I
(La proposta d'incontro)
Caro febbrile amante,
ieri, per un soffio, Giordano non ha scoperto la tua lettera. Lui stava cercando non so che in un cassetto della nostra camera, e c'è arrivato davvero vicino. Ti giuro, per un attimo ho pensato che le avesse viste, tutte quante, ma che facesse finta di niente. Ho persino immaginato che sarebbe tornato a cercarle quando fossi uscita di casa e così, per non correre rischi, le ho messe in un posto più sicuro. Sai, non so cosa potrebbe accadere se le scoprisse. Alle volte credo che dovrei sbarazzarmene del tutto, magari bruciarle subito dopo averle lette, ma poi penso alle cose meravigliose che mi scrivi, alle sensazioni che mi trasmettono le tue parole, e non trovo più il coraggio di farlo.
Quando sono a letto, la sera, prima di addormentarmi, penso a come sarebbe se LUI non ci fosse. Immagino quante cose potremmo fare se solo ne avessimo il tempo, e soprattutto la possibilità. Non m'importa come sei, alto, basso o con i capelli rossi. So solo che quello che provo per te è qualcosa di speciale... credo che possa solo amare una persona così sensibile.
Non ce la faccio più a portare avanti questa mia esistenza divisa tra lui e la mia casa.
Ah, stavo per dimenticarmelo. L'esame non è andato affatto bene, mi hanno bocciata. Del resto, non riesco ad impegnarmi nella giusta maniera. Avrei bisogno di tempo, di tranquillità. Tra lui e Richi non riesco ad avere cinque minuti per me e finisce sempre che la sera sono stanca morta e non ho più la forza di mettermi sui libri.
Non voglio annoiarti con i miei fallimenti. Tu mi scrivi sempre cose meravigliose, e io sono puntualmente qui a lamentarmi. Piuttosto, dimmi, quand'è che mi hai vista, l'altra mattina? Sei sicuro che fossi proprio io? Beh, forse ti ho fatto una domanda sciocca, ma il fatto è che mi hai descritta come una rara bellezza, e io... ecco non mi vedo proprio in questo modo. Non mi sento bella, nè tanto meno rara. In questo periodo, poi, meno che mai. L'altro giorno era la prima volta che uscivo dopo che... beh, insomma dopo due settimane che non uscivo di casa. Che bello respirare l'aria frizzante del mattino, in questa stagione poi, quando l'autunno comincia a colorare di rosso le strade. Probabilmente starai ridendo... parlo come in un romanzo d'appendice.
Alle volte credo di non farcela. Penso che se dovessero mancarmi le tue parole potrei anche morire. È strano: prima non sapevo nemmeno che esistessi, e adesso sono qui che mi chiedo come potrei andare avanti senza di te.
Sono pronta a rischiare. A questo punto non ho più nulla da perdere. Nessun giudice con un briciolo di umanità potrà negarmi l'affidamento di mio figlio. Basterà mostrare le foto che ho scattato dopo quella lite: saranno più che eloquenti. Ormai sono costretta a sgattaiolare fuori di casa quando lui non c'è; non mi da un soldo e quando ho bisogno di qualcosa devo sempre chiedere la sua elemosina. Non posso nemmeno più andare in chiesa la domenica, se non quando è lui ad accompagnarmi. Penso a Riccardo... ha solo dieci anni, ma credo che capisca perfettamente la situazione. Lo sento dai suoi stati d'animo, dalla domande che mi ha fatto quando ha visto i lividi sulla mia faccia. Non la beve la storia della caduta
Ho bisogno di vederti, di parlarti. Sto per fare un passo molto importante, che cambierà sicuramente la mia vita... in meglio spero. Ho bisogno di una spalla su cui piangere, se devo farlo, e di un uomo da amare di nuovo.
Ti prego, vediamoci nel quartiere cinese, giovedì pomeriggio. Giordano si tratterrà in ufficio fino a tardi, come sempre ormai, mentre Richi è in gita scolastica e non arriverà a casa prima delle otto. C'è un locale che si chiama La Muraglia; ti aspetterò seduta ad un tavolo, alle cinque.
Non mancare, ti prego... sei tutto ciò che mi rimane.
Tua per sempre, Cinzia
Giordano ripiegò accuratamente la lettera e la infilò nella busta. Poi si guardò allo specchio ed emise un grugnito. Fece scorrere un po'd'acqua fredda e si bagnò i capelli. Una ciocca lunga e bionda gli cadde sulla fronte, mentre con gli occhi iniettati di sangue guardava la fede sull'anulare sinistro. S'infilò la lettera nella tasca posteriore dei jeans e uscì dalla toilette.
"Non dovevi minacciarmi.." Disse mentre contraeva i muscoli della mascella. "... hai esagerato. Stavolta ti ammazzo e giuro che lo faccio!"
II
(Un goccio con Bobo)
Il Mato Grosso era un bar nella zona del centro storico.
Giordano c'era stato per la prima volta qualche mese prima, ad una festa di addio al celibato organizzata per un collega. Era piuttosto piccolo, ma all'interno gli spazi erano stati studiati talmente bene che, seppur in numero ben superiore a quello consentito, i partecipanti poterono ballare e festeggiare senza grossi problemi di sovraffollamento. Ricordò che quella sera pioveva a secchiate e quando entrò nel locale aveva i capelli così bagnati che dovette andare in bagno ad asciugarseli con le salviettine di carta per non rischiare di prendersi un malanno.
Anche la sera che tutto ebbe fine l'acqua cadeva a secchi, ma al Mato Grosso, stavolta, non c'era nulla da festeggiare. Giordano era seduto da solo, al bancone del bar, che beveva un Jack Daniel's.
"Qualcosa non và ?" Chiese il barman, un ragazzo sui venticinque anni. Giordano sorrise, pensando a certi film in cui il barman di turno fa un po' la parte del confessore dei suoi clienti. Scolò l'ultima goccia di JD e diede un'occhiata al ragazzo dall'altra parte del bancone.
"Do l'impressione di uno a cui sia andato storto qualcosa?" Chiese.
"Veramente.." Ribattè il barman asciugando un bicchiere "... sembra che le sia andato storto più di qualcosa. Che ha fatto alla faccia? "
Giordano appoggiò il piccolo bicchiere vuoto sul mogano e contrasse i muscoli della faccia mentre il whisky bruciava tutto ciò che incontrava sulla strada verso lo stomaco.
"Niente. Che ne dici di un bis?..." Fece rivolto al barman, indicando con lo sguardo la bottiglia di Jack Daniel's "... mi fai compagnia?"
Il giovane si guardò intorno. Nel locale c'era solo un vecchio che se la dormiva beatamente seduto ad un tavolo, davanti ad un bicchiere di vodka pieno per metà. Appoggiò sulla spalla lo straccio e prese un bicchiere da sotto il bancone.
"Così si fa.." Sorrise Gio, mentre l'altro versava l'alcol nei due bicchieri.
"Giordano Demonti" Si presentò, tendendogli la mano.
"Roberto" Rispose il barman "... ma per tutti, qui, sono Bobo"
"Serata fiacca, eh?"
"È solo presto..." Disse Bobo guardando l'orologio che faceva quasi le dieci. "... fra un'oretta non ci sarà posto nemmeno per stare in piedi"
"A quell'ora sarò già disteso" Rispose Giordano con un sorriso ironico sul volto.
"Non mi ha ancora detto che c'è che non và" Chiese il barman, mentre sciacquava alcuni piatti.
"Sei un tipo curioso Roberto..."
"Già, l'ha sempre detto anche mia madre..."
Giordano si tolse l'impermeabile e lo poggiò sullo sgabello di fianco al suo. Aveva un dolcevita nero di lana e un paio di jeans scuri. Il suo fisico asciutto, ma nello stesso tempo massiccio, fece ricordare al ragazzo dietro al bancone il personaggio di Diabolik.
"Sei sposato Roberto... scusa, volevo dire Bobo"
Gli mostrò la mano sinistra.
"Mmmm.." Grugnì Giordano "Niente fede... buon per te. Io, invece, ho fatto diversamente.
"Dov'è sua moglie?"
"In macchina che aspetta. Io qui che mi scolo un bicchierino e lei... "
"Forse sarebbe il caso di raggiungerla" Disse Roberto, mentre metteva via la bottiglia di whisky.
"Tra poco "
Indossò il soprabito e lasciò sul bancone una banconota.
"Grazie per la chiacchierata.." Si congedò Giordano "... ci vediamo alla prossima."
