscerti!
- Come fai a sapere il mio nome? Chi sei?
- Azazel è un grande demone, gli piaci. Non vuoi sapere che cosa è successo?
Rachel deglutì sentendo il cuore martellargli in gola. - Ma che cosa stai dicendo? Non capisco!
La donna si avvicinò a lei, premendogli le dita contro i suoi occhi, e da quel momento, Rachel percepì un a forte sensazione di freddo.
- Avevate intenzione di chiedere un riscatto, vero?-, chiese Charles scuotendo la testa.
- Esatto, e ci saremmo riusciti!-, rispose Bill sputando sul pavimento.
- Noi abbiamo avuto un incidente, poi sono arrivati loro, e ci hanno costretti a seguirli, per paura che avremmo detto qualche cosa-, spiegò Sarah passandosi un a mano sul viso.
Dawson era vicino al camino, e fissava dalla finestra la pioggia che scendeva ininterrottamente. Voleva andarsene, riprendere la sua macchina, e raggiungere lo chalet di Bob! Dannazione, a quest'ora chissà come si stavano divertendo gli altri!
- Quando arrivano i rinforzi?-, chiese alzando le spalle.
- Non lo so la ricetrasmittente è in macchina dannazione!
Charles aveva preso una sedia, e si era seduto di fronte ai due con la pistola puntata davanti.
- Perché non ci lascia andare agente? In fondo non abbiamo ancora fatto niente di male!-, frignò Tyler nervosamente.
- Stai scherzando? E il sequestro di persona dove lo mettiamo?
Bill buttò la testa all'indietro sbuffando.
- Perché non chiama rinforzi con il mio cellulare?-, domandò Sarah porgendoglielo.
- L'ho già fatto-, disse Charles arricciando il naso, - ma potrei riprovare.
Compose il numero della centrale rimanendo in ascolto. La linea cadde.
- Purtroppo non c'è campo, saranno gli alberi qua attorno. Comunque non preoccuparti la situazione è sotto controllo.
Dawson tornò a guardare dalla finestra, vedendo una figura sfrecciare sul portico.
- Ehi! C'è qualcuno lì fuori!
Charles si voltò bruscamente.
- Ne sei sicuro amore?-, chiese Sarah afferrandolo per una mano.
- Sì! È passato qualcuno!
Bill fece una smorfia.
- Avete qualche complice?-, chiese Charles.
Tyler scosse la testa.
Dawson esitò. - Eppure è passato qualcuno.
- Forse solo un'ombra, qualche cosa che ti ha fatto confondere-, disse Sarah mettendolo a sedere sulla poltrona.
- No! Anche di sopra ho visto una bambina entrare da una porta, c'è qualcuno in questa casa!
Charles si avvicinò a Bill puntandogli la pistola contro la tempia.
- Se scopro che avete dei complici, per voi è la fine, chiaro?
- Non c'è nessun altro con noi maledizione!
Sarah riprese il diario, si mise accanto al suo ragazzo, e continuò la lettura.
" Mi chiamo Alessa Bishop, ho undici anni, e i miei genitori sono molto cattivi. Mia madre domani dovrà sposarsi, e continuano a dirmi che presto sarò vicino ad Azazel. Chi è Azazel? Una volta ricordo che mio padre me ne aveva parlato: una specie di demone che si nutre di anime buone. Ho paura, sono in camera mia e tengo stretto tra le braccia Ciak, il mio spaventapasseri. Sento i passi di mio padre appena fuori dalla porta. Mi trascino a fatica sotto il letto e resto a guardare. La porta si apre, e l'uomo che mi ha messo al mondo è pronto a darmi in pasto al suo demone. Dice di volere fare un sacrificio, ed io sono la vittima prescelta. Vengo trascinata per i capelli lungo il corridoio, e una volta nella camera degli ospiti, vedo tante candele. C'è un tavolo, mio padre mi lega sopra, e poco dopo vedo un lungo coltello abbassarsi sopra di me..."
Sarah alzò gli occhi sospirando profondamente.
- Perché avete rapito quella ragazza?-, chiese Charles scuotendo la testa.
- Sappiamo entrambi chi è suo padre giusto? L'avvocato che ha fatto chiudere l'azienda dove lavoravo. E adesso mi sono trovato nella merda, quindi rapire sua figlia, serviva per chiedere un bel po' di soldi-, rispose Bill sogghignando.
- Mi sto commovendo-, continuò l'agente.
