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Mia madre
Non sapevo cosa c'era che non andava, ma la mia sofferenza non aveva fine, passavo da momenti allegri a momenti cupi, beh i momenti cupi erano più lunghi, mi tormentavano, mi tenevano sveglia la notte, prigioniera durante il giorno e io non ne venivo a capo. Per fortuna una mia cara amica capì che ero cambiata, capì che qualcosa mi tormentava, e da persona più esperta della vita mi osservò per un po' di tempo, e mi consigliò di scrivere le mie sensazioni, belle e brutte e poi di rileggerle. Così feci e, dopo qualche tempo le rilessi; finalmente capì : Avevo un grande dolore nel cuore e non sapevo come elaborarlo, tenere tutto dentro non aiuta e così l'ho voluto raccontare a tutti, ora il dolore è sempre lo stesso ma mi sento più leggera, dormo la notte e le giornate non sono più la mia prigione e spero che questa mia esperienza possa servire ad altri. Il dolore non va chiuso in uno scrigno perché ci divora l'anima, diventa nostro padrone e non allenta facilmente la presa; bisogna avere il coraggio di parlarne, di sminuzzare gli angoli più dolorosi, e soprattutto di accettarlo come conseguenza inevitabile della vita stessa e così si permette all'animo nostro di aprirsi a nuove gioie.
Tutto cominciò la sera di quel terribile 18 febbraio di 6 anni fa, come al solito mi scocciavo alla grande di fare gli auguri di onomastico a mia cognata ma i rapporti di buona parentela me lo imponevano , non avevo nulla contro mia cognata, ma quella sera ero particolarmente stanca, cercavo un momento di pausa, un attimo tutto per me per raccogliere i miei pensieri e le mie speranze e mentre decidevo arrivò la terribile telefonata. Era Maria (mia sorella)
Maria : Laura... mamma ha avuto un incidente, ma non ti preoccupare la TAC pare buona ora sta a Bosco
Laura : ma come, che dici, spiegati meglio.
Maria : un camion l'ha investita, ha una ferita alla testa. Era scesa a comprare lo zucchero, (ma a casa ce ne era) forse le sigarette, lei non ricorda perché è scesa, ha fatto un volo di 10 metri.
Laura: Maria, domani sto li da voi.
Telefonai alle altre, Anna e Cristina, prendemmo accordi per il giorno dopo. Durante la notte i nostri telefoni squillarono continuamente, ogni volta che si sapeva qualcosa di nuovo c'era un giro di telefonate. Quella notte seppi che mamma non era stata investita da un camion, ma da un tir con rimorchio, sulle strisce pedonali in una piazza a doppio incrocio. Questo vuol dire che il tir non aveva rallentato durante il primo incrocio e arrivò al secondo incrocio ad una velocità di circa 80 km all'ora prendendo in pieno mamma. Sull'altra corsia viaggiava un'altra automobilista che dichiarò di non essersi quasi accorto del sopraggiungere del tir e di essersi fermato per permettere il passaggio del pedone(mia madre). La strada che attraversava la piazza era una provinciale e chiudeva la piazza in una curva chiusa cosi che la visuale non era completa.
Partimmo la mattina presto, le preoccupazioni erano tante, fu un viaggio lunghissimo, sembrava che avessero spostato Bergamo al Polo Nord, alla stazione c'era mio fratello Carlo , aveva una faccia cadaverica, gli occhi segnati dal pianto, pensai a come si doveva sentire, in effetti essendo il figlio maschio più grande sentiva tutto il peso del mondo sulle spalle.
Arrivammo finalmente in ospedale, le scale, i corridoi, le camerate e finalmente la vidi, Dio che tonfo al cuore, la mia mamma stesa in un letto di ospedale, la mia eroina ridotta a un cucciolo bastonato, lei che era stata sempre al centro di ogni cosa.
Come mi parve piccola e fragile.