Bobo lo guardò mentre si allontanava. Barcollava; probabilmente il Mato era stata l'ultima tappa di un lungo pomeriggio dedicato all'alcool. Si augurò di non dover leggere il suo necrologio, l'indomani sul giornale: ancora una vittima dell'alcol ritrovata fra le lamiere della propria auto.
Riordinò gli sgabelli e lavò i due bicchieri. Poi, d'un tratto, sentì un rumore molto forte: non aveva mai sentito un colpo di pistola, ma si rese conto che doveva trattarsi indubbiamente di quello. Diede un'occhiata fuori dal locale, mentre un gruppo di gente cominciava ad accalcarsi attorno ad un' automobile. Raggiunse quelle persone: qualcuno diceva di chiamare un'ambulanza, qualcun altro gridava.
L'uomo con ci si era appena scolato un bicchiere giaceva con la testa appoggiata sul volante della sua macchina. Accanto a lui una donna con un foulard rosso. Il vetro della portiera era esploso; il proiettile aveva facilmente trapassato il cranio e si era schiantato contro il cristallo, mentre l'interno della vettura grondava di sangue praticamente ovunque.
La mano destra stingeva ancora la pistola. L'altra stringeva la mano della donna.
III
(Riflessioni)
"Perché non provi con uno psichiatra, di quelli specializzati in crisi familiari, sai, se ne vedono un sacco in TV, magari funziona"
Era l'ultimo consiglio di un collega esausto di fare lo psicanalista a tempo perso per un amico il cui matrimonio andava sgretolandosi velocemente. Aveva già i suoi di problemi e figuriamoci se doveva dannarsi anche per trovare il modo di riconciliare una coppia in crisi.
"Mi prendi in giro?" Disse Giordano, mentre arrotolava il progetto del parcheggio su cui avevano lavorato per quasi un anno.
"Ti confido i miei problemi con Cinzia e tu mi dici di rivolgermi ad uno di quei dottori che intrattengono le casalinghe al pomeriggio?"
Paolo sospirò. "Ok, scusami, non volevo darti l'impressione di considerare la cosa alla leggera, so che stai molto male... dimentica la storia della televisione, ma all'idea dello psicologo per coppie..." Gli puntò il dito contro ".. beh, facci un pensierino"
Uscirono entrambi dallo studio Architetti Associati Raimondi qualche minuto dopo le diciannove. Giordano avviò la Saab decappottabile nera e fece rotta verso casa.
Ottobre era alle porte; una brezza che proveniva da nord risuonava come un campanello d'allarme: probabilmente quello sarebbe stato l'ultimo week-end a regalare quel po' di tepore rimasto dell'estate appena trascorsa.
Gio si accese una Marlboro e abbassò di un paio di centimetri il suo finestrino; non sopportava l'odore del fumo di sigaretta nella sua auto, ma non poteva comunque fare a meno di fumare. Allo stesso modo, detestava sentirsi bruciare la gola mentre sorseggiava un buon whisky, ma non sapeva rinunciare ad un bicchierino dopo cena. Era una di quelle cose che Cinzia non aveva mai mandato giù: anzi, pensò tra se e se, probabilmente era la cosa che la irritava di più. Quante discussioni, quanti silenzi erano costati i suoi piccoli vizi, le sue piccole manie: non che ne avesse poi molte, che diavolo, ma quella donna. Sua moglie riusciva a togliergli anche quelle misere soddisfazioni che poteva dare un bicchiere di Jack Daniel's o una sigaretta dopo il caffè, al mattino.
Eppure non era stata sempre così. La ricordava ancora quand'erano fidanzati; non passavano un minuto senza baciarsi, senza guardarsi negli occhi. E poi la sua voglia di sapere tutto di lui, di condividere i suoi interessi, di scherzare sulle sue debolezze. La ragazza ideale, si era ripetuto mille volte, quella con cui dividere la propria vita.
Ma le cose cambiano e la fregatura è che il più delle volte non si capisce bene perchè. Una parte di Giordano rivoleva la sua Cinzia, quella che aveva conosciuto dodici anni prima, la stessa che gli aveva dato centomila lire di resto per una spesa di pochi spiccioli al supermercato e che accortasi dell'errore aveva immediatamente richiesto indietro la banconota, regalandogli il sorriso più dolce che avesse mai visto prima. Fu inevitabile innamorarsi di lei, e nei cinque minuti successivi fu altrettanto inutile cercare di fare finta di niente, di andarsene senza girarsi almeno una volta a guardarla. Sorrise, pensando che era arrivato a fare la spesa anche dieci volte alla settimana, solo per vederla. E più la coda alla cassa era lunga, più aveva la possibilità di guardarla, di osservare come si muoveva, di ascoltare la sua voce. La prima volta che la sentì al telefono gli sembrò di svenire: non era sicuro che l'avrebbe chiamato. E poi, lasciarle un bigliettino con il suo numero di telefono sulla cassa non era certo un'idea originale, ma non era riuscito a pensare a qualcosa di meglio.
Ma lei l'aveva chiamato e la sua voce al telefono, la prima volta, fu come una saetta piantata nel petto alla velocità della luce.
Adesso, ogni qualvolta suonava il cellulare o il telefono in ufficio, pregava Dio che non fosse lei. La voce squillante e allegra di una volta aveva lasciato il posto al tono rassegnato e cantilenoso di una moglie stufa e insoddisfatta, lo stesso di una centralinista che ripete la medesima frase per otto ore al giorno e che non aspetta altro che il momento di andarsene a casa.
Un'espressione malinconica solcò il viso di Giordano; la radio trasmetteva un pezzo tratto dall'ultimo album di un artista rock in vetta alle classifiche. La Saab si fermò al semaforo rosso, mentre una comitiva di boy-scout attraversava ordinatamente sulle strisce: mancava solo qualche isolato a casa.
IV
(Il primo biglietto)
L'idea arrivò mentre sfogliava un giornale di quelli che si leggono dal parrucchiere, o dal dottore. Una di quelle riviste prettamente dedicate al pubblico femminile, in grado di farti capire il perché della sua svogliatezza a letto attraverso un test a risposta chiusa, o di farti dimagrire cinque chili in pochi giorni mangiando solo frutta esotica. Aveva approfittato della pausa pranzo per passare da casa a prendere alcuni disegni e in tutta franchezza, aveva anche approfittato del fatto che Cinzia non era in casa. Ma poi, aveva anche avuto un bisogno impellente e così aveva preso il primo giornale capitato a tiro dalla cesta di vimini e se l'era portato in bagno.
La rubrica doveva essere una specie di posta del cuore, una patetica compilation di lettere di adolescenti quarantenni più o meno delusi dai rispettivi partner. C'era chi era stato lasciato per l'amante, chi lasciava perché si era reso conto di essere omosessuale e poi c'era Luca, un tale che per rinverdire il rapporto con la sua signora aveva pensato bene di cominciare a scriverle delle lettere romantiche, fingendo di essere un ammiratore segreto. L'idea era farina del suo sacco, ma le lettere se le faceva scrivere da qualcuno che con la penna aveva più familiarità. In ogni caso, l'artificio era servito e anche alla grande perché dopo l'avvenuto smascheramento di Luca, sua moglie aveva capito che dentro di lui c'era ancora il vecchio amore che credevano entrambi finito e bla bla bla.
Si fece una risata tirando lo scarico. Guardandosi allo specchio si chiese se ne sarebbe stato capace. Sarebbe riuscito a cambiare le cose? Forse no, forse non c'era più molto da dire e figuriamoci da scrivere. Ributtò la rivista nella cesta e uscì di casa.
Cinzia arrivò di lì a poco, ma non lo incrociò. Si accorse tuttavia immediatamente che lui era stato là. Annusò l'aria come un cane, e sentì il profumo del suo dopobarba.
"Và a farti una doccia Ric, nel frattempo ti preparo qualcosa"
Si sedette e appoggiò la testa sugli avambracci.
Che cos'era andato storto? Che cosa diavolo non aveva funzionato tra loro? Un fidanzamento forse troppo breve, la decisione di sposarsi presa troppo frettolosamente, con troppa leggerezza?