Si sentì un lamento. Rachel era in piedi immobile sugli scalini, aveva il viso pallidissimo e dagli occhi gli uscivano due rivoli simmetrici di sangue.
- Mio Dio!-, disse Dawson balzando in piedi.
Sarah le si avvicinò facendola sedere di fianco a lei.
- Che cosa è successo? Chi ti ha ridotto così?-, chiese Charles nervosamente.
- Azazel è molto cattivo, vuole prenderci tutti...
- Ma che sta farneticando?-, intervenne Tyler.
Ci fu un lampo seguito da un forte tuono.
Sarah ripensò a quel nome, Azazel, lo stesso che accenna la ragazza che ha scritto il diario.
Charles puntò la pistola addosso a Bill.
- Chi c'è di sopra? Sapevo che avevate un altro complice!
- Amico noi non centriamo niente!
- A destra di Orione, la stella luminosa, poi c'è l'inferno-, continuò Rachel con lo sguardo fisso sul pavimento.
Bill fece una smorfia.
- Perché non la porti di sopra e la fai sdraiare un pò?-, chiese Charles indicando le scale.
Sarah annuì, prese il diario, fece alzare Rachel e salirono lentamente le scale.
Poi l'agente fece un cenno a Dawson. - Noi due invece faremo i turni per controllare questi due, intesi? Comincia tu, io sono stanco.
Gli passò la pistola e si scambiarono di posto.
Al secondo piano, Sarah aprì la porta della camera, dove c'erano due letti. Era buio, e ogni tanto la stanza era illuminata dal bagliore violaceo dei lampi.
- Che cosa ti è successo Rachel?
La fece distendere sul letto, poi Sarah si sedette di fianco.
- Azazel vuole le nostre anime, non si può scappare.
- Chi è Azazel?
- Il demone! Alessa aveva paura di lui!
Sarah inarcò le sopracciglia.
- Come fai a saperlo? Tu non hai letto questo diario-, spiegò mostrandoglielo.
- Io ho visto cose terribili, fatti che arrivano da un altro mondo. Un mondo parallelo al nostro, e certe volte, quando si aprono delle porte, non sai mai cosa potrebbe uscire.
Com'era possibile? Che cosa era accaduto a Rachel?
- Starò con te, dormiremo insieme d'accordo?
- Azazel sta arrivando, sta arrivando!
Sarah si sdraiò vicino a lei provando a chiudere gli occhi.
Dawson cercò di tenere aperti gli occhi. Aveva sonno, e non vedeva l'ora di andarsene da quel posto. Teneva le braccia sulle cosce, e nella sinistra aveva la pistola. I due dinanzi a lui si erano addormentati così come l'agente. Perché toccava proprio a lui quel dannato compito? Si alzò dalla sedia scuotendo la testa. Dalla finestra vedeva la pioggia che non accennava a diminuire. Avrebbe passato qui l'intera notte?
All'improvviso vide la stessa figura di prima sfrecciare sul portico. Ora era sicuro! C'era qualcuno!
Uscì con la pistola spianata guardando in tutte le direzioni. Nessuno.
- Chi c'è?
Silenzio, solo il rumore della pioggia.
- Ti ho visto vieni fuori! Chi sei?
Di nuovo nessuna risposta.
Rientrò respirando profondamente. Aveva le allucinazioni?
Rimase a fissare gli altri tre che dormivano, poi sentì il cigolio di una porta. Sembrava provenisse dalla cucina.
Lentamente, si diresse verso la fonte del rumore.
Superò le poltrone tenendo sempre la pistola puntata davanti, poi giunse in cucina. Lì era ancora più buio poiché c'era solo una finestra.
Una testa d'alce imbalsamata era appesa alla parete che separava dal soggiorno.
- C'è qualcuno?-, chiese quasi sottovoce.
Poi vide la porta semiaperta. La spinse con la pistola sentendo le tempie pulsargli. Una lampadina appesa al soffitto illuminava debolmente lo scantinato. Com'era possibile? Non c'era elettricità!
Un uomo stava tagliando qualche cosa sul tavolo vicino agli attrezzi da giardinaggio.
- Ehi! Come ha fatto a entrare?
L'uomo si voltò. Era pelato, alto, e aveva la giacca sporca di sangue.
- Presto Diamond! Dammi una mano!
- Diamond? Ma che cosa sta dicendo.
Dawson puntò la pistola contro la figura.
- Senta, non so chi è né come ha fatto a entrare! Era lei che correva sul porticato prima?