Ci vide, ci sorrise, ci avvicinammo, la baciammo delicatamente sul viso nel timore di farle del male, aveva una medicazione al lato della testa, dei monitor evidenziavano le sue funzioni, Lei, pallida, provata, stanca, ci guardò uno ad uno, cercò di rassicurarci che il peggio era passato. Si informò per quelle di noi che ancora mancavamo, ci disse di non farle preoccupare che era cosa di poco conto. E ancora si preoccupava del nostro benessere e no di se stessa. Non so quando tempo rimanemmo con lei, ma sembrava così breve. Tornammo a casa di mio fratello, ci abbracciammo un po' tutti e ognuno parlava e ascoltava, avevamo sete di informazioni o meglio di riassicurazioni. Ci dividemmo i turni per non lasciarla da sola la notte, per lo meno i primi tempi visto che la prognosi era ancora riservata. Lei aveva un trauma cranico con emorragia, un polmone collassato 2 costole inclinate ed ematomi vari. IO le feci la notte dopo, chiacchierai con lei per quasi 3 ore, ricordammo il tempo e i fatti passati, era lucida, non aveva tralasciato nulla, mi chiese di prendere il suo posto nella cure cimiteriale di tre suoi piccoli angioletti nel cimitero di Bari , la tranquillizzai, le ricordai che erano anche miei fratelli e che da quando si era trasferita io già provvedevo a loro, mi sono sempre ricordata le sue grida di dolore ogni volta che perdeva un figlio.( Ero piccola la prima volta che successe : Babbo e mamma tornarono dal lavoro la sera tardi, mamma subito si accorse che il piccolino aveva un malessere, lo prese in braccio e uscì con babbo, noi guardammo dal balcone, li vedemmo cercare aiuto alle macchine che passavano ma nessuno si fermò, non so perché ma anche se piccola ebbi la sensazione di tragedia, quelle immagini non le ho più cancellate dalla mente, poi finalmente un'automobilista si fermò e dopo poco sparirono dalla nostra vista. Tornarono a notte inoltrata senza il fratellino che aveva meno di due anni, si sedettero alla tavola della cucina, babbo appoggiò il capo sul piccolo cuscino del suo bimbo, mamma si guardò intorno voleva tenere giù le lacrime ma poi sopraffatta dal dolore si lasciò andare, pianse, gridò, cercò del suo bimbo. Al suo pianto si aggiunse quello di babbo, non capivo bene ma mi lasciarono un senso di sconforto nel cuore che singhiozzavo senza capire bene cosa fosse successo a mio fratello., Ero più grande, ragazzina, la seconda volta che successe, fu un parto un po' lungo, all'epoca io ero ignara dei segreti della vita, non capivo ancora, ma dopo un po' la levatrice ci fece entrare, era un bel bimbo grande, la levatrice lo stava accudendo quando qualcuno, forse mia sorella, credo di ricordare, si accorse che aveva le unghiette scure, troppo scure e fece notare la cosa alla mamma, ci fu una nuova corsa all'ospedale. poi non ricordo bene, forse passò un giorno, fatto sta che bussarono alla porta, qualcuno di noi andò ad aprire e mamma gridava dalla camera da letto per sapere chi fosse. Mia madre difficilmente gridava, penso che avesse intuito, penso che capì, erano due addetti dell'ospedale e ci portarono l'atroce notizia, a mamma non restò altro che piangere quest'altro figlio. Ero sedicenne la terza volta e mi toccò anche organizzare il funerale. La bimba, mia sorella nacque già morta, mi recai al cimitero della mia cittadina e chiesi, mia sorella stava ancora nella sala mortuaria, vi entrai, c'erano due piccole bare, semplici, una di esse aveva il coperchio spostato e una parte del lenzuolo fuoriusciva, inconsciamente pensai di provvedere e alzato il coperchio sistemai il lenzuolo, intravidi un piedino esanime, di colore scuro ma no scuro di carnagione , poi vennero gli operai del cimitero spostarono le casse su di un carrello e io domandai quale delle due era la mia sorellina, mi indicarono quella che io avevo sistemato, chissà perché la vita mi regalò un attimo con mia sorella, la vita mi regalò un attimo di magia che mi ha aiutato a percorrere la mia strada consapevole del valore della vita stessa ; e poi ci avviammo, arrivati presso il cancello maggiore attraversammo un lungo corridoio fino ad una radura un po' nascosta agli occhi dei più, domandai come mai fosse stato scelto quel luogo, con gli occhi dei sedici anni io pensavo ad un luogo soleggiato, arioso e insomma un posto in prima fila, questo avrei voluto per mia sorella. Invece no, mi fu detto che quello era il posto destinato ai piccoli nati già morti, ai piccoli che non avevano neanche il conforto di un fiore, il conforto di un genitore, di una preghiera. Allora mi guardai intorno, effettivamente la radura era divisa in fosse veramente piccole, su alcune c'erano vecchie croci in ferro stile antichi cimiteri, l'operaio mi disse che li non andava mai nessuno e che quelle piccole anime sarebbero state dimenticate ben presto. Io non volevo questo per mia sorella, sapevo perché non c'erano i miei genitori, mamma ancora in ospedale perché aveva un'infezione in atto e mio padre doveva lavorare per gli altri figli, erano tempi duri e noi eravamo una famiglia numerosa assai, però mia sorella non era sola, c'ero io, sua sorella più grande, per l'altro bimbo non c'era nessuno, ;gli operai finirono il loro lavoro, misero sul fosso una croce uguale alle altre, vi agganciarono un cartellino con i dati, nome cognome data di nascita e di morte, e poi basta andarono via. Mi chinai e deposi il mio mazzo di fiori, recitai una preghiera e le promisi che sarei tornata, non avrei permesso mai che il tempo ci costringesse a dimenticarla.)
Ancora oggi non riesco a capire il rapporto tra me e mia madre, non ci vedevamo spesso per la lontananza ma quando ci sentivamo c 'era una simbiosi di pensieri che tutt'ora non mi so spiegare. Forse i caratteri simili, forse la testardaggine nel portare avanti i nostri sogni, forse la coscienza di una vita precaria e difficile. Poi lei, come sole le vere mamme sanno fare, mi disse di stendermi sul suo lettino e di cercare di dormire un po'. Ferita, ancora pensava a fare la mamma, pensava ancora al mio benessere, negando i suoi diritti di essere umano La guardai e le sorrisi, le dissi che se fosse stato necessario ero disposta a stare in piedi al suo capezzale per tutte le notti dell'eternità, che non doveva preoccuparsi per me ma che doveva pensare solo a rimettersi in sesto, che avevamo ancora tanto bisogno di lei, le disse che noi figli non eravamo ancora pronti a camminare da soli sulla strada della vita e che lei era obbligata a farci ancora da scorta e che quindi non le restava altro da fare che riprendersi. Mi chiese di bere, le avvicinai il bicchiere con la cannuccia ma dell'acqua cadde e le bagnò la maglietta, decidemmo di cambiarla. Presi una maglietta pulita, mi sconcertò molto il fatto che lei tirò le lenzuola sul seno mentre sostituivo la maglia, quel suo pudore di donna all'antica l'aveva sempre contraddistinta e anche se nella camerata c'erano solo donne non ci si poteva stare in modo sconcio.