Eppure faceva fatica a capacitarsene. Era sempre stata una ragazza che ponderava, prima di agire, qualsiasi cosa dovesse fare, anche la più banale. Se gliel'avessero raccontato non ci avrebbe creduto che proprio lei avrebbe deciso di sposarsi e sarebbe andata a vivere con quest'uomo dopo appena otto mesi dal primo appuntamento ufficiale, diciamo così. Ma era successo; e la ragione? Lui l'aveva stregata, con quel modo intrigante di fare, con quello sguardo che la faceva vibrare ogni volta che le posava gli occhi addosso, con quell'espressione innocente e bisognosa d'affetto e con le sue mani, così lisce, vellutate, esperte. Sorrise perché sebbene non facessero l'amore ormai da tempo, ancora lo desiderava, ne aveva bisogno, lo voleva nel suo letto e non sul divano della sala. Ma Giordano, lui, che cosa desiderava? Provava gli stessi sentimenti, la detestava o forse peggio. Certe volte lo pensava davvero, se ne convinceva: come qualche sera prima, quando lui l'aveva presa per i capelli. Non aveva mai subito nessuna violenza fisica e nemmeno in quell'occasione si sarebbe potuto parlare veramente di violenza, ma quello che vide negli occhi di lui fu anche peggio. Guardò in faccia un uomo che era arrivato al punto di passare in casa meno tempo possibile perché odiava quella donna che doveva necessariamente ritrovare al suo ritorno. E perché poi? Che cosa aveva mai potuto fare per meritarsi questo?
"È questo tuo modo che hai di fare quando siamo con altra gente" Le aveva detto mentre si spogliavano entrambi, ai bordi del letto.
"Certe volte mi fai passare per un idiota. E ti diverti anche.."
"Di che diavolo stai parlando?"
Lui la guardò di traverso. "Mi riferisco al modo in cui ti strusci con i maschietti. Sai, alle volte mi chiedo da quanti dei miei colleghi ti sei fatta scopare!"
Lei ebbe una specie di mancamento. Mai si sarebbe aspettata una scenata di gelosia perché aveva accettato di ballare con un architetto del suo studio. Ma cosa c'era stato di male, ballavano tutti, era una festa, una stupida festa organizzata dai suoi colleghi.
"Che cosa hai detto?" Le uscì un filo di voce. Avrebbe potuto piangere, e Dio solo sa quanto avrebbe voluto, ma non poteva; non adesso.
Lui non rispose; sembrava essersi reso conto di avere esagerato parecchio. Sentì il suo sospiro e credette che sarebbe finita lì, con lui che le chiedeva scusa e le diceva qualcosa tipo 'perdonami tesoro, non so quel che ho detto', ma non andò così. Lui si girò su sé stesso e la prese per i capelli, strattonandola e avvicinandola al suo viso.
"Te ne freghi di come mi sento, di quello che ho dentro. Mi stai uccidendo."
La lasciò andare dopo qualche istante. Durò un niente quella frase, ma a lei parse un tempo terribilmente lungo e triste. Rimase immobile, sdraiata con gli occhi fissi sul soffitto mentre lui usciva dalla camera portandosi via un cuscino.
Era stato solo un ballo, solo qualche minuto con un altro uomo.
***
Le venti e quindici.
Giordano era ancora nel suo studio, con il viso a pochi centimetri dal monitor che trasmetteva un salva schermo ricco di colorati pesci tropicali che nuotavano in una barriera corallina virtuale. Aveva ancora in mente quello stupido giornale: (che in verità adesso riteneva un po' meno sciocco) forse poteva adottare quel sistema bizzarro per dare un colpo di coda al suo matrimonio e tornare ai bei momenti dei primi tempi. Cominciò a buttare giù qualche frase, senza troppa convinzione.
"Cara sconosciuta." Aveva esordito, ma non gli sembrava affatto appropriato. Non che fosse una cima con la penna, ma credeva sinceramente di poter fare meglio. Magari aveva bisogno di leggere qualcosa di buono, così, per prendere uno spunto. Aveva bisogno di fare un minimo di colpo su Cinzia, non poteva permettersi di scrivere un'idiozia che sarebbe stata immediatamente cestinata. Così gli venne l'idea: era necessario farle intendere che questo ammiratore, per quanto sconosciuto, le fosse vicino, che la conoscesse e che soprattutto comprendesse la situazione che stava provando lei. E chi meglio di lui poteva comprenderla?
"Cara Cinzia,
ancora non mi conosci, ma presto potremo incontrarci. Conosco l'inferno che stai passando, e Dio solo sa quanto mi rammarico perché non posso fare nulla per te. Vorrei parlarti, comprenderti, farti sapere che ti sono vicino e che su di me puoi contare, anche se per adesso non sai chi sono. Vedrai, presto le cose cambieranno e potrai ricominciare da capo, una nuova vita.
Ti prego, rispondimi, per ora è l'unica cosa che posso sperare tu faccia per me.
Infinitamente tuo "
Poteva andare. Si stupì della facilità con cui riuscì a comporre questo biglietto, che considerava una vera e propria bomba per Cinzia. La conosceva bene e sapeva che avrebbe fatto il suo effetto. C'era però un altro problema, e non di semplicissima risoluzione: non poteva stamparlo. Un amante febbrile, come si era firmato, non poteva scrivere certe parole così cariche di emozioni e permettere ad una stampante laser di ucciderle senza pietà. Doveva imprimerle a mano su un foglio di carta. E non poteva certo scriverla lui, Cinzia conosceva bene la sua calligrafia. Nell'attesa che gli venisse l'idea, stampò la lettera e poi la cancellò dal disco fisso del PC.
Erano quasi le undici. Chiuse l'ufficio e tornò a casa. Cinzia probabilmente dormiva già; non sarebbe stato costretto a scambiare con lei qualche parola.
V
(La questione del biglietto)
Si ritrovò in casa, da solo, a guardare la televisione a letto. Cinzia non c'era, forse era andata al supermercato, o forse aveva accompagnato Richi da qualche parte: non gli importava. Ad un certo punto i programmi furono interrotti per trasmettere la "Rubrica dei cuori solitari", ed eccola lì, la sua amata mogliettina, impegnata a fornire consigli per una vita matrimoniale idilliaca a chiunque componesse, a partire da adesso, il suo numero telefonico.
"Ciao cuoricino solitario, che fai tutto solo in quel lettone?" Aveva esordito Cinzia, riferendosi proprio a lui.
"Cinzia?" Aveva chiesto sorpreso.
"Si sono proprio io, non mi riconosci? L'amore della tua vita, il tesoro che hai sposato quella lurida troia che hai preso per i capelli non più tardi di una settimana fa "
Poi Cinzia si era materializzata accanto a lui. Stringeva in mano il bigliettino che lui aveva composto la sera prima in ufficio, e sogghignava in una maniera piuttosto strana.
"Gioia, non crederai di rimettere a posto il casino che hai combinato con un pensierino da prima elementare vero?"
"Ci sto provando amore, sto provando a sistemare le cose "
Aveva cercato di alzarsi, di mettersi in piedi di fronte a lei, ma aveva le gambe totalmente bloccate, come fosse paralizzato dall'ombelico in giù.
"Rimettere le cose a posto? Di che parli, di dare una sistemata alla casa, di riordinare la cucina forse?"
E poi era scoppiata in una risata, per la verità molto brutta. La voce andava abbassandosi sempre più, e quel ridere, che pareva fosse durato un tempo lunghissimo, assomigliava più al verso di una persona che vomita anche l'anima.
"Le tue cazzate mi fanno vomitare. Richiiii, tesoro, vieni qui a salutare papà, se ne sta andando"
Il piccolo fece immediatamente il suo ingresso nella camera, quasi come fosse stato dietro la porta ad aspettare il momento in cui sarebbe stato chiamato in causa.
"Ciao papino "
Giordano si sentì gelare la schiena. Gli occhi del suo ragazzo non c'erano più. Le orbite erano vuote e all'interno sembrava ci fossero vermi che si contorcevano e si mordevano l'un l'altro. Cercò di osservare meglio e si accorse che non erano vermi, ma lettere composte di un inchiostro nero e dall'odore nauseabondo. La lingua era sottile e biancastra, pareva un foglio di carta che si muoveva a casaccio, come mossa da un soffio di vento.
"La mamma dice che devi andare a lavorare e già ce ci sei paga anche il conto "
"Cosa? Quale conto, che stai dicendo?" Chiese Giordano, ma adesso nella stanza non c'era nessuno. La televisione era spenta e d'un tratto, intorno a se, non vide più nulla.
