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Schopenhauer e la religione - 2à parte
Nato in un ambiente sociale e familiare cattolico, la mia famiglia osservava regolarmente i riti cattolici, se non tutti i giorni, almeno la domenica e le feste comandate. Era mia madre ad occuparsi e a vigilare su questo aspetto della mia educazione e formazione.
Mia zia, sorella maggiore di mia madre, fin dalla tenera età, (non ho un ricordo personale diretto di questa esperienza, mi è stata sempre raccontata dai miei genitori), mi portava con se in tutte le funzioni, cerimonie e incontri religiosi.
Lei era una "sposa" devota di Dio. Non ha potuto consacrarsi completamente a Dio in quanto suo padre, mio nonno, le aveva da giovane negato il desiderio e proibito il cammino della vocazione a farsi suora. Non si è mai sposata. La sua vita l'ha vissuta ruotando intorno alla chiesa e all'aiuto dei bisognosi. La si potrebbe definire una suora laica.
Dall'età di cinque anni i miei ricordi, però, sono vividi in quanto il maestro di scuola elementare ci imponeva la frequenza in chiesa come un prolungamento della frequenza scolastica, con presenze e assenze. Ricordo, infatti, che la domenica dopo la "messa" dovevamo farci timbrare dal sagrestano una specie di librettino e ciò attestava l'avvenuta presenza alla funzione religiosa.
La stessa cosa doveva essere fatta il pomeriggio dopo il catechismo. Il lunedì, a scuola, il maestro controllava e verificava i timbri di ciascun allievo.
Non ricordo assenze ingiustificate mie o di altri compagni, ma il clima che si veniva a creare e la paura associata a questi eventi, sì. Questa gogna durò fino al completamento del ciclo scolastico delle elementari.
Per cinque anni tutte le domeniche, la mattina messa e il pomeriggio catechismo; inoltre, negli altri giorni della settimana frequentavo gli spazi messi a disposizione dal parroco, l'oratorio dove giocare, passare il tempo e stare con gli altri.
A seconda del quartiere di provenienza si faceva parte di una parrocchia, quindi si frequentavano e si conoscevano persone diverse dai compagni di scuola. Questa cerchia di compagni erano gli amici della sfera religiosa che non coincidevano con tutti i compagni di scuola, solo alcuni. Per finire c'era un altro gruppo di ragazzi che frequentavo e che erano i ragazzi di strada. Con loro vivevo, apprendevo e sperimentavo altro.
Porgi l'altra guancia, non rubare (per ciò che si poteva rubare da ragazzini) non dire falsa testimonianza, non bestemmiare, non dire parolacce, non commettere atti impuri, eccetera, non facevano parte di questo mondo. Qui si era senza freni, tutto era lecito.
Infatti i miei genitori non approvavano e non erano contenti di queste frequentazioni, ma purtroppo erano i vicini di casa. Ricordo ancora l'intimazione di mio padre quando mi incontrava per strada: "A casa presto, di corsa" accompagnata da un'occhiata fulminante.
Il ciclo scolastico delle scuole medie lo frequentai a Santa Venerina, un collegio a cento chilometri da casa, in un'altra città. A dirigere l'istituto erano "I Fratelli delle Scuole Cristiane" un ordine religioso che fa capo, per ciò che riguarda l'insegnamento, a "S. Giovanni Battista de la Salle".
In questo luogo ho trascorso tre anni intensi, pieni e ricchi. Costituiva tutto ciò che un ragazzo a quell'età poteva e doveva avere come possibilità e opportunità per costruirsi un bagaglio formativo di base per poi affrontare in qualunque circostanza le intemperie della vita.
Tutti i giorni la "Santa Messa" era la prima attività quotidiana svolta subito dopo la sveglia, il lavarsi, il vestirsi e il rifarsi il letto. Dopo la colazione seguivano le pulizie dell'istituto: ognuno aveva il suo compito e il suo reparto. Chi si occupava del refettorio, chi del dormitorio, altri del reparto dove c'erano le classi di studio; tutto l'istituto era ogni mattina messo a soqquadro (per modo di dire). Poi seguivano le lezioni: quattro ore intervallate da una pausa dopo le prime due ore.
Dopo pranzo iniziavano le attività pomeridiane che si alternavano tra ricreazione e studio fino ad arrivare, mezz'ora prima dell'ora di cena, alla preghiera serale in chiesa. Dopo cena la ricreazione completava la giornata; in silenzio ed ordinati ci si apprestava a rendere grazia per la giornata trascorsa recitando, ognuno per proprio conto, la preghiera notturna prima di dormire.
Certe volte a sorpresa, dopo cena, si assisteva alla proiezione di un bel film o di qualche spettacolo televisivo: ricordo in linea di massima le partite di calcio e qualche finale di coppa.
Così per tre anni la religione si impossessava del mio corpo e della mia anima. In quegli anni non sentivo il peso dell'osservanza, anzi si accendeva sempre di più la fiamma della vocazione, volevo votarmi a diventare come uno di loro. Quella vita agli occhi di un ragazzo era interessante, affascinante e utile per gli altri. Ricordo la gioia di affrontare il quotidiano e l'impegno nel fare le cose e la serietà che si metteva nell'aiutare gli altri. C'era competizione e solidarietà, ma con la giusta misura che ne dava il senso.
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