Per mia madre il pudore era una regola di vita, ed era anche una cosa innata in lei, era sempre in ordine, non ho mai sentito uscire una parolaccia o una imprecazione dalle sue labbra nonostante le difficoltà che doveva affrontare.
La mattina dopo mia sorella mi diede il cambio, passai la giornata a casa di mio fratello, nel frattempo stavano arrivando anche le altre, ed era un continuo ricordare momenti belli e brutti, nel primo pomeriggio andai di nuovo in ospedale per salutare mia madre, aveva avuto una ripresa eccezionale, i medici stessi erano meravigliati,. Ormai il pericolo era rientrato, ora ci voleva solo un po' di tempo per chiudere tutte le ferite, e tranquillizzate dalle parole dei medici ognuno di noi decise di tornare a casa ; tutte avevamo lasciato dei problemi ; io avevo una figlia prossima al parto ed era una gravidanza difficile) comunque, in modo particolare, ero soddisfatta infatti di li a pochi giorni sarebbe stato il mio compleanno, sarei andata in qualche santuario festeggiando così alla grande anche la miglioria di mamma.
Tornata a casa rassicurai i miei figli sulla salute della nonna, mio marito (la cui apprensione era pari alla mia, voleva molto bene alla suocera al punto da considerarla come se fosse la sua stessa madre)fu molto contento di come le cose avevano preso un verso positivo. Quella sera, al sicuro tra le mura di casa mia, mi sentivo veramente privilegiata; era la seconda volta che mamma veniva investita da un'autocarro con rimorchio, la prima volta fu all'incirca nel lontano '69, noi eravamo tutti piccoli e i miei ricordi sono sfumati, mamma stette in coma per circa un mese, non so se fosse un coma indotto dai medici o altro, e il mio papà aveva riportato danni allo sterno e il femore gli era fuoriuscito dalla sede dell'anca, fatto sta che alla porta di casa nostra si presentarono due carabinieri , ci dissero dell'incidente, l'autocarro aveva investito l'auto dei miei genitori distruggendo completamente la parte anteriore della 500'giardinetto, mamma fu ritrovata 30 metri distante la macchina e dalla parte opposta. Ironicamente pensai che mamma ce l'avesse con gli autocarri ma pensai anche che, come per il passato, sarebbe stata si una cosa grave ma che sarebbe rientrato tutto. Tranquilla, calma, rassicurata dai fatti del giorno dormii' serena come una bimba.
E invece non fu più così. la tragedia era prossima e lavorava contro di noi e noi ne eravamo ignari. Il giorno dopo mio fratello mi telefonò, mi disse che avevano sciolto la prognosi e che avevano anche fatto alzare la mamma dal letto, mi disse che furono pochi passi ma che li aveva fatti, le avevano dato anche il pranzo normale come se fosse una degenza meno grave, però mi disse anche che mamma si era lamentata e che non aveva la forza di stare in piedi e in più , ad un'altra mia sorella mamma disse che se le accadeva qualcosa dovevamo chiedere al giudice di ordinare l'autopsia perché era convinta che le erano stati somministrati medicinali sbagliati. Mia madre non ne capiva nulla di medicinali ma come ogni paziente si sentiva medico di se stessa; sentiva che c'era qualcosa che non andava, la verità (capita, compresa da noi figli solo dopo la sua morte) è che aveva bisogno di medicinali antiemorragici (per l'emorragia celebrale) e di medicinali per fluidificare il sangue (per favorire l'assorbimento dei liquidi plasmatici nei polmoni). Non sono medico e non so se quello che asserisco corrisponda a verità , ma al mio occhio profano e con il senno del poi mi sembra il tutto abbastanza plausibile: mia madre aveva bisogno di medicinali contrastanti tra loro.