Quando si svegliò era madido di suodre. La questione del biglietto doveva averlo suggestionato parecchio, pensò, al punto di fargli fare un sogno talmente orribile. La situazione che stava vivendo era un giardino tropicale rispetto a quello schifo notturno che si era sorbito. Il divano diventava più scomodo notte dopo notte e il collo cominciava a dargli fastidio in maniera permanente. Appena fu in piedi ebbe la sensazione di svenire: la testa girava e subito dopo avvertì i brividi. Doveva sicuramente avere preso uno di quei fottuti malanni stagionali che t'inchiodano al letto, e ti capitano sempre quando hai qualcosa d'inderogabile da fare. Doveva essere stata sicuramente la febbre a fargli produrre quelle fantasie e nient'altro.
Dalla cucina proveniva un buon odore di caffè appena fatto. Incrociò Cinzia mentre usciva con Ric per portarlo a scuola.
"Ti senti bene?" Gli chiese
"Si, ho solo un po' di raffreddore. Mi prendo un'aspirina e torno come nuovo entro sera. Ci vediamo per cena, stasera mangio a casa."
Lei si sentì un po' spiazzata. Come mai questo slancio da uomo tutto casa e famiglia? Era forse il raffreddore a farlo straparlare o era rinsavito da solo? Lo guardò mentre si sedeva al tavolo a sorseggiare una tazza di caffè bollente. Curioso, pensò: quella mattina pareva tutto a posto, proprio come in una famiglia felice.
***
Doveva trovare qualcuno che scrivesse quel dannato biglietto. Pensò anche di scriverlo con la mano destra, ma sarebbe stato troppo facile capire che dietro quella calligrafia da spastico c'era qualcuno che non voleva farsi riconoscere e arrivare a lui sarebbe stato semplice.
Il telefono squillò dopo poco. Era Paolo, il suo collega, e voleva sapere dove diavolo si era cacciato dal momento che dovevano andare in riunione fra dieci minuti.
"Intrattienili un po'e raccontagli le meraviglie architettoniche che ci siamo inventati per questo parcheggio. Sarò lì nel giro di una mezz'ora. Porgi loro le mie scuse, ma stamattina mi sono svegliato con la febbre e sono un po' fuori fase. Ci vediamo tra poco."
Ingollò un paio di aspirine con il caffè e si buttò in doccia.
Mentre guidava verso l'ufficio ebbe l'illuminazione: lo poteva scrivere Paolo. Qual'era il problema? Dopo tutto era stato lui a dargli l'idea di rivolgersi a qualcuno per risolvere i suoi problemi e anche se questa non era esattamente la soluzione che aveva suggerito, poteva comunque andare. Certo non aveva niente da perdere a fare un favore a un cuore infranto.
Si sentì subito meglio, quasi rinvigorito. Questa idea che stava prendendo lentamente forma cominciava a convincerlo che in qualche modo avrebbe anche potuto funzionare. Il semaforo diventò verde e una macchina dietro di lui cominciò a suonare. Diede un sguardo allo specchietto retrovisore e partì facendo stridere le gomme.
***
La riunione si concluse con l'approvazione del progetto. Sarebbe costato un po' più del previsto, ma si sarebbe fatto comunque, seguendo scrupolosamente le direttive del gruppo Raimondi. Tutto questo significava un'enorme soddisfazione personale, ma ancor più, a cose fatte, una cospicua gratifica economica per i due architetti. Era il momento giusto per festeggiare e Giordano colse l'occasione al volo: aveva da risolvere una piccola questione.
"Ci meritiamo un pranzo coi fiocchi. Direi di andare direttamente da Scala"
"Mmmm.. Mi prendi per la gola. Non dovrei esagerare, ma in un momento come questo " Si guardò in giro, sospettoso, poi riprese. "Chi se ne frega, divoriamoci Scala"
"Mia moglie mi tiene un po' a stecchetto" Disse mentre erano in macchina. "Dice che se mangio a questi ritmi tra un annetto non riuscirò più a vedermi il pisello."
"E che ti frega?" Rispose Giordano "Tanto ormai lo conosci bene, e sai dov'è. A che ti serve vederlo? L'importante è che funzioni ancora"
"Beh.. se è per questo non ci sono problemi, fa ancora il suo dovere, ma forse dovrei darle ascolto "
"Per me và bene, ma per oggi fammi compagnia, è un giorno speciale. E già che ci sei.."
"Cosa?"
"Avrei un piccolo favore da chiederti, roba da niente e solo tu puoi farmelo"
Paolo lo osservò mentre entravano da Scala; c'era qualcosa di diverso in lui, quella mattina. Si sedettero ad un piccolo tavolo vicino alla cucina. C'era poca gente, quasi tutti in pausa pranzo, intenti a divorare qualcosa con l'occhio sempre fisso sull'orologio.
"Di che si tratta?" Chiese mentre assaggiava un grissino.
"Beh.." Giordano lo guardò con una punta d'imbarazzo. ".. è Cinzia il problema. Ho pensato a qualche cosa, anche se mi sento un po' stupido a parlartene.. forse mi considererai uno sciocco."
"Ti ascolto"
" Ho pensato di scriverle delle lettere"
"Lettere?".
"Adesso ti spiego bene."
Mangiarono della piovra tiepida in insalata come antipasto e a seguire un piatto di pennete agli scampi innaffiate con dell'ottimo bianco. Il conto fu un po' salato, ma n'era valsa le pena. Quando uscirono dal ristorante Paolo si accese una Pall Mall.
"Così vuoi che scriva questo biglietto per tua moglie?"
"Già.." Rispose Giordano. Pigiò il pulsante dell'antifurto ed entrarono in macchina.
"Cristo, devi essere impazzito come pensi che questa roba possa aiutarti? 'Infinitamente tuo. febbrile amante' "
Giordano temeva di fare la figura dello stupido e lo disturbava anche il fatto che Paolo leggesse quelle parole tanto personali dirette a sua moglie, ma del resto non c'era altro modo.
"È un po' sdolcinato, ma sai, alle donne queste cose piacciono"
Paolo aspirò l'ultima boccata. Gettò la sigaretta dal finestrino mentre guardava dei bambini giocare con le proprie madri in un prato.
"Se ci credi davvero, và bene." Prese un foglio di carta dalla ventiquattrore e scrisse il biglietto. Giordano avrebbe pensato ad imbustarla e a scrivere l'indirizzo del destinatario. In quel caso avrebbe usato una macchina da scrivere.
"Sei davvero un amico. Adesso ho un debito con te."
Paolo sorrise. "Spero che serva."
VI
(Voci)
La reazione al primo biglietto fu del tutto inaspettata. Gliel'aveva imbucato nella casetta delle lettere la sera stessa che Paolo l'aveva scritto e si era appostato fuori di casa la mattina dopo, abbastanza lontano da non farsi vedere, ma abbastanza vicino per poterla controllare.
Come sempre era uscita qualche minuto prima di lui per accompagnare suo figlio a scuola e sarebbe passata probabilmente dal supermarket a fare un po' di spesa. Invece nel giro di una ventina di minuti era già di ritorno. La osservò mentre apriva la cassetta e accantonava via via i giornali e gli annunci pubblicitari che non le interessavano.
Poi il biglietto.
Lo guardò fronte e retro, in cerca di un mittente che ovviamente non c'era. La busta non era sigillata, ma solo chiusa a mano. Estrasse il foglio di carta bianca e lesse il biglietto.
A Giordano parve di sentirle, quelle parole, recitate a mente da Cinzia. Sorrise, pensando che probabilmente avrebbe accartocciato la lettera e l'avrebbe gettata nel bidone della spazzatura, ma non successe.
Evidentemente lo lesse più d'una volta, perché stette immobile a guardarlo per qualche minuto. Poi lo ripiegò in due e se lo infilò nella tasca posteriore dei jeans. Si guardò intorno, furtiva, per poi entrare in casa velocemente.
Che cosa poteva avere creduto? Forse l'aveva tenuto per farglielo leggere o più semplicemente l'avrebbe buttato nella spazzatura, ma in casa, per non correre il rischio che qualcuno lo leggesse.
Vecchio mio, quella il biglietto non lo butta mica! Non avrai voglia di scherzare vero? Specie in una situazione come questa. Adesso ti dico io che cosa farà: lo conserverà da brava bambina in un luogo sicuro, al riparo dalle tue manacce e comincerà a chiedersi quando avverrà il fatidico incontro, non prima, però, di averti completamente cancellato dalla sua vita.
La voce smise di rimbombare nella sua testa quando sentì la porta che si chiudeva. Rimase ancora lì, per qualche minuto, dopo di che andò in ufficio.
***
Quella sera rincasò che non erano nemmeno le otto. Lei parlava al telefono con un'amica, forse, mentre Richi era stampato davanti alla televisione a cuocersi gli occhi ai videogames.