- Quindi lo hai visto anche tu Diamond? Deve trattarsi di uno dei demoni cerati da mia figlia: i suoi incubi stanno diventando realtà. Dobbiamo finire il sacrificio, presto!
Poi si voltò, e con un coltello in mano cercò di aggredirlo. Il ragazzo cadde a terra, e quando si rimise in piedi, la stanza era buia, e non c'era nessuno.
- Ma che mi sta succedendo?
In soggiorno, Tyler aprì gli occhi a fatica. Aveva un gran mal di testa e le manette gli stringevano il polso. Scosse la testa, stava per chiedere di poter andare in bagno, ma davanti a lui non c'era più nessuno. Il ragazzo con la pistola era sparito e Bill e l'agente stavano dormendo. Iniziò a respirare velocemente: avrebbe potuto fuggire! Strattonò la sedia alla quale era legato senza successo. Poi la porta d'ingresso si aprì, e una bambina con un sorrisino stampato in faccia comparve davanti a lui.
- E tu chi saresti ragazzina?
- Hai paura Tyler?
- Cosa? Come fai a sapere il mio nome?
- Io so tutto, vorresti fuggire adesso, vero?
Tyler annuì con la testa.
La ragazzina si avvicinò, mise le mani sulle manette e lo liberò.
- Ma come hai fatto?
Lei sorrise.
- Mi chiamo Alessa, ora devi seguirmi.
Tyler si alzò vedendola salire lentamente le scale. Lanciò uno sguardo a Bill che dormiva ancora: al diavolo, era colpa sua se adesso si trovava in quella situazione!
La ragazzina si era fermata e lo stava fissando da dietro i lunghi capelli neri.
- Vieni, devo mostrarti una cosa.
Tyler la seguì al secondo piano e poi entrarono nella camera cui prima non era riuscito ad aprire.
All'interno c'era buio. Diede uno sguardo attorno, individuando la bambina che guardava dalla finestra.
- Si può sapere chi sei?-, chiese mettendogli una mano sulla spalla.
Lei si voltò strillando: aveva il viso insanguinato, come se lo avesse grattato con le unghie fino alle ossa. Tyler lanciò un urlo, corse alla porta e uscì col cuore che martellava in gola.
Poi si guardò attorno. C'era troppa luce. Dei candelabri arredavano il corridoio, il pavimento era sporco di sangue, segni di trascinamento, e fuori nevicava.
- Aiuto! Bill dove sei finito? Dove siete tutti?
Scese le scale venendo abbagliato dal chiarore di un lampadario appeso al soffitto. Le poltrone erano nuove, tutto era nuovo. Ma non si vedevano né Bill né l'agente che li teneva in custodia. Che diavolo era successo.
- Ehi! Ma dove siete finiti tutti quanti?
Le mani gli tremavano, e sentiva una forte sensazione di nausea.
Poi dalla cucina arrivò un uomo sui cinquantenni. Indossava degli stivali e indumenti in lana: tra e mani teneva un lungo coltello da cucina sporco di sangue.
- Chi è lei? Che cazzo ci fai in questa casa? Dove sono gli altri?
L'uomo corrugò la fronte avvicinandosi.
- Tu devi essere un altro di quei demoni che mia figlia ha mandato per vendicarsi, vero?
Tyler inarcò le sopracciglia.
- Amico, io non so di cosa tu stia parlando!
L'uomo lo spinse facendolo ruzzolare sul pavimento, poi lo prese per una gamba iniziando a trascinarlo verso la cucina.
- Lasciami bastardo!
Era dannatamente forte.
Tyler cercò di resistere, ma il potente uomo di campagna lo alzò gettandolo sul tavolo, poi rise freneticamente.
- Vattene da questo mondo, essere schifoso!
Tyler vide il coltello abbassarsi sopra i suoi occhi e iniziò a urlare.
Un lampo inondò la stanza di una luce violacea, e Sarah alzò di scatto la testa dal cuscino. Si era addormentata, e come lei Rachel, che dormiva tranquillamente. Trasse un lungo respiro pensando che la ragazza si sarebbe ripresa molto presto. Poi avvertì qualche cosa vicino a lei, sotto le lenzuola.