Mia madre è sempre stata una persona dalle doti eccezionali e se diceva una cosa era sicura di se ; al momento il fatto non ci preoccupò poi tanto perché la realtà era un'altra, i medici parlavano di ripresa, si era alzata, la prognosi sciolta ; pensammo che i colpi ricevuti avessero un po' ombrato il suo senso e le sue facoltà e non volevamo credere al peggio, volevamo credere ad una ripresa vera e certa, lasciammo perdere i cattivi pensieri cercando di tirarle su il morale. Mamma stava guarendo e io, felice, pensai che potevo anche festeggiare il mio compleanno due giorni dopo, ne avrei approfittato per festeggiare anche questa nuova felicità ,( era il 27 di febbraio,), acquistai tutto l'occorrente per la torta e una bottiglia di spumante, anche se ormai lontana da mamma avrei brindato alla sua salute, quale regalo più grande la vita mi poteva fare? . E poi venne la doccia fredda, fu come quando d'estate un fulmine squarcia la tranquillità di un cielo sereno . Quel pomeriggio arrivò la seconda telefonata di mio fratello, avevano trasferito d'urgenza mamma all'ospedale di Bergamo , all'improvviso si era aggravata, bisognava rifare la TAC, fu portata in sala operatoria e dopo non so quando tempo trasferita in terapia intensiva, l'intervento non fu completato perché inutile. Quando nell'ospedale di Bosco avevano messo mamma in posizione eretta non avevano considerato a fondo la gravità dei trombi, aveva tutto un polmone congestionato dai versamenti formatisi duranti lo schianto e la posizione eretta avevano facilitato lo spostamento degli stessi.
In sala operatoria si resero conto ben presto che era una situazione troppo compromessa, non sarebbero mai riusciti a risucchiare tutto il versamento, nel frattempo avevano sospeso i medicinali che tenevano sotto controllo l'emorragia celebrale per poter somministrare i medicinali che avrebbero dovuto fluidificare il versamento nel polmone. Quasi subito la ferita alla testa incominciò a sanguinare, gli organi vitali come reni e fegato stavano collassando, quindi si era creata una situazione paradossale, verso l'una di notte mio fratello mi chiamò dicendomi di far presto a salire su se volevo salutare mamma, che ormai non si poteva fare più nulla, che come possibile terapia erano rimaste solo le preghiere. Se fosse stato utile quella notte avrei copiato tutta la Bibbia. Fu una notte di inferno, forse la più lunga della mia vita. Preparai alla rinfusa una sorte di valigia, dovevo partire il giorno dopo, non riuscì a dormire, feci avanti e indietro la mia cucina non so quante volte, fumai una quantità impressionante di sigarette ; dovevo prendere il treno delle 6 ma arrivò prima la telefonata di mio fratello che con un pianto straziante mi annunciò la morte di mia madre avvenuta alle 5 di mattina. Io sono nata lo stesso giorno alle 5 di mattina, non ricordo in quel momento cosa mi passò per la mente, oggi vorrei solo sapere se per me è un privilegio o una punizione condividere questa data con mia madre. Tra me e Lei c'erano giusto 20 anni di differenza, con la mente la vedovo che mi stringeva tra le braccia, esausta dopo le fatiche del parto ma soddisfatta e felice di avermi generato e non riuscivo a vedere me che le asciugavo il sangue che le colava giù per la tempia, non riuscivo a vedere me che le sollevavo il capo per aiutarla a respirare. Non riuscivo a vedere me che l'aiutavo a vivere o che cercavo di strapparla alla morte.
Non prendemmo più il treno, usammo la macchina perché con noi venne anche mio marito. Ci riunimmo tutti a casa di mio fratello non riuscivamo a stare fermi si vagava da una stanza ad un'altra come se l'indugiare ci potesse ridare mamma, stavamo decidendo sul da farsi, già era stata scelta la bara, il dolore era opprimente, dovevamo aspettare che ci dessero il permesso di portare via la salma, invece arrivo una convocazione da parte dei carabinieri, bisognava che qualcuno si recasse in ospedale per il riconoscimento della salma per l'autopsia. Seppi poi che quando la morte non avviene subito dopo l'investimento ma dopo il ricovero per più giorni in ospedale il giudice dispone per l'autopsia per chiarire le responsabilità anche dei dottori, per sapere se la morte è diretta conseguenza dell'incidente. Ci guardammo in viso, nessuno si fece subito avanti, per dolore, per paura per tanti motivi, dopo un po' mio fratello si decise e si fece avanti e io lo seguì a ruota con altre due sorelle. Sapevo bene cosa mi aspettava, avevo visto tanti film polizieschi. Arrivati in ospedale dovemmo svolgere le pratiche burocratiche e poi un'infermiera ci disse di seguirla, arrivammo ad una porta, l'infermiere ci fece un cenno con il capo e ad un nostro assenso aprì la porta. Ci ritrovammo in un lungo stanzone, bene illuminato e tra tutti gli arredi risaltava agli occhi un tavolo in acciaio molto lungo, su un lato di esso vi era una sagoma avvolta da un lenzuolo. Mi tornarono alla mente tutte le scene dei film visti, ma con fredda sicurezza mi avvicinai e sollevai un lembo del lenzuolo, l'infermiera mi bloccò e fu lei stessa a scoprire il volto di mia madre, mio fratello si strinse a me e mi disse di farmi forza, ma io avevo già con me la forza e la determinazione di mia madre che nella sua vita non si era mai tirata indietro. Guardai il suo volto, aveva sul viso i solchi che lasciano le lacrime quando non vengono asciugate, dunque aveva pianto, da sola in terapia intensiva, in balia di un destino crudele, immaginai i suoi pensieri, a chi lasciare Ludovica con la sua malattia, e chi si sarebbe preso cura di Maria e poi Carlo come avrebbe fatto nella vita se fino a quel momento era stato tanto sfortunato, noi tutti come avremmo fatto senza di lei? Penso che per una madre debba essere atroce sapere di morire e non poter chiudere tutte le questioni. E poi ancora una volta da sola. Si perché giovane sposa