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L'Ascesa di un Re
-Attenti con quei cannoni! Uno solo di quelli vale più della vostra paga annuale!-
Il capitano, rivolgendosi ai genieri della sua compagnia, si mosse per controllare che tutto procedesse speditamente: l'attraversamento del passo dell'Argentiére, appartenente al duca di Savoia e non controllato dagli svizzeri, era stata una mossa molto astuta da parte del re di Francia, ma bisognava agire in fretta; quell'agosto, piuttosto caldo, contribuiva a rendere la marcia più sicura, trattandosi sempre e comunque di un passo montano, anche se il sole, molto caldo, rendeva spesso più pesante il trasporto degli armamenti pesanti e il movimento.
Chiunque si trovasse sulla cima del monte della Maddalena in quell'agosto del 1515, avrebbe potuto osservare l'imponente esercito francese, mentre si snodava, lentamente ma incessantemente, come un immenso serpente variopinto diretto verso la sua preda più ambita: Milano.
Da quando era salito al trono l'allora ventunenne Francesco aveva dovuto combattere contro la confederazione elvetica, le cui mire espansionistiche avevano minacciato più volte la Lombardia e i possedimenti del duca di Milano, titolo che il re di Francia reclamava, più o meno legittimamente, per sé.
Dopo anni di brucianti sconfitte, i francesi avevano dovuto abbandonare il controllo sulla città, considerata la porta principale per l'Italia.
Ora Milano era governata da Massimiliano Sforza, figlio di Ludovico il Moro e semplice strumento nelle mani degli svizzeri, i veri padroni della città che, oramai, non possedeva nemmeno più un esercito proprio.
Francesco aveva deciso che era giunto il momento di cambiare le cose: muovendosi di sorpresa con questo grande esercito, aveva deciso di varcare le alpi da uno dei pochi passi non controllati dagli svizzeri, per calare poi nella pianura padana e riconquistare il ducato. Per troppi anni i picchieri svizzeri si erano fatti beffe dell'esercito francese, sconfiggendo i fieri cavalieri in numerose occasioni. Ma ora, dopo anni di umiliazioni, finalmente il grande reame avrebbe riacquistato il suo onore.
O almeno a questo pensava Francesco, mentre un capitano tedesco, responsabile dei cannoni, lo raggiunse cavalcando tra gli uomini.
-Signore, dobbiamo fare una sosta, gli uomini sono molto stanchi, ed hanno quasi fatto cadere uno dei pezzi-
-Avremo ancora un paio d'ore di luce, mi spiacerebbe sprecarle.
-Come desiderate, sire, però perdere uno di quei cannoni mi sembra una disgrazia maggiore del perdere un paio d'ore.-
Francesco osservò il rude guerriero con un momento di esitazione, indeciso sul da farsi quando, alle sue spalle, un altro uomo parlò.
-Sono certo che sua maestà saprà prendere la decisione migliore, grazie di averci informati!-
Il mercenario si rigirò borbottando e tornò ad addentrarsi nel fiume umano formato dalla colonna avanzante, mentre Francesco si voltò verso l'uomo che aveva parlato; era un uomo tra i quaranta ed i quarantacinque, dai capelli ricci e neri che giungevano fino alla base del collo; il viso, segnato da molte battaglie, rimaneva comunque solare e piacevole, con la bocca sempre sorridente incorniciata da dei sottili baffi, lo sguardo acuto e penetrante, sostenuto da un naso un po' adunco. In tutta la sua figura, elegantemente vestita, emanava una grande eleganza e pareva essere l'unico, in mezzo a quel mucchio di uomini stanchi ed affaticati, a poter reggere il confronto col giovane re. Trattavasi di Pier de Bayard, il famoso cavaliere che tante battaglie affrontò nel corso della sua vita, sempre servendo lealmente i reali di Francia.
Una smorfia di disapprovazione apparve per un istante sul suo volto, che ritornò subito tranquillo, per poi rivolgersi a Francesco.
-Dite ciò che volete, maestà, ma non mi piace quel tedesco, come non mi piacciono i suoi uomini. Questi mercenari non sono degni di alcuna fiducia!
-Può darsi Pierre, ma finora mi hanno servito lealmente, e continueranno a farlo.
-Certo, fino a quando gli darete nemici da combattere ed avversari da spogliare vi saranno fedelissimi! Ma il giorno in cui non ci sarà più da guerreggiare...