Era lo spauracchio. Ma come aveva fatto ad arrivare lì? Decise di non pensarci e si voltò verso Rachel; dormiva con i capelli neri appiccicati sulla bocca. Lasciò cadere il bambolotto da brivido sul pavimento e aprì il diario, continuando la lettura:
"Raggiungere Azazel significa lasciare il proprio corpo per avventurarsi attraverso un lungo tunnel buio, dove la fine non arriva mai. Pochi istanti prima che mio padre abbassasse il coltello sui miei occhi, avevo visto mia madre con addosso il suo vestito da sposa... Era così bella sapete? Poi mi sono concentrata, il mio spauracchio Ciak era rimasto ai piedi della scala, e mi fissava, come se avesse voluto aiutarmi. Ma oramai il mio destino era nelle mani di Azazel, e non potevo sfuggire, al contrario, potevo fare avverare i miei incubi. Sapete, durante un sacrificio si accumulano molte energie negative, e questo rende possibile esaudire alcune richieste. Ebbene, giurai che questa vicenda sarebbe vissuta in questa casa per sempre, e lasciare che i nostri spiriti girovaghino tra le camere, trasformando il futuro in passato. Ora è giunto il momento di andare, sento qualcuno che chiama il mio nome, una voce che mi mette paura, terrore allo stato puro.
Azazel."
In soggiorno, l'agente Charles Kauffman riaprì gli occhi scuotendo la testa. Quanto tempo aveva dormito? Si mise supino guardando le candele che coloravano le pareti di un arancione acceso.
Poi balzò in piedi ansimando.
Uno dei due sequestratori era sparito, e dov'era il ragazzo che doveva tenerli sott'occhio? Maledizione!
- Ehi!
Schiaffeggiò Bill facendolo svegliare.
- Che c'è sbirro?
- Dove è finito il tuo amico? Dimmelo subito!
Bill si guardò attorno. - Non lo so! Cazzo, quel verme è riuscito a scappare senza dirmi niente!
Charles gli diede uno schiaffo.
- Forza, dimmi chi è il terzo complice!
- E io ti dico che non c'è nessun altro complice amico.
Poi l'agente si ricordò di una cosa e la verificò. Le manette erano ancora chiuse, quindi come diavolo aveva fatto a liberarsi? Scosse la testa confuso, poi si guardò attorno. Sulla soglia della cucina, il ragazzo che aveva lasciato a fare la guardia, teneva lo sguardo basso sul pavimento. Tra le mani aveva la pistola e tremava.
- Ehi, dove cazzo eri finito? Lo hai liberato tu?
Dawson scosse la testa avvicinandosi.
- Dove sei stato?
- Ci prenderanno tutti.
Charles corrugò la fronte. - Di che cosa stai parlando?
- Del sacrificio, vogliono dare le nostre anime a quel demone.
- Questa situazione non mi piace per niente! Resta qui, mentre io cerco di trovare il suo socio.
Bill fece una smorfia.
Poi Charles impugnò la pistola dalle mani del ragazzo e salì le scale.
Sarah aprì gli occhi. Si era addormentata di nuovo, e il diario giaceva aperto sul petto. Si mise supina massaggiandosi gli occhi. Da quanto tempo erano in questa casa? Sembrava da un'infinità.
- Rachel, stai meglio?-, chiese voltandosi. A parte lei, nel letto non c'era nessuno.
Balzò in piedi ansimando. Dove diavolo era sparita? La stanza era buia, ma sec'era una persona, di sicuro se ne sarebbe accorta. Udì dei passi e fece l'ingresso l'agente Kauffman, con il sudore che gli colava dalla fronte.
- Che succede?
- Uno dei sequestratori è sparito, deve essersi nascosto in qualche stanza, tu hai per caso sentito qualche strano rumore che ti ha insospettito?
Sarah scosse il capo.
- Dannazione! Tanto lo troverò alla fine!
Un tuono fece sobbalzare i due.
- Non riesco a trovare nemmeno la ragazza, Rachel. Mi sono addormentata, poi è sparita.
Charles trasse un lungo respiro.
- D'accordo, controllerò le camere di questo piano, se non dovessi trovarlo, sarò costretto a tornare alla macchina e chiedere di nuovo rinforzi con la radio.
Detto questo uscì lasciando la porta semiaperta.
Sarah si voltò restando in balìa del buio attorno a sé. Sapeva che in questa casa c'era qualche cosa di strano, come se le parole scritte in quel diario stessero prendendo forma. Poi sentì un rumore provenire da sotto il letto. Lentamente spostò le coperte che pendevano dai lati, e vide Rachel rannicchiata: stringeva le mani attorno alla pancia, e sulle guance c'erano delle lacrime.
- Mio Dio, ma che cosa ti è successo?