"Ciao papà" Lo salutò senza nemmeno girarsi.
"Finirai col portare gli occhiali se non ti limiti un po' con quegli aggeggi"
"Sto diventando un vero campione hai voglia di sfidarmi?"
Sorrise mentre gli si avvicinava. Richi era seduto per terra, con la testa alzata a fissare lo schermo grande come lui.
"Fra un po' è pronto da mangiare" Gli disse mentre lo baciava.
Lui si spostò, intento a non farsi distrarre più di tanto per non perdere l'ennesimo bonus.
"La mamma ha fatto le patatine fritte.."
"Ah si? Non vedo l'ora di assaggiarle!"
Si chiese che fine potesse avere fatto il suo biglietto. Andò in camera per cambiarsi e chiuse la porta, attento a seguire il brusio delle parole di Cinzia. Guardò nei cassetti della cabina armadio, nel comodino accanto al letto e persino nel cofanetto dove teneva i gioielli, ma niente. Doveva averlo sicuramente gettato, anche perché lei non avrebbe avuto nessun interesse a lasciarlo in giro rischiando che lui lo scoprisse.
Si svestì e fece una doccia calda. Quando scese di sotto, Cinzia e Richi stavano già cenando.
"Avresti anche potuto aspettarmi, mi sono fatto solo una doccia.."
"Riccardo aveva fame e francamente anch'io."
Si servì da solo e quando fece per sedersi a tavola notò una busta sulla sedia.
"Cos'è?" Le chiese, mentre la rigirava per vedere se c'era scritto qualcosa.
"Aprila, è una sorpresa" Rispose lei.
Quando lui l'aprì si sentì mancare la terra sotto i piedi: le gambe divennero terribilmente deboli e avvertì una sensazione di calore partire dallo stomaco e arrivare fin dentro la bocca. Dovette sedersi e appoggiare le braccia sul tavolo.
"Che vuol dire?" Le chiese sforzandosi di mantenere un tono di voce normale.
"Forse dovresti spiegarmelo tu "
Come diavolo poteva essere successo? Che cosa era andato storto? L'aveva fatto scrivere a un suo collega e poi l'aveva imbucato, ma lei sicuramente dormiva mentre lo faceva e allora non poteva averlo visto, maledizione, non era assolutamente possibile.
"Non capisco Cinzia, che cos'è uno scherzo?"
"Richi vai a giocare con il tuo computer, vuoi? Devo parlare con il papà per qualche minuto.."
Il piccolo balzò giù dalla sedia in un lampo e si dileguò nella sua camera. Nel frattempo lei chiuse la porta della cucina.
"Mi chiedo se il tuo cervello funzioni a dovere"
"Ma di che diavolo stai parlando?"
"L' hai scritto tu vero?"
"Tu sei impazzita." Si alzò e fece per uscire dalla stanza, ma quando aprì la porta suo figlio era in piedi fermo, di fronte a lui, con la schiuma alla bocca.
"Papà, ancora non ti è chiaro che hai solo da rimetterci con noi due? La mamma si sta stancando e io voglio bene alla mamma.."
Il respiro gli arrivava a fatica, mentre Richi gli si avvicinava. Indietreggiò di qualche passo e richiuse la porta, non voleva guardarlo un attimo di più. Si girò e vide Cinzia in un angolo, in piedi faccia al muro.
"Cinzia.." La chiamò.
Lei alzò le braccia e le appoggiò al muro, poi emise un urlo atroce. La sua figura divenne scomposta, sanguinolenta e i capelli cominciarono a cadere a terra.
Richi graffiava la porta e appoggiava la bocca al vetro lasciandovi la sua bava biancastra. Cinzia gridava mentre andava via via decomponendosi.
"Papino, regola tutti i conti così ti togli il pensiero. Io sono qui che ti aspetto, ti và di giocare ai videogames?"
Si svegliò fradicio sul divano. Dalle tapparelle filtravano i raggi azzurrognoli di una bella luna piena di fine Ottobre. Guardò la radio sveglia che segnava le due e trenta: pregò Dio di non fare mai più incubi così terrificanti.
VII
(La prima risposta)
Una settimana più tardi, Giordano ricevette una lettera. Nel biglietto che aveva scritto le aveva fornito anche l'indirizzo di una cassetta postale dove avrebbe potuto rispondergli, nel caso se la fosse sentita.
Quella mattina aveva telefonato allo studio dicendo che sarebbe arrivato solo nel pomeriggio a causa di alcune commissioni che non potevano più aspettare. Aveva ritenuto decisamente più prudente affittare la cassetta postale in un paese vicino: in città non sarebbe poi stato così difficile incontrare qualche conoscente ritirando la posta o addirittura Cinzia, in una coincidenza maledettamente più sfortunata.
Lasciò la macchina nel parcheggio dell'ufficio postale e si recò alla cassetta numero 1006. Per un attimo, prima di aprirla, ebbe un esitazione e di nuovo sentì quella dannata voce ronzargli nelle orecchie.
Beh, che diavolo aspetti ora? Ti prendi la briga di marinare il lavoro, di pagare per avere un nido segreto dove ricevere le letterine di cupido e stai qui a pensare se devi aprire o no quel cazzo di sportellino? La verità è che te la fai sotto e sai perché? Hai una fottuta paura di trovarci davvero una risposta alla tua chiamata, febbrile amante mio e hai anche paura che lei ti abbia scritto delle cose che non vorresti leggere. Ma sei troppo curioso non è vero? E allora andiamo, fatti coraggio: ormai sei in ballo e ti tocca ballare, vecchio mio. La lettera c'era. Niente carta colorata con i cuoricini o gli orsacchiotti e nemmeno nessun seducente profumino spruzzato sulla busta: solo un foglio di quaderno ripiegato in due. Si passò la mano tra i capelli lievemente inumiditi dal sudore. Era totalmente spiazzato: era certo di non trovarci assolutamente niente in quella dannata buca delle lettere e invece eccola là la letterina, puntuale come un orologio svizzero. Non aveva certo fatto la difficile, non aveva perso tempo a trovare un modo per farlo cuocere un po' questo ammiratore segreto: nemmeno il tempo di riorganizzare le idee e quella stronza gli aveva già risposto.
Sei sorpreso mio caro? La dolce Cinzia è stata molto combattuta, ma alla fine ha pensato bene di fregarsene alla grande di un marito e di un figlio e di buttarsi tra le braccia di uno che è solo inchiostro e carta
Si rese conto che era immobile da troppo per non suscitare la curiosità del personale agli sportelli. Infilò la busta in tasca e andò in macchina. Si allontanò velocemente e quando raggiunse una piazzola di parcheggio in autostrada si fermo e cominciò a leggere:
Non so bene perché ho deciso di risponderti. Forse per un'assurda e ridicola forma di educazione o forse perché in questo momento ho talmente bisogno di qualcuno, che sono pronta ad affidarmi anche solo a qualche bella parola scritta su un foglio di carta.
Non riesco ad immaginarmi che cosa possa averti spinto a scrivere quelle lettere e tanto meno chi potresti essere. Voglio solo che ti renda conto che la mia non è una situazione facile e non so se avrò la forza di risponderti una seconda volta.
Cinzia
Concisa e diretta: nel suo stile. Si riavviò verso l'ufficio contando di rientrare a casa prima di cena. Era mercoledì e Cinzia aveva la lezione serale di diritto. Quell'università che i genitori non si erano potuti permettere adesso toccava a lui pagarla. Non le bastava badare alla casa e a suo figlio ed evidentemente il tenore di vita che le offriva scarabocchiando disegni su carta millimetrata da mattina a sera non doveva andarle a genio più di tanto dal momento che voleva diventare una principessina del foro. Era stato il suo sogno fin da quand'era una liceale, quello di dibattere in un'aula di tribunale, ma dopo la morte del padre c'era stato bisogno di soldi a casa e il lavoro part time della madre non bastava. Così, dopo un paio di tentativi come segretaria in un agenzia assicurativa e in uno studio di un commercialista grasso e molto sudato, era finita dietro la cassa di un supermercato a battere scontrini per otto ore al giorno.
Ma poi, come nella più classica delle favole, era arrivato il principe azzurro e il noioso e deprimente lavoro di cassiera aveva lasciato il posto all' hobby dell'arredare casa e di spendere più soldi possibile. La villetta su due piani fuori città, i viaggi ai Caraibi, il fuoristrada in garage, per non parlare dei gioielli e della collezione di orologi.