-Di quel giorno ci occuperemo a tempo debito, amico mio, ed auguriamoci che abbia a giungere presto!
-Lo spero mio signore, lo spero proprio... comunque il consiglio di quel tedesco non era poi tanto male: sono quasi trenta ore che marciamo ininterrottamente, direi che una sosta ce la meritiamo.
-Va bene, Pierre, mi avete convinto, date l'ordine.-
Il cavaliere si mosse immediatamente per fare trasmettere l'ordine a tutta quanta la colonna; mentre si allontanava sentì Francesco, alle sue spalle, che gli urlò di presentarsi a cena, che avrebbero dovuto discutere del proseguimento della campagna.
Quella sera stessa, una volta montato il campo, Pierre de Bayard si diresse alla tenda del re, venendo accolto calorosamente da sua maestà che, approfittando della sosta, aveva svestito la sua armatura, accontentandosi di un comodo vestito in stile italiano. Il giovane Francesco aveva la statura e l'aspetto di un vero eroe d'altri tempi: alto almeno un metro e novanta, era un ragazzo perfettamente allenato ed in forma, capace di superare per resistenza molti dei suoi coetanei, ed anche dei suoi più maturi compagni d'arme. Unto re a gennaio di quello stesso anno aveva deciso, spinto dalla foga giovanile e dal desiderio di gloria, di imbarcarsi nell'impresa di conquistare il ducato più bello del mondo, bramato dal suo predecessore Luigi XII.
Assieme ai due nobili e solari guerrieri erano riuniti, quella sera, tutti i più importanti capitani dell'esercito: Carlo III di Borbone, uomo di grande coraggio e capacità, eletto da Francesco connestabile di Francia, il duca d'Alençon, un nobile amico del re, cavaliere di grande abilità, Pietro di Navarra, un abile condottiero a capo di un'armata di guasconi, Jacques de la Palice e Gian Giacomo Trivulzio, l'anziano ed astuto mercenario italiano che aveva suggerito a Francesco di passare attraverso l'accidentata via del col d'Argentiére.
E fu proprio Trivulzio, veterano esperto di numerose guerre, che cominciò a mostrare al re la situazione.
-Entro una giornata dovremmo riuscire a raggiungere la pianura lombarda, a quel punto non faticheremo molto ad avanzare.
-Bene, cosa proponete di fare, successivamente?
-So che un contingente svizzero è di stanza a Villafranca, la nostra avanguardia potrebbe facilmente sorprenderlo, d'altronde nessuno si aspetterà di vederci arrivare!
-Gli uomini sono indeboliti, questa marcia in mezzo ai monti non ci ha certo aiutati,- intervenne Carlo di Borbone -abbiamo perso viveri ed animali in quantità!
-Certamente meno di quanti ne avremmo persi finendo in bocca agli svizzeri- rispose Trivulzio, continuando con la sua proposta -comprendo che siamo tutti stanchi, ma mi sembra una buona occasione-
Francesco si guardò intorno, poi si mise a parlare, intenzionato a mostrare a tutti quegli esperti uomini d'arme che non sarebbe stato a guardare mentre loro decidevano le sorti del suo regno.
-Il piano mi piace, scendiamo, attacchiamo e mostriamo subito di essere i più forti, oltre che i più furbi. Non voglio rischiare il mio esercito in una battaglia infinita con gli svizzeri. Resta solo da vedere chi di voi si vuole occupare di questa impresa.
-Andrò io- risposero quasi all'unisono Pierre Bayard e la Palice, strappando un sorriso di soddisfazione al re.
-Beh, direi che la scelta è già stata effettuata, allora siamo d'accordo, voi due vi occuperete di prendere il controllo dell'avanguardia, mentre noialtri guideremo il resto dell'esercito ad un giorno di marcia.-
I comandanti andarono avanti a discutere, finendo di discorrere relativamente alle salmerie ed alla gestione degli accampamenti una volta giunti in Italia poi, verso la mezzanotte, la riunione venne sciolta; soltanto il cavaliere Bayard rimase a parlare ancora un po' con Francesco, evidentemente emozionato a causa di questa impresa.
-Sai Pierre, mia madre mi chiama sempre Cesare, ma in questo momento mi pare più di essere Annibale...
-Già, solo che invece degli elefanti noi ci trasciniamo dietro i cannoni.