- Ho visto tutto-, ansimò piangendo.
- Che cosa intendi?
- Quella ragazza, Alessa, mi ha fatto vedere che cosa ci attende dopo la morte!
E scoppiò in un forte pianto.
- Rachel vieni fuori, coraggio, andiamocene da questo posto maledetto.
La ragazza uscì dal nascondiglio, si mise in piedi e fece un sorrisino, come se tutte le sue preoccupazioni fossero magicamente scomparse.
- Devo andare in bagno, puoi aspettarmi qui?
Sarah inarcò le sopracciglia e un tuono proruppe all'improvviso.
- Vuoi che ti accompagni?
La ragazza scosse la testa.
Charles raggiunse l'ultima porta del secondo piano. Provò la maniglia ma era chiusa. Maledizione! Quel mascalzone doveva essersi chiuso dentro, sicuro!
- Ehi, aprì subito questa porta o la butto giù!
Silenzio, nessuna risposta. Trasse un lungo respiro provando di nuovo la maniglia, e questa volta con più forza. Stesso risultato.
- D'accordo, ora vado a chiedere rinforzi alla macchina-, brontolò sottovoce.
Scese velocemente le scale e poi si rivolse a Dawson.
- Tienilo d'occhio mi raccomando. Torno alla macchina per chiedere di nuovo rinforzi!
- Potrebbe essere pericoloso agente-, spiegò Bill sorridendo.
- Tanto lo so che avete escogitato un piano, ma non ve lo lascerò portare a termine, tra poco questa casa brulicherà di poliziotti!
Un lampo schiarì la faccia sudata dell'agente.
- Prima in cantina c'era qualcuno-, disse Dawson. Aveva il volto basso e la pistola in pratica appoggiata sulla coscia destra.
- Che cosa intendi? Hai visto il suo socio?
Scosse la testa. - Una specie di visione credo: un uomo che teneva in mano un coltello e parlava di un sacrificio.
Charles corrugò la fronte. - Ma che buffonata, sei solo spaventato per quello che è successo. Ora resta qui, tornerò tra poco.
Detto questo, uscì scomparendo nel buio.
- Potrei avere un bicchiere d'acqua? Sto morendo di sete-, disse Bill tossendo.
Dawson si alzò in piedi dirigendosi in cucina. Il buio che c'era non gli piaceva per niente. Si sbrigò a trovare una ciottola, la mise sotto il rubinetto e aspettò che fosse piena per metà. Poi un rumore lo fece voltare.
In un angolo della parete, c'era una bambina che stava graffiando la parete con le unghie. Scosse la testa, era solo lui che aveva queste visioni?
Si avvicinò alla ragazzina. - Chi sei?
Lei si voltò si scatto: non aveva né occhi né bocca.
Dawson strillò, cadde all'indietro e batté la testa contro il lavandino, svenendo sul pavimento.
- Che succede?-, chiese Bill voltandosi. Intravide il ragazzo disteso a terra.
- Ehi, che cosa è successo? Chi c'è?
La porta d'ingresso si aprì, e vide entrare il cadavere di Tyler.
Bill sgranò gli occhi. Qualcuno stava trascinando il cadavere del suo socio, solo che quel qualcuno era invisibile! Vedeva la gamba del suo amico alzata, come se una mano la stesse stringendo.
Iniziò a piagnucolare e a recitare una preghiera. Mentre passava vicino a lui, Bill notò il volto di Tyler; gli occhi e la bocca era stati cuciti.
Poi sentì dei passi su per le scale, e la scena scomparire dietro di lui.
- Aiuto!-, piagnucolò.
Guardò a destra: le luci delle candele schiarivano un quadro che rappresentava l'ultima Cena. Rimase a osservarlo per qualche istante e notò che le facce erano maligne, sorridevano e dai loro occhi sgorgava sangue. Poi sentì una mano fredda posarsi sulla sua spalla sinistra.
- Rachel, tutto bene?
Sarah si avvicinò alla porta del bagno. Non udì nessuna risposta. Il corridoio era buio, e quel silenzio la fece trasalire.
- Posso entrare?
Spinse la porta e dentro non trovò nessuno. La finestra era aperta, e la pioggia si versava sul pavimento. Sarah si affacciò: era la parete vicino all'albero, e quando guardò in basso, vide ciò che la fece rabbrividire. Rachel era seduta sull'altalena, e si dondolava lentamente.
- Che cosa stai facendo? Torna subito dentro!
