Il fuoco scoppiettava nel caminetto, creando frizzanti giochi di luce che quasi ipnotizzavano Ettore. Seduto sulla sua poltrona, si godeva un po' di riposo dopo un'estenuante giornata, finita tuttavia nel migliore dei modi. Finalmente era riuscito a concludere un affare importantissimo, che avrebbe arricchito ulteriormente l'azienda vinicola di cui era proprietario, la più grande e rinomata d'Europa. L'azienda che lo aveva reso uno degli uomini più potenti del mondo.
Si alzò dalla poltrona e si avviò in direzione del minibar. Versò del vino nel bicchiere e, assaporandone il profumo intenso e delicato allo stesso tempo, si immerse in un vortice di ricordi.
Pensò alla morte di Bartolomeo, suo padre; pensò a quel giorno di quarantacinque anni prima, quando il notaio lo convocò insieme ai suoi fratelli per disporre le volontà testamentarie dell'uomo.
Bartolomeo era sempre stato fiero di quel ragazzo così affascinante e ribelle che, contrariamente ai suoi capricciosi e viziati fratelli, voleva farsi strada da sé, con le proprie forze, rifiutando il patrimonio e le ricchezze della sua famiglia. Quel figlio inatteso, nato quando lui aveva già superato la soglia dei cinquanta anni, era sempre stato il suo preferito. Sin da quando lo aveva guardato per la prima volta nei suoi occhietti vivaci, aveva capito che era diverso dagli altri tre figli: Eugenio, presuntuoso e arrogante, abituato a vivere nel lusso, credeva che tutto gli fosse dovuto; Giobbe, troppo stolto e debole per riuscire in qualcosa, faceva la spola da un casinò all'altro, sperperando il denaro di famiglia; e Amanda, dispotica e viziata, il cui unico interesse erano gli uomini, saltava di matrimonio in matrimonio. In tutta la sua vita era riuscita a sposarsi cinque volte. Ettore, invece, non somigliava affatto a loro e crescendo ne avrebbe dato dimostrazione più volte. Era capace, sveglio e testardo: tutte qualità che lo avrebbero portato molto lontano.
Di tutto il suo immenso patrimonio, Bartolomeo gli aveva lasciato solo alcuni oggetti personali, ai quali Ettore era legato affettivamente, e un paio di quadri risalenti al periodo dell'impressionismo. Inoltre, aveva fatto in modo che al suo ultimogenito andasse un vastissimo possedimento: circa 300 ettari di terreno completamente deserto. Suo padre gli diceva sempre che "ciò che rende un uomo ricco e orgoglioso di sé stesso è l'idea di aver creato qualcosa dal nulla". Conosceva Ettore troppo bene; sapeva che non avrebbe mai accettato di vivere sontuosamente col denaro altrui. Il suo immenso amor proprio non glielo avrebbe permesso. Per l'ultima volta il suo amato padre non lo aveva deluso e aveva rispettato e assecondato i desideri, gli ideali e le convinzioni di suo figlio.
In onore di Bartolomeo, amante della natura e della buona tavola, Ettore decise che quel terreno arso e vuoto sarebbe diventato un grande vigneto, dal quale avrebbe prodotto del pregiato vino. Le sue grandi doti imprenditoriali, unite all'innato talento e al suo buon gusto, gli consentirono di creare un nettare di altissima qualità e di espandere la sua attività fino a raggiungere i vertici del settore enologico.
Ormai settantenne, ricordava con piacere quegli anni di duro lavoro, quelle giornate sfiancanti dopo le quali tornava a casa distrutto, stanco, e tuttavia soddisfatto e felice.
Con il bicchiere ancora colmo in mano si avvicinò al caminetto. Sulla base di legno vi era una cornice con una foto di suo padre. Ne accarezzò il volto con un dito mentre una lacrima di commozione gli rigò la guancia.
"Grazie papà" disse, alzando il calice come nell'atto di brindare.
Poi, lo portò alle labbra e bevve.