aveva lasciato la sua famiglia in Aspromonte per vivere con il marito a Bari e di li a due anni tutta la sua famiglia, nove tra fratelli e sorelle e i genitori emigrarono in America e dunque ancora una volta sola. Aveva condotto tutta la sua vita da sola, senza il conforto di una madre nei momenti tristi, senza una parola amica da parte di un fratello, senza la complicità di una sorella, c'era per fortuna il suo grande amore, il marito a cui lei aveva donato il suo cuore, la sua dedizione. Le accarezzai il viso, le diedi un bacio sulla fronte, l'infermiera fece un passo per fermarmi ma non poteva nulla contro la mia determinazione, ben sapevo che quella era l'ultima volta che avrei potuto avere un contatto fisico con mia madre, non so se fossi io in uno stato di grazia ma contrariamente a quello che si crede mia madre non aveva il viso freddo della morte anzi il suo viso era vellutato e di un piacevole frescura, era la mia mamma. L'infermiera tirò su il lenzuolo e ci accompagnò fuori dalla stanza, e così noi andammo via. Fuori all'ospedale mio fratello ebbe un momento di disperazione, voleva tornare indietro, voleva sapere il perché di tutto, mio fratello voleva mille risposte ma nessuno mai avrebbe potuto dargliele; cercai di fargli forza ma le parole mi morivano in gola, non seppi dire e fare nulla per lui. Non ricordo quando tempo passò, forse a malapena un giorno fatto sta che ci ritrovammo tutti nella camera ardente dell'ospedale. Mia madre era stata composta in una bara, c'erano fiori un po' in ogni posto, ma quello che subito ci parve strano erano le mani di mamma, non erano state messe come si fa in questi casi giunte sul petto per mimare una preghiera ma le scendevano lungo i fianchi, qualcuno disse che l'avevano sistemata come si fa con le donne di quella regione, ma a me pareva ancora più assurda come spiegazione, la mia mamma credeva in Dio, e ha sempre vissuto in maniera trasparente, ci ha inculcato i dogmi della nostra religione non come un fatto astratto ma come stile di vita e non aver le mani giunte per me è stata proprio una cosa di difficile comprendonio ed è stata un'altra sofferenza che Lei ha dovuto subire, in una mano aveva un rosaio. Facevamo la spola tra il cortile dell'ospedale e la camera ardente, qualche lacrima di tanto in tanto scorreva sul mio volto, ma non è stato mai un pianto liberatorio, è stato più come quando ero piccola e per orgoglio non volevo farmi vedere piangere. Parlando con le mie sorelle venni a sapere che dopo l'autopsia mamma non era stata ricucita a dovere e che gli addetti delle pompe funebri si prodigarono in modo esemplare e seppero donare dignità ai resti di mamma, fu questa la ragione per cui mamma non poteva avere le mani giunte sul petto. Dio quanti pensieri, che scempio era stato fatto del suo povero corpo, so bene nei particolari come si esegue un'autopsia, una vita intera tra preoccupazioni e sofferenze e ora anche la morte così tragica. Quelli delle pompe funebri furono veramente delle persone eccezionali, l'avevano ricomposta con grazia e amore, quasi come fosse stata la loro mamma, ma questo fatto non mi meravigliò più di tanto perché la mia mamma era speciale e si faceva voler bene da tutti fermo restando che riusciva anche ad imporsi, ma con tatto e amore. C'erano i miei cognati, ognuno diceva la sua ed io li guardavo da lontano, ascoltavo il loro parlare e mi accorsi che qualcosa strideva, al mio orecchio le loro parole suonavano false e ipocrite, o quasi tutte ; quante volte mamma ;al telefono, si era confidata di questo o quello, mi raccontava ogni torto ricevuto sicura che io non l'avrei mai tradita, e ora stavano tutti la a raccontarsi, come se volessero aver ragione di lei, avrei voluto cacciarli, non credevo nel loro dolore, sapevo di troppe cattiverie ma sapevo anche che mamma non avrebbe mai creato problemi alle proprie figlie e come lei io feci finta di niente. Così passò la mattinata, poi ci accorgemmo che il cuscino dove mamma poggiava la testa incominciava ad essere umido, e il mio sapere ancora una volta mi tormentava, sapevo che le avevano capovolto il cuoio capelluto, che avevano aperto il cranio per esaminare i danni causati dal trauma cranico, e quindi ora i liquidi corporali non frenati più dai medicinali iniziavano a scorrere sul cuscino, gli addetti delle pompe funebri ci dissero che ormai era il tempo di chiudere la bara, e sigillarono la stessa, furono lenti e parsimoniosi, quasi volessero evitare che qualche scintilla potesse ferire mamma, di tutto il loro atteggiamento io gli sono grata, non ho mai visto estranei prodigarsi così tanto verso una sconosciuta.. IL loro lavoro fu oltre il dovere. E come se mamma ancora una volta facesse girare il mondo attorno a se. Era una donna speciale, riusciva dal nulla a creare ciò che le serviva per noi figli. E il corteo funebre, lungo silenzioso partì alla volta del paesino. In chiesa c'erano tutti, come era riuscita in così poco tempo a farsi accettare e amare da tutto un paese, pareva un po' la mamma di tutti. Fu celebrata la funzione religiosa, il prossimo distacco da lei era eminente e avrei voluto che quella Santa Messa non finisse mai. Purtroppo non fu così, mesto e silenzioso il corteo si avviò verso la destinazione finale, mamma fu tumulata presso il loculo del marito, stemmo ancora qualche tempo con lei e poi fatto buio tornammo a casa di mio fratello, stemmo quasi tutta la notte a piangere, ( io no, io non piango mai) a ricordare vari episodi della sua vita. Io cercavo di consolare i miei familiari, sapevo che per mamma finalmente le tribolazioni di una vita difficile assai erano ormai finite, si era ricongiunta all'amato marito, e a quei figli che le furono strappati così tragicamente. Ancora oggi ringrazio il Dio per la fede che mi ha concesso, altrimenti non saprei proprio come sarebbe stata la mia vita.