Poi capì che sarebbe stato inutile. Uscì dal bagno in tutta fretta e scese le scale. Dove erano finiti tutti?
Poi sentì un lamento. Dawson era seduto sul pavimento, e si massaggiava la testa.
- Amore, che cosa ti è successo?
- Credo di aver sbattuto la testa!
Sarah lo aiutò a rialzarsi. - Dove sono gli altri?
- L'agente è tornato all'auto per recuperare la radio, mentre...
Sulla sedia dove poco prima c'era stato legato Bill, c'erano solo le manette brutalmente massacrate.
- Come ha fatto a liberarsi?
- Aspettami qui, devo andare a prendere Rachel!
Dawson aggrottò la fronte.
- Sembra impossessata da qualche entità!
Poi uscì di corsa e sotto la fitta pioggia si diresse verso l'altalena. Rachel si dondolava, con i capelli che le nascondevano il viso.
- Rachel, torna dentro!
- L'inferno si trova dopo il pianeta Reticuli, ma non ci si può arrivare a piedi, è troppo lontano, c'è un tunnel buio e silenzioso, che parte da questa casa.
- Ma che cosa stai dicendo? Sei impazzita?
Rachel alzò il volto. Si era strappata gli occhi, e le orbite erano due profondi buchi neri dai quali usciva sangue.
-Mio Dio!
- Non servono gli occhi per andare in quel posto, bisogna usare la mente!
Sarah indietreggiò.
- Gli incubi della ragazza che ha scritto quel diario, si sono avverati. Ha stretto un patto con Azazel... io ho visto tutto!
Poi di scatto gli balzò addosso cercando di strangolarla. Sarah si dimenò cadendo a terra. Era dannatamente forte, una forza sovraumana! Sentiva le dita che spingevano sulla giugulare, poi un colpo di pistola, e finalmente di nuovo il sollievo.
Rachel giaceva a terra con un buco nella fronte. Ai piedi del portico, Dawson era rimasto con la pistola ancora fumata davanti a sé.
- Ti ha fatto male?-, chiese aiutando la sua fidanzata ad alzarsi.
Sarah scosse la testa. - Fa paura quello che mi ha detto.
- Presto, torniamo dentro!
S'incamminarono verso l'ingresso, e a un tratto, Sarah notò che da una finestra del secondo piano, quella dove aveva trovato il diario, lo spauracchio bambolotto guardava dalla finestra. Chi lo aveva messo lì? E perché?
Charles si voltò indietro. Aveva percorso un bel po' di strada e di sicuro era vicino alle macchine. Almeno, questo che era ciò che credeva lui. Gli alberi attorno erano fitti, e la pioggia rendeva il tutto più difficile. Chissà dove era finito l'altro fuggiasco. Forse era arrivato alle macchine, ne aveva rubata una e se l'era data a gambe! Maledetto! Aumentò il passo, riparandosi il viso dai rami che pendevano sopra alla sua testa. Appena raggiunta la macchina, avrebbe detto due belle paroline alla centralinista. Lo avevano lasciato solo in balìa di due criminali, e adesso uno era sparito! E naturalmente la colpa sarebbe stata sua. Si fermò un attimo guardandosi attorno. Dannazione, prima non aveva percorso quel sentiero: sembrava totalmente diverso!
Trasse un lungo respiro e proseguì, alla fine sarebbe arrivato alla macchina: era tutto ciò che poteva fare!
Dawson si sedette sul divano, lasciando la pistola di fianco a lui.
- Dobbiamo andarcene.
- Sì, prima però voglio controllare una cosa.
Sarah salì pesantemente le scale, entrando nella camera di Alessa. Il bambolotto non c'era più, ma il diario che aveva iniziato a leggere era magicamente tornato sulla scrivania.
- Chi c'è in questa casa?-, chiese guardandosi attorno. Poi sullo specchio vide che dietro di lei c'era la bambina.
- Credevo lo sapessi Sarah.
Lei si voltò sbalordita.
- Alessa?
La ragazzina annuì. - Mio padre era un uomo molto cattivo: ha fatto un sacrificio con il mio corpo.
- Perché l'ha fatto?
- Credeva che Azazel potesse donargli un potere immortale, così mi ha legato sul tavolo e mi ha ucciso.
Sarah si passò una mano sulla fronte.
- Tu sei un fantasma.
- Sono un'immagine proiettata da un altro mondo, una dimensione parallela alla vostra.
- Perché fai tutto questo?
