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La strada del Nord
Mentre le autostrade sono lingue d'asfalto scintillanti, informazioni su display elettronici che danno la situazione traffico in tempo reale, la superstrada a nord di M. è un residuato bellico.
Un'antica opera caduta in rovina.
Abbandonata, inizia a coprirsi di rampicanti, e il cemento lascia spazio al verde, fino a quando non si nota più traccia dell'antica pietra grigia.
Attraversavo tutti i giorni la città divisa in due da quella lunga striscia nera. Come una crepa che si estendeva infinita verso l'orizzonte dopo un terremoto.
Solitamente, nelle ore più trafficate del giorno, un serpentone infinito di luci rosse davanti a me. Quella sera invece si era fatto tardi, la strada era sgombra.
A destra e sinistra troneggiavano enormi caseggiati. Alcuni, costruzioni risalenti agli anni cinquanta, in mattoni. Migliaia di mattoni che si innalzavano per decine di piani. Altri, più recenti, completamente grigi. Abbandonati o affollati che fossero, ostruivano completamente l'orizzonte.
I palazzi e la strada erano separati da un tratto di sterpaglie, che scendeva dalle abitazioni verso l'asfalto. Quella strada sembrava non svuotarsi mai, se non la sera, quando orami tutti erano tornati dal lavoro e il cielo terso si colorava di arancione.
Era davvero curioso osservare le sterpaglie, i rovi, l'erba cresciuta a dismisura: avevano occupato completamente la breve discesa. Quel verde così disordinato, cresciuto spontaneamente dal nulla divideva la vita frenetica dei palazzi e il traffico infinito della strada.
Alcuni avamposti di verde si sporgevano oltre il guard-rail, altri si attorcigliavano sui cartelli stradali. Alcuni ancora coprivano quasi completamente vecchi cartelloni pubblicitari.
La natura che si riappropria della terra.
Esistono posti - riflettevo - che sembrano inaccessibili.
Punti inesplorati del pianeta.
Sembrano.
Il profondo di una foresta, un punto infinitamente lontano tra le montagne. Posti dove mai nessuno si sognerebbe di andare. Il posto ideale per nascondere qualcosa. Eppure quante volte alla radio, alla televisione, si parla di corpi rinvenuti, di cose strane trovate per caso da ignari cercatori di funghi, o persone che portavano a spasso il cane.
Le persone vanno ovunque.
Quel sottile strato di rovi proprio a due passi dalla strada dava invece l'idea di essere un luogo dove mai, negli ultimi anni, piede umano si era posato. Così vicino ma così inaccessibile per via del via vai di automobili.
Se qualcuno si fosse fermato per un emergenza, come accadde a me quella sera, nei pressi del chilometro dodici, pochi metri oltre il cartello che indicava l'uscita successiva, avrebbe potuto però scorgere qualcosa.
Guardando in alto, il cielo arancione della sera.
Poi, abbassando lo sguardo, avrebbe notato, coperto qua e là dalla ruggine, un pezzo di metallo, scuro. Come feci io quella sera.
Mi guardai attorno furtivo, come geloso di quella piccola scoperta. Spostando con un bastone i rovi, potevo intravedere il resto della struttura che terminava tra le radici e ancora più in là, nella terra. La superficie era liscia, a parte i segni del tempo che affioravano qua e là.
Una bomba.
Ogni tanto il rombo di un'auto. E, subito dopo, lo spostamento d'aria.
Una vecchia bomba, risalente magari alla guerra finita anni prima. Lanciata da qualche aereo o lasciata lì di proposito da un gruppo di soldati. Quella strada esisteva da decenni. Levai subito il bastone da lì. Durante la guerra, avevo letto, la città era stata quasi completamente rasa al suolo.
Eppure non sembrava esattamente una bomba. La forma era cilindrica, certo. Era però più grossa delle tipiche bombe che ogni tanto vengono rinvenute in città. A notarla bene, pareva che anziché stringersi nel momento in cui entrava nel terreno, si allargasse.
Con il bastone scavai leggermente nella terra, e trovai conferma: sotto uno strato di qualche centimetro la superficie metallica effettivamente si allargava, come le radici di un albero.
La punta di un iceberg.
Pensai che forse avevo visto troppi film di fantascienza. Perché quella aveva tutta l'area di essere una cosa caduta dal cielo.
E la ruggine, a guardarla bene, non sembrava neppure vera ruggine. Sembrava più una bruciatura, come se il metallo fosse stato coperto da un leggero strato di cenere. Con la mano strofinai la superficie, e sotto quello strato più scuro, riuscii ad intravedere uno strano geroglifico.
Mi avvicinai con lo sguardo, scansando alcuni rami.
Quello che vidi era incredibile.
Presi un foglio di carta e la matita che avevo in tasca e ne annotai i caratteri.
ЖҸӘלמפӘЖ...
Da dove arrivava quella protuberanza metallica che usciva dal terreno?
Col bastone scavai di nuovo, ma più toglievo terra più sentivo contatto con la superficie metallica. Poteva estendersi per metri e metri. Forse decine, centinaia di metri. Per una casualità, nessuno, né i costruttori della strada, anni prima, né, più in alto, i costruttori dei palazzi, avevano scavato lì.
Di nuovo, il rombo delle auto che si facevano sempre più rade.
E il cielo da arancione iniziava a spegnersi.
Beh, di fronte a quella scoperta, decisi che il cadavere appena fatto a pezzi della nonnina che tenevo nel bagagliaio lo avrei nascosto cento metri più avanti.
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