So che l'anima di mamma gode della luce eterna, ma io non riesco ancora ad accantonare il dolore per la sua dipartita, il dolore per lo scempio fatto del suo corpo, per i pensieri atroci che Lei avrà avuto quando si rese conto di doversene andare lasciando alcuni figli ancora in condizioni precarie per un verso o un altro, non riesco a pensare i suoi occhi che cercano nella camera una faccia amica, i suoi occhi che cercano il viso di una figlia, sola ad affrontare la morte, avrà avuto paura? Continuo a svegliarmi in preda agli incubi, sogno la mia mamma che cerca di coprirsi il corpo con un lenzuolo ma non riesce ad usare le mani perché affondano nel torace e lei si dispera e piange, ed io non ho modo di consolarla. Ancora oggi quando viene il 28 febbraio vorrei tornare indietro negli anni a prima dell'incidente , o vorrei cancellare quel giorno dal calendario, e non c'è pericolo che io dimentichi :è il giorno del mio compleanno e a nulla serve il fatto che
io non lo festeggi più, il ricordo si rafforza ogni volta.
Dall'incidente alla morte di mamma trascorsero 10 giorni, penso che a mamma siano stati regalati 10 giorni per permetterle di salutare i suoi 10 figli
E poi ora che tutto è finito la mente ricuce i vari ricordi e vi da una nuova collocazione, alcuni di noi avevano avuto dei presagi, la mamma stessa sognò della sua morte, mi ricordo che quando una di noi faceva un sogno particolare si confidava con gli altri per cercare di capire il significato del sogno stesso;si lo so che è una cosa poco credibile per una mente razionale ma a noi succedeva così.
Alcune avevano sognato mio padre (morto già da una decina di anni) che passeggiava con la mamma tenendola stretta per la mano, altre di noi avevano sognato la nonna che chiamava la mamma, le diceva di far presto, di raggiungerla perché aveva bisogno di lei.
Istintivamente non volevamo capire, ma ognuno di noi aspettava che accadesse qualcosa di terribile, altre si chiudevano a riccio pensando che se non raccontavano nulla non sarebbe successo nulla.
Questa particolarità è sempre stata presente nella nostra famiglia, a volte ci ha aiutato ad evitare pericoli, altre volte ci ha aiutato ad affrontare il dolore, ed erano segni così chiari e nitidi, c'erano sogni belli, chiari, colorati, briosi per eventi belli, e sogni angosciosi, tristi, cupi per fatti brutti.
Lo so che non sto parlando di operazioni di matematica dove i numeri danno risultati certi e inconfutabili, ma di sogni, sensazioni , cose che nessuno può definire certe ma allo stesso tempo nessuno può negare, la storia tutta ci parla di profeti e sensitivi.
Oggi abbiamo paura di incontrarci, abbiamo paura di raccontarci, ognuno di noi nasconde la testa nella sabbia.
Per lungo tempo ho criticato il medico legale per aver lasciato mamma in quelle condizioni ma pensandoci bene non potevano agire diversamente, aperta due volte, per l'intervento e per l'autopsia, c'era poco da ricucire, ; e poi il referto autoptico, doverlo leggere, cercare chiarimenti sui libri, capire le tecniche, guardare le foto, ( e bisognava farlo per forza perché mia madre mi ha insegnato ad andare sempre in fondo alle cose incominciate ) e poi comunque non ci sono sacrifici grandi abbastanza per ripagare l'amore di una mamma.
Vorrei ringraziare i panettieri del paese dove abitava mamma, ci servirono di pane tutti i giorni dall'incidente al funerale e non vollero mai essere pagati, che cuore grande hanno dimostrato di avere, silenziosi e discreti hanno partecipato al nostro dolore
E poi ci sono tanti episodi collegati a questo evento tragico, episodi che fanno capire come può essere cattivo e malvagio l'animo umano, ma di questo non ne parlo perché ognuno di noi prima o poi si ritroverà da solo con se stesso e allora cosa si racconterà? E poi non penso di essere all'altezza di giudicare l'operato degli altri, vorrei solo ricordar loro che avere pietà del dolore degli altri non è segno di debolezza, ma di grande coraggio.
Dopo l'incidente di mamma in quella piazza è stata travolta un'altra donna, pure per lei è stato un incidente mortale, ora hanno costruito un sottopassaggio, peccato che la mia mamma non lo ha potuto mai percorrere.