- Non sono io, ma i miei incubi. Mentre morivo pensavo alle cose che mi davano più paura, come gli spauracchi ad esempio, ai rumori nella notte, gli scricchiolii delle porte, alle voci che ti chiamano.
- Voglio andarmene da questo posto.
Alessa si avvicinò a lei, mettendogli le mani biancastre sulla fronte.
- Ora ti mostrerò come fare per fuggire e distruggere il male che c'è in questa casa.
Charles inciampò cadendo con il volto nella fanghiglia.
- Accidenti!
Si rialzò guardandosi attorno, il cuore gli batteva a mille, e il bosco era dannatamente tutto uguale: sembrava stesse percorrendo sempre lo stesso tratto già visto in precedenza. Pulì le mani sull'uniforme inzuppata d'acqua e riprese a camminare. Doveva essere vicino alle macchine, ne era sicuro! Ricordò di quella volta che aveva preso parte a un inseguimento. Un criminale era riuscito a evadere da un penitenziario di Crowley City, e si era diretto nella valle, sperando di far perdere le proprie tracce una volta nel bosco. Invece andò diversamente. Lui e un suo collega si erano precipitati tra gli alberi con alle spalle una squadra di volontari, pronti a sguinzagliare i loro cani addosso al malvivente.
Quella volta andò bene, poiché riuscirono a trovare il suo nascondiglio: una grotta buia lungo un pendio. Quindi, anche questa volta sarebbe andato tutto al suo posto.
Proprio mentre si stava facendo coraggio ripensando a quella storia, sentì un a voce.
- Charles...
Si fermò trasalendo.
- Chi è? Insomma, se sei un complice di quei due, finirai anche tu nei guai!
Era la stessa voce udita quando era arrivato. Si girò da tutte le parti, spostando alcuni rami con le mani.
- Vieni fuori!
Cercò la pistola, ricordandosi poi di averla lasciata al ragazzo nella casa.
- Charles...
Non riusciva a vedere nessuno, sebbene avesse la torcia puntata davanti a sé.
- Tanto alla fine ti trovo sai?
Sentì di avere mentito a se stesso.
Poi un rumore attirò la sua attenzione sulla destra. Eccola, una figura immobile che lo fissava, proprio come in precedenza.
- Fermo lì! Ti ho visto!
Sgranò gli occhi ma la figura era confusa, si mischiava al buio e alla vegetazione circostante.
- Si può sapere chi sei? Come fai a sapere il mio nome?
Nessuna risposta. Charles spostò un ramo con una mano, e quando tornò a vedere nella direzione interessata, la figura era sparita.
Trasalì restando immobile. Come aveva fatto a sparire in così poco tempo?
- Charles...
Questa volta la voce era dietro di lui. Si voltò puntando la torcia in alto: era una specie di spauracchio altro, con uno strano cappello nero.
L'agente cadde a terra con il cuore in gola. Il viso era fatto di paglia, e la bocca sorrideva malignamente, non era umano. Sul vestito anch'esso nero, che somigliava a una tonica da prete, c'era un cartellino che portava un nome: Ciak.
Charles indietreggiò frugando con le mani nel terreno bagnato. No, non era possibile, doveva trattarsi di un'allucinazione bella e buona!
Poi però vide qualche cosa, una falce tagliare l'aria sopra di lui. La sua gola si aprì da un orecchio all'altro, e il sangue sgorgò sul petto.
Dawson si alzò dal divano passandosi una mano sulla fronte sudata. Aveva paura, una dannata paura. Questa casa era l'inferno sceso sulla Terra, e lui non voleva restarci un minuto in più!
- Sarah, che cosa stai facendo di sopra! Andiamocene presto!
- Damian!-, disse una voce che proveniva dalla cucina, - che stai aspettando? Vieni a vedere il lavoro che ho fatto! Alessa adesso non sarà più un problema!
Era lo stesso uomo di prima che aveva visto in cantina.
- Tu non sei reale, sei solo un fottuto spirito che cerca di spaventarmi!
Poi si arrese e iniziò a piagnucolare. Entrò lentamente in cucina: la porta che dava sullo scantinato era aperta.
I fantasmi non esistono, sono solo delle allucinazioni dovute allo stress, continuava a ripetersi nella mente. Scese gli scalini e schiarì l'ambiente con la torcia.
Era tutto come prima, poi però, udì un lamento provenire da sinistra.