Certo, il benessere faceva piacere anche a lui, inutile negarlo. E poi perché essere degli ipocriti: con i soldi si vive certo meglio. Ma il punto era che lui, quello stramaledetto denaro, se l'era guadagnato con il suo lavoro e prima ancora con le sere passate a casa, a preparare gli esami e non in giro a bere birra con gli amici. Ora aveva tutto il diritto di spendere soldi e divertirsi, ma lei doveva portargli più rispetto e riconoscergli almeno un po' di gratitudine per il modo in cui la faceva vivere, per quello che le dava. Non pretendeva molto, solo un po' di dannata gratitudine e rispetto: se lo era pur meritato no?
E invece capitava, alle volte, che lei lo umiliava, prendendolo in giro in presenza di amici o colleghi, facendolo passare per una sorta di idiota pronto a tirare fuori il portafoglio all'occorrenza. Ma non si limitava a questo. Spesso capitava che i soci dello studio venissero invitati a qualche festa mondana organizzata da clienti facoltosi che si erano avvalsi della loro consulenza. Era ormai un circolo vizioso e da un po' a questa parte non passava mese senza almeno uno di questi party. Non era una mossa intelligente rifiutare, anche perché le relazioni pubbliche sono alla base di buone intese in affari. Alla fine si ballava sempre e immancabilmente c'era qualche bell'imbusto che bussava alla porta per chiedere un giro con questa incantevole cassiera. 'Ma certo' era la risposta che lei dava a tutti. Gliel'avessero chiesto in diecimila, avrebbe fatto altrettanti giri di valzer per quella fottuta pista da ballo.
Una sera si avvicinò un tale, l'aveva visto un paio di volte allo studio, forse era un freelance. In ogni caso era decisamente in assetto da combattimento, uno di quei giovanotti rampanti, sbruffoni e troppo sicuri di sé. Chiese un ballo, sfoderando il suo sorriso che avrebbe fatto invidia ad un attore hollywoodiano. Era un lento e lui cominciò a stringerla in maniera un po' invadente, mentre le sussurrava qualcosa nell'orecchio, qualcosa che la faceva ridere a crepapelle. Poi entrambi lo guardarono, continuando a ridacchiare.
Giordano si girò verso il bar e cercò di spegnere la rabbia che gli bruciava la testa con un bicchiere di vodka. Ne bevve un secondo e attese da bravo il ritorno della sua mogliettina che si divertiva con il bello di turno.
Si comportò come nulla fosse per il resto della serata, ma arrivati a casa la trattò male. Sentì un senso di felicità e appagamento dopo averla strattonata per i capelli e fatta sentire una puttana. Se lo meritava, Dio se lo meritava e nessuno poteva sapere quanto avrebbe voluto massacrarla di botte per quello che aveva fatto, soprattutto per come lo aveva fatto sentire.
Alla festa le chiese che cosa lui le avesse detto per farla ridere così tanto, ma lei rispose che non aveva detto proprio niente. Avevano solo chiacchierato del più e del meno e forse, al buio, gli era sembrata una cosa per un'altra.
Era tempo di cominciare a mettere le cose in chiaro.
VIII
(La terza risposta)
Nei due mesi che seguirono Cinzia ricevette altre tre lettere.
L'ormai suo febbrile amante era divenuto una presenza molto più concreta di quello che Giordano si sarebbe mai potuto immaginare. Cominciava a odiarla per il comportamento che stava assumendo via via che il tempo passava, per l'indifferenza che riempiva sempre più il loro rapporto. Cinzia si stava aprendo con uno sconosciuto come mai aveva fatto con lui. Gli aveva raccontato tutto di loro, il giorno del matrimonio, la nascita di Riccardo e di quando, dopo la morte di sua madre, le cose erano cominciate ad andare male. Non che ci fosse una relazione diretta tra la morte di sua mamma e la loro felicità coniugale, ma di fatto da quel momento certe cose erano cambiate. Non c'era stata più intimità, forse perché lei era troppo scossa o forse perché lui non aveva saputo aspettare il momento giusto, confortandola intanto come avrebbe dovuto fare un vero marito. Nel frattempo Giordano diventava sempre più insopportabile e geloso. Lo era sempre stato, nei limiti del plausibile e la cosa non le dispiaceva, perlomeno all'inizio. Ma poi era cambiato, così, da un giorno all'altro: era totalmente ossessionato dalla possibilità che lei lo tradisse con chiunque, vedeva amanti in ogni persona che passava per strada. Gli aveva raccontato delle litigate furiose nelle quali non le risparmiava nessun tipo di aggettivo offensivo e umiliante. Oh quanto avrebbe desiderato avere il coraggio di andarsene, di finirla una volta per tutte. Questo supplizio andava avanti ormai da più di un anno e mezzo e non vedeva nessuno spiraglio all'orizzonte, nessuna possibilità di recupero del loro rapporto. E francamente, giunti a questo punto, forse nemmeno lo desiderava: non voleva fare la fine di quelle donne maltrattate per tutta la loro vita matrimoniale, vittime di un marito padrone. L'unica cosa che le stava a cuore era Riccardo e il suo futuro.
Avrebbe potuto passarci sopra la prima volta, quando in camera da letto lui l'aveva presa per i capelli e le aveva dato della sgualdrina. Tutto per quella maledetta festa alla quale non voleva nemmeno andare: ma lui l'aveva quasi costretta, sostenendo che ad andarci da solo avrebbe fatto la figura di quello che alla prima occasione si libera della moglie per andare a divertirsi.
Ma quella era stata solo un'anticipazione. La settimana dopo era successo anche di peggio. Avevano litigato ancora per i soliti motivi, per le solite allucinazioni visionarie di Giordano che aveva notato in lei uno strano interesse per il vicino di casa, un giovane neo laureato trasferitosi lì da poco. Ma stavolta lei era scoppiata, non ce l'aveva fatta a tenersi dentro tutto e aveva urlato, gridato quanto fosse assurdo ciò che stava succedendo e che mai in vita sua avrebbe pensato di tradirlo perché se un motivo c'era stato che li aveva uniti era l'amore che l'uno provava per l'altra. Non sapeva se fosse stata questa frase ad aver fatto scattare Giordano o se la follia era scaturita per l'insolita aggressività con cui gli aveva risposto: l'unica cosa certa che poteva ricordare subito dopo quella sfuriata era il colpo in pieno viso che lui le vibrò: sentì immediatamente un forte calore sullo zigomo e dopo ci fu solo buio. Quando riaprì gli occhi era ancora per terra, in cucina, con la testa contro il frigorifero: Giordano se n'era andato. Il primo pensiero fu subito per Richi: Dio fai che non mi veda in queste condizioni, fai che non rientri proprio adesso e che non debba subire questa violenza. Si alzò lentamente, tenendosi la guancia dolorante con la mano. Camminò fino al bagno e si guardò allo specchio chiedendosi per quanto tempo era svenuta dal momento che il livido era già ben visibile e delineato. Fece dei brevi impacchi con una salvietta imbevuta d'acqua gelata e poi tornò in cucina, cercando di riordinare alla svelta i soprammobili che Giordano si era tirato dietro mentre la colpiva. A Richi avrebbe detto che era caduta, ma che stava già meglio ora che aveva bagnato la parte con l'acqua fredda. Invece dentro si sentiva morire: non poteva credere di essere arrivati a questo punto, di vivere al fianco di un uomo che non riconosceva più. In pochi secondi la testa le si riempì di pensieri: cosa fare, dove andare, ma soprattutto a chi chiedere aiuto. Aveva perso i suoi genitori e non aveva altri parenti, nessuna vera amicizia a cui appoggiarsi. Eppure qualcosa doveva inventarsi, soprattutto per proteggere il futuro di suo figlio. Così aveva scattato le foto, a testimonianza della violenza del marito: nessuno avrebbe potuto passarci sopra.
***
L'ultima risposta arrivò sabato mattina: era uscito per qualche commissione, ma non aveva intenzione di passare dallo studio e tanto meno di rientrare a casa troppo presto. Erano passate un paio di settimane da quando l'aveva picchiata e in casa, ormai, si tirava avanti ad inerzia: lui non aveva voglia di rivolgerle la parola e tanto meno lei. Verso le dieci passò dall'ufficio postale: diede un'occhiata veloce in giro, tanto per assicurarsi che nessun conoscente fosse nei paraggi. Nella casella c'era un lettera e non nella solita anonima busta bianca, bensì in una color nocciola, dalla veste decisamente più accattivante. La ripiegò in due e la infilò in tasca, raggiungendo a passo veloce la macchina. Si fermò poi in un bar sulla strada e ordinò un tramezzino al tonno con una limonata fresca.