Ogni tanto penso alla vita di mamma, mi tornano alla mente tanti episodi, belli e brutti.
Mi ricordo di quando ci fu il terremoto a Bari io ero piccola, ricordo tante urla, la gente che scappava e mia sorella che mi tirava, ogni tanto babbo e mamma alzavano gli occhi su per vedere, non so allora cosa volessero vedere, però ricordo che quando alzavo gli occhi pure io mi dispiaceva perché non si vedeva il balcone di casa mia, dormimmo tutti a terra, tanta gente, era un gioco che mi spaventava, però c'erano delle coperte calde, ogni tanto mamma ci guardava e diceva: 1, 2, 3, 4... 1, 2, 3, 4.. si! , ci stanno tutte. Ricordo che poi andammo a casa della zia, però non riuscivo a capire perché la zia poteva stare a casa sua e noi no. Solo in età adulta ho capito e posso spiegare, era stato appuntato un centro di raccolta in piazza Municipio, i militari avevano portato delle coperte, penso acqua e viveri, come normalmente si fa in casi di emergenza, e per la zia il mistero è presto spiegato, la zia abitava in un palazzo nuovo nella zona del Bari, noi invece abitavamo nella parte antica della città (alle spalle di via SSSSSSS) e i danni furono tanti. La conta di mamma è presto chiarita, aveva la paura o forse il terrore di perdere qualche figlia in quella confusione.
Ogni tanto in tv danno dei vecchi film, a volte fanno vedere come si passavano le giornate al mare ed io mi tuffo in quelle immagini,
Memorabili erano le sue torte, preparava dei Pan di Spagna di una morbidezza unica, beh dire preparava è errato perché coinvolgeva tutte noi facendoci preparare la prima parte della torta, ci divideva in squadre, una squadra doveva amalgamare i tuorli con lo zucchero, e l'altra montava i bianchi a neve, per noi era una gara, ci guardavamo, ci soppesavamo e ci spronavamo ad aumentare la velocità del polso e quando era tutto ben lavorato proseguiva Lei, univa i composti e infornava e noi tutti contenti perché avevamo cucinato. Dopo la cottura veniva il momento della verità, ci eleggeva tutti a giudici e dopo aver assaggiato la torta dovevamo dare un giudizio; naturalmente la torta era squisita, ma lei così facendo ci aveva coinvolti tutti e ci aveva insegnato la complicità di un lavoro di squadra e qualche primo apprendimento di cucina.
E quando facevamo qualcosa di sbagliato? Quello per noi era la cosa più brutta perché mamma difficilmente ci mollava un ceffone ma ci faceva diventare giudici di noi stessi ; l'umiliazione che suscitava in noi stessi era veramente pesante, e dopo le prime volte nessuno di noi si metteva in condizioni di essere punite. Considerate che quasi tutti i fatti raccontati si rifanno al tempo in cui io vissi a Bari , e che io in quella città completai la scuola elementare, quindi tutti i fatti sono avvenuti entro il mio decimo anno di vita e oggi guardando le nuove generazioni posso dire che l'educazione di mamma è stata grande, anche perché io ricordo il lavoro ma anche tanti momenti di gioco, dunque mamma riusciva a farci lavorare giocando? Ha lasciato che noi vivessimo la nostra infanzia giocando e inconsapevolmente lavoravamo aiutando la famiglia?.
Si è vero, eravamo tanti figli ed è stata duretta andare avanti, mia madre ci ha lasciato una grande eredità :l'amore per noi stesse, il rispetto per tutti (belli e brutti, ricchi e poveri, intelligenti e stolti)la determinazione di portare avanti tutti i lavori incominciati, la consapevolezza di accettare le conseguenze delle proprie azioni, un diploma e l'acquisizione della patente di guida ( per le ultime due cose mamma ci teneva in modo particolare, diceva che la nostra autonomia sarebbe stata anche la nostra libertà)
Eccezionale era quando si prospettava un amore per qualcuno di noi, diventava la sua ombra, osservava, calcolava, soppesava e poi sentenziava il suo giudizio. Se il candidato di turno passava l'esame era tutto più facile, ma se così non era, bisognava ragionarci su, ci si poteva provare, ma con prudenza, sottostare a delle regole, tanto, diceva Lei, se scappa non fa per te. Effettivamente ne abbiamo visti parecchi scappare. Ci ha controllato a vista ma non ce ne siamo mai accorte, per lei non aveva importanza l'aspetto esteriore, la cosa importante era un lavoro pulito, buone maniere e una eccellente dirittura morale.