Bill era crocefisso alla parete! Dei grossi chiodi arrugginiti trapassavano la mano sinistra e i piedi messi uno sopra l'altro. Il braccio sinistro invece era libero, e penzolava goffamente nell'aria.
- Mio Dio!
Il sangue colava sulla parete, per poi formare piccole pozze sul terreno.
- Dammi... pistola... ti... prego...
Era ancora vivo!
- Adesso ti libero!
Bill scosse lentamente la testa. - Pi... pistola...
Dawson si avvicinò, notando che dal suo stomaco usciva qualche cosa: sembravano sagome di bambini che spingevano verso l'esterno. Ne contava più di tre. Bill fece un urlo per il dolore, poi riprese fiato, sputando sangue.
- Dammi... pistola...
Dawson gliela mise nella mano sinistra, l'unica a non essere inchiodata, e si allontanò di qualche metro, pronto ad assistere a un suicidio.
Invece, Bill alzò di scatto lo sguardo verso di lui sorridendo, con del sangue che gli colava sul mento.
- Tutti noi dobbiamo pagare i peccati che abbiamo commesso, lo sapevi?
E sparò colpendo Dawson al petto. Il ragazzo cadde, e lentamente, tutto attorno a lui si spense.
Bill lasciò cadere la pistola a terra e urlò per il dolore.
- Azazel... Azazel... Azazel...
Cercò di fare resistenza, ma la testa si rilassò, sentendo l'anima uscirgli dal corpo, pronta a percorrere quel buio tunnel che portava più lontano del pianeta Reticuli, almeno, questo era ciò che gli avevano detto prima di crocifiggerlo.
Sarah era rimasta al secondo piano, seduta su quel letto di che un tempo apparteneva ad Alessa. Aveva parlato con un fantasma, e adesso si sentiva intrappolata in un meccanismo governato da razionalismo e misticismo. I fantasmi esistono, e questo era ciò che la sconvolgeva.
Si possono materializzare sotto diverse vesti, però esistono, e vivono più vicino a noi di quanto possiamo pensare. Scrollò la testa pensando a ciò che gli aveva detto quella bambina, cioè come avrebbe potuto sconfiggere il male, e chiudere quella porta che in questa casa era stata aperta già da troppo tempo. Sì, perché mischiare il nostro mondo al loro, è stato pericoloso.
Si alzò e confusa scese le scale, dirigendosi in cantina, proprio come gli era stato spiegato.
Poi vide Dawson a terra.
- Amore! Amore!
Gli alzò di poco la testa, era freddo e pallido. Non c'era più niente da fare per lui, proprio come tutti gli altri. Si asciugò le lacrime, squadrando il cadavere di Bill crocefisso alla parete.
Ora basta, era giunto il momento di mettere fine a questa storia, quindi seguì le istruzioni di Alessa. Prese l'accendino che le aveva dato, e iniziò ad accendere la paglia di fianco alle taniche di benzina. Bruciare tutto! La voce della provvidenza aveva così riferito, e adesso, Sarah si sentiva davanti alla sua più grande impresa, come se tutto questo dipendesse solamente da lei. Le fiamme crebbero nella cantina, e Sarah, dopo avere lanciato un ultimo sguardo a Dawson, uscì di corsa, sentendo la pioggia diminuire sulla sua calda fronte.
Si fermò dove iniziavano le piante, circa cento metri dalla casa. Sentiva i lamenti disumani che accompagnavano il legno che iniziava ad ardere. Lamenti dei mostri nascosti da troppo tempo tra quelle mura. Ora tutto sarebbe finalmente finito. Sarah si mise seduta sull'erba, si sdraiò e chiuse gli occhi, coccolata dal rumore delle fiamme che distruggevano tutto.
Quando aveva aperto gli occhi, si era ritrovata in una stanza bianca, dove un forte odore di candeggina le inquinava i polmoni. Era l'ospedale di Crowley City. Un'ora dopo, due agenti di polizia erano sopraggiunti, spiegandole di averla trovata sdraiata nel bosco, lontano da una casa andata distrutta a causa di un incendio. Erano tutta la notte che cercavano i due fuggiaschi che avevano rapito la ragazza. Dopo che Sarah ebbe spiegato ciò che era accaduto, i due si erano lanciati un profondo sguardo, poi erano usciti scuotendo la testa. Nessun cadavere era stato recuperato, come se fossero svaniti nel nulla una volta morti.
Poi, una volta sola nel letto di quell'ospedale puzzolente, aveva guardato dalla finestra, notando il volto di Alessa le sorrideva.
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