-Hai ragione!- Il re ed il cavaliere risero per un istante poi, come rabbuiato da un terribile presentimento, Francesco si piegò un po' e guardò il suo compagno d'arme con un'aria preoccupata.
-Credi che riusciremo? Credi che gli svizzeri si arrenderanno?- Il cavaliere fu un po' sorpreso da quella manifestazione di momentanea debolezza in quel ragazzo che, fino a pochi minuti prima, aveva parlato con autorità in mezzo ad una riunione di veterani della guerra.
-Certo che riusciremo, mio sire, nessuno si aspetta il nostro arrivo.
-Già. Sai, mi pare sciocco dirlo, ma vorrei che mia madre fosse qui.
-Credo sia normale signore, ma non dovete preoccuparvi. Un esercito intero è pronto a gettarsi in battaglia al vostro comando, e voi siete forte, sono certo che nessuno potrà fermarci, questa volta.-
Francesco, un po' perché rincuorato dalle parole del cavaliere, un po' perché si stava già pentendo di questo moto di umanità, riprese una posizione eretta, torreggiando con la sua altezza anche sul nobile compagno, poi si rimise a ridere elegantemente.
-All'inferno gli svizzeri! Dio mi ha donato questa corona, con questa impresa mostrerò a tutti che sono degno di possederla!-
Il re congedò il cavaliere, poi si occupò di preparare alcune lettere da spedire non appena avesse terminato il viaggio, infine si coricò, pronto a ripartire per completare il prima possibile la spedizione.
Dopo pochi giorni di viaggio il re ed il suo esercito poterono raggiungere l'avanguardia guidata dai due cavalieri, scoprendo, con grande gioia, che il colpo di mano era riuscito: Villafranca era presa, insieme con trecento cavalieri papali guidati dal vecchio Prospero Colonna. Gli svizzeri avevano deciso di ritirarsi, colti di sorpresa da questo esercito francese uscito dal nulla, ed avevano ripiegato verso Milano, seguiti a debita distanza dalle colonne francesi, cui Francesco aveva ordinato di evitare lo scontro.
Verso la fine di Agosto, le posizioni parvero consolidarsi, con i francesi che schieravano la loro avanguardia, guidata da Carlo di Borbone, a Marignano, e l'esercito del re un po' più indietro.
Gli svizzeri, sempre in possesso di Milano, erano del pari poco intenzionati ad affrontare una battaglia potenzialmente pericolosa e, con gradimento di tutti, poterono essere intavolate le trattative.
Proprio in questo periodo, una visita inattesa giunse a Francesco, mentre lavorava ad una nuova offerta per gli svizzeri.
-Credo che si potrebbe alzare ancora un po' l'offerta economica, d'altronde...
-Maestà!-
Entrando con veemenza nell'alloggio del re, Robert de Fleurange, un suo giovane amico, aveva sorpreso tutti quanti i presenti. Francesco si affrettò ad avvicinarglisi, mostrando un certo sgradimento per la sua inattesa entrata.
-Che succede signor de Fleurange, per quale ragione entrate nei miei alloggi, peraltro senza bussare?-
Robert, resosi conto di aver commesso un errore di etichetta, si affrettò ad inchinarsi, dicendo gentilmente:
-Vogliate perdonare la mia intrusione, vostra maestà, ma porto delle notizie molto importanti.
-Siete perdonato, ditemi dunque, cosa vi ha spinto fin qui?
-Uno svizzero, mio sire, un loro comandante, è qui e chiede di poter conferire con voi.
-Un comandante svizzero?- Francesco sollevò un sopracciglio, mostrando interesse per la notizia da lui inattesa, -Bene, fallo entrare, sono curioso di sapere cosa ha da dirci.-
Robert si congedò con un altro inchino, poi uscì e si diresse nel giardino della villa di Santa Brera, dove si trovava il re. Si trattava di un vasto caseggiato con quattro portici, immerso in un mare di bianchi vigneti, che davano a tutta la zona un aspetto stupendo.
Il giovane nobile raggiunse il comandante svizzero che lo aveva contattato: si trattava di un uomo intorno ai quarant'anni, dalla barba ed i capelli biondi, col viso piatto e squadrato, emanante un'aria di solennità.