A differenza di qualche tempo prima, la smania di leggere la corrispondenza della moglie si era notevolmente ridimensionata. Le lettere stavano diventando dei veri e propri sfoghi ai quali Giordano si stava stancamente abituando. Aprì la busta mentre la cameriera gli portava la limonata.
"Il tonno è finito "
"Cosa?" Rispose lui distrattamente.
"Dicevo che il tonno l'abbiamo finito " Riprese la signorina mentre estraeva nuovamente il taccuino per annotare la nuova ordinazione.
" se vuole glielo faccio con la polpa di granchio."
"Si.. vada per il granchio" Disse mentre nascondeva la busta sotto le mani.
"Arriva subito"
Cominciò a leggere: i soliti discorsi su quanto fosse dura per lei tirare avanti, sul suo futuro incerto e sul fatto che aveva voglia di ricominciare. Raccontava che Giordano per poco non aveva scoperto il nascondiglio dove teneva le sue lettere. Cercò di pensare a dove aveva messo le mani il giorno precedente per esserci andato così vicino e subito sorrise: non aveva bisogno di trovare nessuna dannata letterina d'amore, tanto era lui che le scriveva. Ma subito dopo il sorriso gli morì tra le labbra: Cinzia aveva deciso di lasciarlo e di portarsi via Richi. All'inizio non realizzò del tutto, pensò che fosse un'idea strampalata buttata lì, giusto per scrivere qualcosa. Ma poi, nel proseguo della lettera, capì che faceva sul serio: lei voleva andarsene, portare via suo figlio e tenerlo lontano da lui ricorrendo anche ad un tribunale, se necessario. E soprattutto aveva voglia di amare un altro uomo, di dividere il letto con qualcuno che non fosse lui. E quelle foto sarebbero state la sua polizza assicurativa.
Per un attimo si sentì mancare, stava sudando ed era molto teso. La cameriera stava arrivando con il tramezzino alla polpa di granchio. Preferì non farsi vedere dalla ragazza in quelle condizioni e si avviò verso la toilette con la lettera stretta nella mano destra. Si sciacquò il viso con l'acqua fredda e si guardò allo specchio: Cinzia voleva la guerra? E guerra sarebbe stata.
IX
(Giovedì: l'appuntamento)
Cinzia salutò Richi verso le otto meno venti: solitamente l'autobus non passava prima delle otto, ma oggi sarebbe stata una giornata speciale perché insieme alla sua classe avrebbe partecipato alla visita di un'industria dolciaria.
"Non ti scordare la merenda, è nello zainetto "
"Tranquilla mamma " Fece qualche passo verso l'autobus e poi si girò nuovamente verso di lei. ".. dov'è papà?"
Lei guardò verso il basso e poi gli sorrise. "È già uscito. Ha fatto piano per non svegliarti"
Lui tornò indietro verso sua madre e l'abbracciò.
"Ti voglio bene mamma.." Le sussurrò in un orecchio, baciandola dolcemente.
"Anch'io tesoro mio, non sai quanto."
Poi Richi si districò velocemente dall'abbraccio salendo sull'autobus in un batter d'occhi.
"Fai attenzione e comportati bene "
"Tranquilla.." Le rispose mentre l'autobus si allontanava.
Non si sarebbero più rivisti.
Fu sul punto di mandare tutto all'aria. Erano da poco passate le sedici e ancora non si era preparata per uscire. Si chiese che cosa stesse facendo e se si sentisse davvero così alla frutta da buttarsi tra le braccia di qualcuno che non aveva mai conosciuto. E poi, che tipo di persona avrebbe potuto trovarsi di fronte? E se fosse stato un pervertito, un delinquente, uno stupratore che adesca le sue vittime proprio con la corrispondenza? Ma poi, riflettendo, si rese conto che non aveva assolutamente niente da perdere e che se proprio si sarebbero voluti analizzare dettagliatamente i fatti, era stata lei a buttarsi tra le braccia di lui (per ora solo a parole), chiedendogli alla fine un appuntamento.
Decise così di andare fino in fondo. Indossò un paio di pantaloni neri di lana e un maglione di cachemire celeste: niente gioielli e solo un'ombra di phard sul viso, per coprire i ricordi della lite con suo marito. Mise un impermeabile chiaro e siccome soffiava un vento tagliente decise di coprirsi il capo con un foulard. Uscendo, si dette uno sguardo fugace allo specchio e sorrise: le pareva di vedere Ilsa nella scena finale di Casablanca, quando Rick lascia fuggire lei e suo marito nella nebbia dell'aeroporto
Arrivò alla Muraglia con una decina di minuti d'anticipo, ma decise ugualmente di sedersi e aspettare: non era certo un appuntamento tra ragazzini alla prima esperienza e tanto meno era il caso di fare tre volte il giro dell'isolato solo per farsi desiderare un po'.
Dopo qualche istante si avvicinò un giovane cinese in tenuta rossa e bianca.
"Cosa le porto?"
Lei ci pensò un attimo, poi scelse la prima cosa che gli venne in mente.
"Beh.." Disse un po' imbarazzata ".. veramente sto aspettando una persona. Ecco.. magari un bicchiere di vino bianco"
"Molto bene" Rispose il ragazzo, mentre si allontanava per riferire l'ordinazione.
Si guardò intorno e cercò di immaginare chi potesse essere l'uomo che stava aspettando: forse quel tale, seduto vicino all'entrata del ristorante, con un cappellino da baseball, oppure quell'altro che sorseggiava del vino, vestito in maniera impeccabile, ma dall'aria poco rassicurante. Poteva essere un delinquente, o chissà che altro.
"Il suo bicchiere, signora"
Il cameriere porse il piccolo vassoio con un bicchiere colmo quasi fino all'orlo, tanto che dovette appoggiarlo con estrema cautela per non rovesciarlo.
"Grazie" Disse a bassa voce lei. Sorseggiò piano il vino mentre i minuti scorrevano velocemente e si chiedeva per l'ennesima volta se trovarsi li, adesso, era giusto o sbagliato.
Giusto o sbagliato per chi dolcezza? Per te o per quel bastardo che ti ritrovi in casa? Credimi, tesoro, il fatto che tu sia seduta qui ad aspettare qualcuno che forse può rendere migliore la tua vità è solo un fatto positivo. Lascialo marcire in casa quel picchia femmine, lascia che si roda all'infinito a pensare dove potresti essere andata. Organizzati, prendi con te Richi e vola via alla velocità della luce, non dargli nemmeno il tempo di rendersene conto...
Si morse le labbra pensando che avrebbe desiderato essere risoluta come quella voce dentro di sè. Purtroppo, questo lo sapeva per esperienza, le cose erano troppo complicate per andare lisce così facilmente.
Guardò l'orologio: la lancetta più lunga, dall'ultima volta che l'aveva guardato, aveva fatto quasi mezzo giro. Sorrise tra sé e sé e seppe, all'istante, che non si sarebbe presentato. Tante belle parole, tante frasi ad effetto, ma niente più di questo. In un attimo provò un moto di collera: come poteva essere stata tanto stupida? Stupida, una stupida ragazzina e nient'altro. Chi poteva essere tanto sciocco da andarsi a impelagare in una storia con una donna nelle sue condizioni? Un bambino piccolo, una situazione familiare troppo complicata perché le belle parole non fossero solo un'illusione. Con gli occhi umidi di lacrime, si alzò, mantenendo lo sguardo verso il basso, ma dopo pochi passi vide l'ombra di qualcuno dinanzi a lei. Alzò lo sguardo e si sentì gelare.
Il nome di suo marito le morì tra le labbra. Cosa avrebbe fatto adesso e sopratutto cosa gli avrebbe detto? Doveva inventarsi una buona scusa, un'ottima scusa.
"Che ci fai qui?" Chiese lui, sorridendo.
"Io.. veramente.." Stava balbettando e le mani cominciarono a sudare. Lui non le fece finire la frase, ammesso fosse riuscita a farlo.
"Ho deciso di uscire prima oggi.. sai il progetto del parcheggio può dirsi concluso. Mi sono concesso qualche ora di vacanza. Ma tu piuttosto?"
"Ecco.." Disse guardando in terra ".. ho preso una cosa con un'amica... e stavo tornando a casa, sai comincia a fare freddino e allora..."
Non sai proprio mentire... pensò lui. Era furioso: sua moglie era lì, pronta ad andarsene con il primo che si fosse seduto a quel dannato tavolo e adesso gli diceva con il sorriso tra le labbra che era stata con un'amica.
