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Il patto con gli stivali
Di tutte le arti, la musica è quella che più facilmente apre tutte le serrature del cuore, finanche le più nascoste, disperde i pensieri molesti, i crucci volontari con cui ognuno si diletta a far della propria vita un tormento, le uggie, le noie, il disappunto, i musi lunghi, tutte quelle cose insomma, senza le quali non riusciremmo a riempir convenientemente le nostre giornate e il più caro dei vezzi ci sarebbe impietosamente tolto: il lamento.
Se brillasse sempre il sole, e tuttavia non vi fosse siccità, se il treno arrivasse in orario, se il traffico non ci ingolfasse il cuore, se il nostro vicino sapesse rinunciare alle potenti scariche di adrenalina che gli procurano i ripetuti attacchi alla nostra tranquillità.. ebbene, neanche in tal caso riusciremmo a esser contenti del nostro stato.
Sapremmo trovare, cavillando a più non posso, insospettabili quanto curiose fonti di fastidio e irritazione, e se proprio la natura o le circostanze rifiutassero ostinate, sapremmo sicuramente inventarne di nuove, scartabellando con astuzia e destrezza tra i deliri che vivono nel segreto delle nostre anime.
Ad esempio, il fatto che in una serata come questa, in cui i poderosi rubinetti del cielo sono stati aperti tutti contemporaneamente e al massimo della loro capacità, così che ne vien giù come attirata da una mostruosa ventosa una quantità tale da affogar pure i pesci... in una serata così, dicevo, in cui già pregustavo il rincantucciarmi tranquillo e sonnacchioso nell'unico angolino tiepido della casa dove la vecchia stufa, tra una fumata e un'esprit di scintille, lavora sodo a cuocer la cena, asciugar i panni e riscaldare le mie povere ossa, mi si chieda di uscire e me lo si chieda con quella finta e taciturna supplica celante una realtà imperiosa e carica di minacce, beh.. è una cosa da non potersi spiegare neanche se si avesse la buona lena di scartabellare armati di pazienza in grado eroico i più nutriti archivi lessicali.
E dove trovare parole in grado di dar chiara visione della multiforme mole di sentimenti che mi s'apprende al petto all'inatteso incupirsi dell'orizzonte, all'imminente scoppio di un temporale?
Come esprimere, quale forma dare alla sequenza di mute promesse di dispetti che costituiranno l'immancabile risposta al mio, pur sensato, rifiuto all'immolazione della mia buona salute sull'ara di una insana passione acquatica che non ho e non sogno d'avere, ma che pur mi s'impone?
E l'impari lotta ha inizio, ché son due, due contro uno, perchè due ne presi con me, e mi sembravan belli, leggeri e caldi, forieri di voluttà inaudite per la parte più recondita di me, quella cui nessuno bada ma che è il basamento del mio peso e della mia altezza, del mio correre a destra e a manca, dei miei tentativi di sbarcare un lunario decente, delle mie fiere e orgogliose virtù, dei miei vanitosi e irriverenti dispetti.. della sfera incirconcisa dei miei pensieri in moto perpetuo, di tutta, insomma, la complessa complessione che in tal guisa assemblata, dà luogo a me medesimo.
Son due, dicevo, i molestatori, perchè due sono le delicate appendici della cui salvaguardia sarebbero stati i tutori: i miei poveri, cari piedi, che proprio quando tutto ciò che vorrebbero è starsene a palme nude sul puf davanti al fuoco scoppiettante e crogiolarsi, stendersi, girarsi e rigirarsi, dondolare a mò di pendolo, stiracchiarsi le dita intorpidite e riacquistar vigore e prepararsi allo scalpitìo di una nuova giornata... ecco che dovranno infilarsi in quegli orribili strumenti di dissuasione da un sano e più che meritato riposo.
"Sono l'ideale per l'acqua" m'aveva detto il commesso, nonostante non avessi espresso alcuna richiesta in proposito, ma fossi stato istigato piuttosto dall'immediata e affascinante sensazione di confortevole tepore che emanava da quei stupendi tiortura-alluci in alta uniforme.