Il ricordo più bello in assoluto è stato il giorno del mio matrimonio. Tra tanti figli quella che si è sposata per prima sono stata io, la quarta. Mamma aveva appena 42 anni l'ultima sorellina aveva sei anni, era anche un periodo abbastanza florido per la mia famiglia. All'epoca i matrimoni non erano tanto sfarzosi come quelli di oggi, si badava più alla sostanza che alle frivolezze, comunque sia era pur sempre un dispendio economico e mamma riuscì ad organizzare tutto, dal vestito di sposa, alle bomboniere, al rinfresco, alla dote e ai miei mobili, ma nonostante ciò il giorno del mio matrimonio, dopo che il fotografo ebbe fotografato la sposa nella casa materna per l'ultima volta e io pronta per uscire di casa mia madre disse:fermi tutti, lasciatemi sola con Laura. Sinceramente ebbi un po' di paura, come era insolita mia madre in quel momento. Mi fece sedere accanto a lei sul divano, mi prese le mani tra le sue mani e mi chiese se fossi felice, se sapessi a quello che andavo incontro, mi disse che quello era il momento buono per tirarmi indietro se volevo. Mi disse che lei era pronta a disfare tutto, che non le importava avere speso tutti quei soldi ma che pensava solo a me e se io non ero sicura per lei andava bene anche un passo indietro. In un attimo capì quando amore avesse per noi figli, un'ora prima del matrimonio era disposta a cancellare tutto, ad accettare qualsiasi mia decisione, penso che poche mamma sarebbero state disposte allo scherno sociale, si perché all'epoca sarebbe stato uno scherno.
Eravamo tante di noi ma non ricordo uno schiaffo di mamma, eppure sarà stato difficile crescere tanti figli senza imporsi mai con uno scappellotto, le sue parole erano per noi Cosa Sacra, ci ha sempre guidato con dolcezza e nel contempo aveva un modo di imporsi categorico, poi con i nipoti le ho visto allentare la guardia, con i nipoti è stata più permissiva, forse perché interpretava un altro ruolo "la nonna"
e come nonna è stata ancora più eccezionale, ha saputo adeguarsi ai tempi e alle nuove generazioni e come noi, i nostri figli hanno trovato in lei un'amica, una complice discreta che all'occorrenza li ha saputo guidare senza farlo mai capire.
Ancora oggi, quando mi trovo a passeggio per le vie della mia infanzia, mi si riconosce e mi chiedono di mamma, al mio racconto non c'è amico o conoscente che non versi qualche lacrima, per lei tutti hanno una parola amica , è rimasta nel cuore di tutti, a volte anche nei cuori delle persone che la contrastavano per motivi di lavoro.
Quando ho iniziato questo mio racconto non immaginavo che fosse per me tanto terapeutico, è come se all'improvviso mi fossi liberata di una zavorra che mi trascinava nell'oblio del ricordo, la mia mamma per me è stata un'amica sincera, una confidente paziente, uno scrigno dove depositare i sogni più assurdi, una guida silenziosa per i momenti più bui, una leva per le mie aspettative ed io invece mi stavo chiudendo in un guscio di granito per cullare il suo ricordo indisturbata, ma poi ho capito che Lei non avrebbe mai voluto una cosa del genere, ma avrebbe voluto di sicuro che io vivessi la mia vita al meglio dando tutto quello che potevo e assorbendo tutto quello che la vita mi regalava ; ora sono serena, la ricordo con amore e vivo la mia vita con le cose belle e quelle brutte perché tutto fa esperienze.
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0 recensioni:
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Anonimo il 15/09/2013 11:10
scusa ti ho commentato due volte -
Anonimo il 15/09/2013 11:10
mi sono commossa... bellissimo racconto... capisco cosa vuol dire dolore... complimenti
- Ciao Bruna... grazie della bella lettura...
Una immagine classica coinvolgente enfatizzata della figura materna... i sui contorni... i suoi chiari scuri... quello che significava e significa nel concetto della comunità... con tutto quello che gravita verso questa figura...
E'una lettura coinvolgente... appassionante rivolta a un certo pubblico... a una certa generazione a un certo pubblico...è una testimonianza di vita...è narrata con il cuore in mano... si vede...
Un caro saluto da Claudio... ciao a presto..
- emozionante e commovente... bellissimo
- Un racconto davvero tanto toccante e commovente. Non c'è niente di più grande dell'amore di una mamma che noi vorremmo avere accanto a noi fino alla fine dei nostri giorni... È la sola persona che non ci deluderà mai nè tanto meno giudicherà le nostre azioni, siano anche le più "orribili", sempre pronta a darci il suo sostegno, il suo consiglio e il suo amore incondizionato... In molte delle tue descrizioni mi sono riconosciuto, o meglio rivedo mia madre, tanto simile alla tua...
Una grande dedica a questa donna straordinaria. Hai fatto bene a tirar fuori la tua storia: è vero che le parole hanno un potere catartico, agiscono come un balsamo sul nostro dolore che sembra senza fine ma che è, a ben guardare, solo "impossibilità" alla rassegnazione o paura che i ricordi possano svanire col tempo... ma non lo faranno mai. Quelli ce li porteremo per sempre nel cuore. Un abbraccio
Anonimo il 04/06/2011 08:48
ciao bruna è difficile che io legga racconti tanto lunghi, ameno che non conosca bene le persone... mi ha commosso ed emozionato... uno spaccato di vita vera, un amore bellissimo per la tua mamma, che oso definire un angelo e che sono sicura è semrep accanto a te... anche io ho sulle spelle grossi dolori e ti capisco. Noi tutti abiamo sulle spalle zavorre pesanti delle quali non sappiamo liberarci... tu sei u insegnamento di vita a parte il modo delicato e semplice(doti di grandi scrittori) con il quale ti esprimi. Complimenti di cuore un caro saluto a te ed alla tua mamma, che sicuramente lo leggerà ccon te.. ogni bene carla
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