"Allora torniamo a casa insieme?" Le chiese.
"Ma certo..." Rispose Cinzia, sorridendo.
Andarono verso la Saab di Giordano. Lui le aprì la portiera e lei lo trovò assolutamente insolito. Era stranamente gentile. Una miriade di pensieri le si affollarono nella mente: che cosa aveva creduto quando l'aveva vista al ristorante? Sicuramente aveva mangiato la foglia dal momento che quando mentiva lo si vedeva lontano un miglio. Aveva certo pensato che si fosse incontrata con qualche uomo.
Ma purtroppo non era andata così..
La radio trasmetteva una canzone rock, mentre le prime gocce di pioggia cominciavano a picchiettare contro il parabrezza. Dopo qualche minuto di silenzio, lui disse qualcosa, a bassa voce.
"Cosa?" Chiese Cinzia.
"Non credevo che saresti venuta.. davvero.. non avrei mai immaginato che ne avresti avuto il coraggio"
"Cosa..? Ma di che stai parlando?" Lei si sentì d'un tratto catapultata in un terribile incubo.
"Non fare la finta tonta..." Disse con disprezzo. "Non farmi fare la figura del pazzo visionario.."
"Davvero Giordano... non so di cosa tu stia parlando.."
Lui sterzò bruscamente e fermò la macchina in una strada senza uscita. Spense il motore.
"Che stai facendo.. perchè ti sei fermato?" Cinzia adesso aveva paura. Non aveva idea di cosa lui potesse sapere o credere, ma aveva paura. E tanta.
"Queste le riconosci?"
Lui le buttò addosso le lettere.
Lei ne guardò una. In un primo momento pensò che avesse trovato le lettere, ma poi, leggendone una, si rese conto che aveva in mano le sue risposte. La vista le si annebbiò per un attimo. Come poteva essere successo? Come poteva avere le sue risposte?
Come se le avesse letto il pensiero, lui le rispose.
"Non è difficile se ci pensi..."
"Io non..." Le mani cominciarono a tremare.
"Io non.. io non so.. io vorrei... NON SAI DIRE ALTRO?"
"Come hai fatto ad averle? Io non capisco..."
"Ma possibile che non ci arrivi? Sono io il tuo febbrile amante.. sono io che ho scritto tutte quelle belle cose e tutti quei bei pensierini... IL TUO FOTTUTO AMANTE FEBBRILE NON ESISTE"
Finora, quell'assurdo pensiero non l'aveva neppure sfiorata per un momento. Era impossibile credere che certe parole potessero venire da lui e poi perchè? A che scopo? Che cosa voleva dimostrare? Per quale ragione poteva essersi spinto fino a quel punto? Solo per attirare la sua attenzione o per il gusto di ferirla, di umiliarla. In quel momento, vedendolo sorridente di fronte al lei, sentì di odiarlo profondamente. Oh Dio quanto avrebbe voluto farlo soffrire proprio come lei, adesso
Riordinò le lettere e le strappò. Poi si girò verso di lui.
"Perchè l'hai fatto? Volevi umiliarmi? Farmi fare la figura della povera idiota? Beh ci sei riuscito.. è proprio così che mi sento.. una povera idiota." Disse con un sorriso amaro, mentre con un fazzoletto si asciugava gli occhi.
"Mi chiedi anche il perchè..." Rispose lui sorridendo. ".. mi hai sfinito.. ero l'uomo più felice del mondo quando ti ho sposata e l'unica cosa di buono che hai saputo darmi è nostro figlio. Hai preso tutto quello che hai voluto e che cosa mi hai dato? Niente, assolutamente niente "
"È per colpa tua che siamo arrivati a questo punto " Gli rispose gridando. Aveva paura che potesse diventare violento, ma non poteva fare altrimenti. Era stanca e comunque fosse finita sarebbe stata una liberazione.
" tutte le tue manie, la tua gelosia assurda che mi ha costretta a diventare una schiava segregata tra le mura della nostra casa. Sono stata la tua serva, ho cucinato per te, ho lavato per te, ho stirato per te e tutto quello che mi hai saputo dare è stato il benservito con questa buffonata."
"Non azzardarti a parlarmi in questo modo, lurida sgualdrina" Gridò a squarciagola, tanto che Cinzia si guardò intorno, temendo che qualche passante potesse sentirli, ma la strada era piuttosto desolata.
"Da quando mi hai conosciuto non hai fatto altro che sfruttarmi per lasciarti alle spalle la tua vita da cassiera. Ma no, non ti bastava tutto quello che eri riuscita a portarmi via, avevi bisogno anche di umiliarmi. Con quanti uomini sei stata in questi anni con quanti mi hai tradito?"
"Con nessuno " Rispose fra le lacrime. Era esausta e non desiderava altro che uscire da quella macchina e correre a casa, prendere Richi e andare via: non importava dove, voleva solo non vederlo mai più.
Fece per aprire la portiera, ma Giordano la prese per il braccio.
"Dove credi di andare? Non ho finito."
Lei si girò verso di lui. Era paonazzo e aveva gli occhi iniettati di sangue.
"Sai che ti dico? Forse, in tutta questa storia qualcosa di buono c'è.."
"Ah si? " Chiese Giordano. La rabbia stava montando sempre più perchè si era accorto che Cinzia, via via, si stava riprendendo. Se l'era aspettata diversa questa scena: lei in lacrime, incapace di parlare e di fronteggiarlo. Lui che aveva il controllo completo.
"Si.. perchè forse, altrimenti, non avrei avuto il coraggio di dirti che me ne vado. Voglio il divorzio e mi porto via Richi."
"Oh.. puoi andartene dove più ti pare. Ma da sola. Non credere che te lo lascerò portare via."
"Se credi che possa lasciare mio figlio nelle mani di un pazzo come te ti sbagli di grosso. Non mettermi i bastoni fra le ruote perché giuro su Dio che ti mando in galera per quello che mi hai fatto. Mi sono fatta qualche foto, dopo la nostra lite..."
Giordano parve sorpreso. Sapeva delle foto, ma non credeva che sarebbe stata pronta a usarle. Evidentemente l'aveva sottovalutata. Era determinata più che mai e non sarebbe stato tanto facile. Inoltre partiva sicuramente svantaggiato: nessun tribunale avrebbe concesso l'affidamento ad un genitore violento. Sorrise. D'accordo, era determinata, e ben più di quanto potesse immaginare, ma comunque non aveva ancora fatto i conti con lui. La prese per la gola e si portò a pochi centimetri dal suo viso.
"Che cosa vuoi fare con quelle foto? Facciamo così, tu mi dici dove le tieni e poi ne riparliamo "
"Non mi toccare " Gli disse. ".. non ti azzardare a colpirmi un'altra volta" Cercando di districarsi dalla presa di Giordano, gli graffiò il volto all'altezza del sopracciglio.
Lui si passò le dita sulla ferita e la osservò nello specchio retrovisore.
In un attimo fu come se fosse piombato in uno stato di trance, sembrava non sentire ciò che sua moglie gli stava intimando: i suoi occhi non avevano più espressione, fissavano il nulla.
"Non mi toccare, stai lontan.."
Le strinse le mani intorno al collo, pressandole contemporaneamente la testa contro il finestrino. Cinzia tentò di aprire la porta, ma nella posizione in cui si trovava le fu impossibile.
Aumentò sempre più la stretta sul collo mentre lei si dimenava, scalciava e tentava di gridare, ma tutto ciò che le uscì dalla gola furono solo urla soffocate. Cercò di conficcargli le unghie negli occhi, ma riuscì solo a ferirlo ancora: la mancanza di ossigeno le faceva perdere vigore velocemente. Lo supplicò di allentare la presa, cercò di prendergli le dita per allargargli le mani, ma non servì a nulla. Pregò Dio che passasse qualcuno, che qualcuno li sentisse, ma era ormai calato il buio e quella strada pareva dimenticata da tutti. Era troppo forte, e poco alla volta si rese conto che non sarebbe riuscita a fermarlo.
Qualche minuto dopo le diciotto, Giordano guardava la pioggia attraverso il vetro della sua auto. Cinzia sedeva accanto a lui e pareva che dormisse. Proprio come quando viaggiavano: lui guidava e lei dormiva, beata, in attesa che lui la svegliasse con un bacio e le dicesse che erano arrivati.
Ma il tempo dei viaggi, ormai, era acqua passata.
Giugno 1999
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