Pensai alle mie povere estremità gelate, pensai che un atto di cortesia verso di loro sarebbe stato oltremodo apprezzato, ancorchè doveroso, li accomodai perciò entrambi nel loro astuccio con la grazia dedicata a due reliquie, e me ne stetti qualche istante a rimirarli, ebbro di future gioie.
Fu così che rincasai col cuor contento e le tasche alleggerite, ovvero la tasca, ché per tutto il mio avere due tasche sarebbero un appartamento troppo grande.
Ah! quanto me ne dovetti pentire! E sì, che ero stato avvisato che eran fatti per l'acqua, ma signori miei, che avessero costumanze da veri fanatici dell'acquatismo, questo no, questo mi si doveva spiegare... mi si doveva dire: guardi che se non li porta fuori ogni volta che vien giù a catinelle, questi qui.. le daranno filo da torcere, e filo spinato..
Perchè dovete sapere che se non permetto loro di ciacchettare a iosa in ogni qualsivoglia pioggerellina, rovescio, fortunale o diluvio che al ciel piaccia mandarci, questi due mostriciattoli che appena un'ora fa se ne stavano quieti nel loro angolo, coi lunghi colli mollemente adagiati l'uno sull'altro come in affettuoso, complice riposo... mutano il cipiglio, e s'accartocciano, s'incupiscono, induriscono i tratti, sollevano le punte, ché pare quasi un digrignar di denti, e non si può in nessun modo continuare a guardarli, nè riposare sotto una siffatta mole di mute, minacciose promesse.
Promesse che saranno perfidamente mantenute al primo passeggiar asciutto che si farà, allorchè si stringeranno come morsetti, impietosi scorticheranno il calcagno, pesteranno l'alluce indifeso e il mignolo dove il vecchio callo risveglia tutta la sua potenza drammatica, finchè non raggiungerò zoppicando il caro uscio e mi libererò di loro, e loro di me.
Ovviar non saprei senza procurarmi nuovo danno, potrei gettarli al fuoco a rinfocolar le fiammelle moribonde di fine serata, potrei affogarli riempiti di sassi, nel punto più profondo del torrentello al limitar della città... in entrambi i casi condannerei le mie estremità all'ignominia, ché ignude resterebbero.
Potrei portarli in un'altra stanza se solo ve ne fosse un'altra, ma non risolverebbe il problema, tantopiù che se potessi disporre di una camera in più potrei anche disporre di un paio di stivali in più.
Potrei lasciarli uscire da soli, sotto l'acqua scrosciante, e tornare a prenderli a fine festa... ma senza di me se ne ubriacherebbero a tal punto che l'indomani mi si appiccicherebbero come tentacoli.
Potrei uscire io senza di loro, ma un tal dispetto raddoppierebbe la loro stizza e moltiplicherebbe all'infinito le opportunità dei più bellicosi malanni di acciuffarmi.
Per questo ho pensato alla musica, per prender due piccioni e una fava: portar le animacce loro a inzaccherarsi a piacere, rifocillar lo spirito mio al calduccio della sala dove al diffondersi delle dolci note ritroverò il mio angolino, il mio buonumore, la mia perduta pace... lì, in fondo a destra, allungherò le gambe, incrocerò le braccia, e ad occhi chiusi aspetterò che l'ultima nota si sia dissolta nell'aria e spererò... che abbia smesso di piovere.
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- grazie.. strappare un sorriso o anche due..è per me il premio più grande. grazie. di cuore.
- L'ironia non manca, e anche la fluidità, nonostante la predilezione per il lungo periodare
e per la ridondanza delle aggettivazioni. Molto intrigante la scelta dell'argomento. Complimenti. (Azzeccato anche il titolo!)
- Bellissimo e ironico racconto. Immagini spettacolose e descrizioni deliziosissime... A chi non è mai capitato almeno una volta di dover rinunciare all'idea di starsene al riparo e al calduccio mentre fuori impazza il diluvio universale e tuttavia si è costretti ad uscire perchè nessun'altro può farlo al posto tuo? E quegli stivali... mi pare di conoscerli abbastanza bene! Mia moglie ne ha una collezione ma riesce a scegliere quelli inadatti nei momenti meno opportuni. Sarà un dono puramente femminile? Mi hai strappato più di un sorriso questo tuo scritto. Letto d'un fiato e molto godibile.
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