Era quasi sera! Una sera qualunque di un giorno d'autunno. Un bel tramonto infiammava il cielo. L'aria fredda faceva rabbrividire gli alberi. Un cane dall'aspetto famelico gironzolava, triste, chiedendo ciò che nessuno poteva dargli. Le ultime galline ritardatarie, le piume al vento, si affrettavano in direzione del pollaio.
Tutto... gli esseri, le cose languivano, aspettando il monotono ma meritato riposo serale.
Nella pacata solitudine: una casa. Una casetta abitata soltanto dal fumo di un camino. Era una di quelle case stanche di esistere in cui la miseria, aiutata dagli anni, lascia le cicatrici più dolorose della sua presenza.
Lì, presso l'uscio, immersa nel tranquillo squallore, una donna mi dava le spalle. La osservavo: accovacciata, era intenta a lavare stracci che, in un primo tempo, dovevano esser stati indumenti. Accanto a lei, un bambino dal viso sudicio ma sorridente giocava. Si divertiva con niente... quel niente che dà l'illusione di possedere ciò che si desidera.
Che miseria, pensai! Chissà quanta tristezza in quei cuori! Oppure no! Quella donna è forse felice! Ardevo dal desiderio di chiederle cosa pensava della vita, della sua vita. Volevo sapere se l'infelicità e il dolore abitassero tutti nello stesso modo.
Mi avvicinai... Due occhi splendidi mi guardarono; la bocca, listata da due rughe amare, sorrideva; il vento giocherellava con i lunghi capelli corvini e luridi. Quanta serenità in quel viso triste... Il bambino, vedendomi, si mise a strillare. Sentivo di esser voluta entrare in un mondo che non meritavo di conoscere. Salutai sommessamente... non le chiesi nulla... non volevo, non potevo sapere...
Tornai sui miei passi, il corpo solcato da un tremore causato un po' dal freddo serale ma soprattutto dalla paura... Sì, avevo paura! Paura di generare la domanda terribile in quella mente che viveva senza chiedersi il perché delle cose... Ma forse ancor più paura di scoprire la verità e di provar invidia...