-Venite pure, sua maestà acconsente a vedervi.-
Lo svizzero, senza parlare, si mosse immediatamente, facendo cenno a Robert di mostrargli la strada; i due ritornarono nell'alloggio di Francesco che, attorniato dai suoi consiglieri, attendeva con curiosità l'arrivo dell'inatteso ospite.
Robert e l'uomo entrarono rapidamente, mentre la porta venne richiusa dietro di loro. Francesco squadrò l'uomo da capo a piedi, come se volesse leggere nei suoi pensieri semplicemente osservandolo poi, dopo un attimo di esitazione, gli si rivolse con un tono solenne ma amichevole.
-Ebbene eccovi arrivato signor comandante svizzero, potrei sapere chi siete?
-Mi chiamo Albrecht Van Stein, sire, e vengo a porgervi i miei omaggi.
-Spero che non siate venuto solo per questo!
-Effettivamente no, mio buon signore, desidero proporvi un accordo.
-E a nome di chi vorreste farlo?
-A nome mio, mio soltanto.-
Un leggero brusìo si alzò tra i consiglieri, mentre re Francesco, sempre più incuriosito da quell'uomo, gli fece cenno di continuare a parlare.
-Prima, mio sire, vorrei chiedervi di congedare i presenti. Ciò di cui desidero parlarvi non dovrebbe essere sentito da troppe orecchie.-
Alcuni dei presenti cominciarono ad inveire contro l'elvetico, ma il re, girandosi con fare infastidito, fece segno a tutti quanti di uscire, ignorando le loro proteste. Quando tutti quanti, eccetto Robert, furono usciti, i tre uomini si accomodarono.
-Seduti si discute meglio- disse Francesco, tentando di mettere a suo agio l'ospite, in modo da poterne abbassare la guardia; -allora, posso sapere, adesso, che cosa volete propormi?
-So che non desiderate combattere contro di noi.-
Lo svizzero, dopo aver pronunciato queste parole, rimase ad osservare il re, che pareva sempre impassibile, sorridendo amichevolmente.
-Può darsi, o può anche darsi che abbia deciso di sconfiggere tutti i confederati nel territorio del ducato.
-Nel qual caso dovreste combattere a lungo. No maestà, penso proprio che voi non desideriate combattere come, d'altro canto, non lo desiderano molti di noi.- Francesco, capendo che l'uomo stava per scoprire le sue carte, continuando a sorridere, gli fece cenno di proseguire.
-I responsabili dei vari cantoni continuano a discutere, incapaci di decidersi su quale offerta gli convenga accettare. Come potete immaginare, voi non siete l'unico ad avere interessi riguardo a questa situazione.
-Certo, so che re Ferdinando ed il papa stesso stanno impicciandosi più del dovuto...
-Esatto. Sire, vi parlerò francamente, nemmeno io desidero che si combatta e sono certo che, con i dovuti... convincimenti... potrebbe essere possibile raggiungere un accordo.
-Parlate più chiaramente.
-Bene, se voi siete disposto a fornirmi una cifra bastante, posso certamente convincere la maggioranza dei responsabili a votare per un'accettazione della vostra offerta!-
Francesco, sempre sorridendo ma con il volto ora attraversato da un lampo di speranza, si spostò leggermente verso l'uomo, interrogandolo con emozione.
-Ne siete certo?
-Certissimo, maestà; se vorrete aiutarmi, entro pochi giorni i confederati presenti a Milano accetteranno di firmare l'accordo.
-Bene, allora accetto! La cifra che desiderate vi sarà corrisposta appena il trattato verrà ratificato.
-Però, almeno per ora, avrei almeno bisogno di un segno della vostra buona volontà da mostrare ai miei compatrioti.
-E lo avrete, uscite pure, tra poco vi manderò uno dei miei uomini per sbrigare gli accordi economici.-
Francesco si alzò, seguito da Robert e dallo stupito Van Stein, che si aspettava di dover contrattare più a lungo poi, una volta che lo svizzero fu uscito, Francesco, prima di mandare a chiamare i suoi consiglieri, rimase un momento a parlare con Robert.
-Allora, che ne pensi?
-Penso che avresti potuto chiedere ai tuoi consiglieri prima di accettare.
-Ah, lascia perdere, i consiglieri servono solo quando hai voglia di gettare su di loro qualche responsabilità.
-Dunque vorresti gettarla su di me, adesso?
-Non essere sciocco Robert, gli amici servono anche a confrontare le opinioni e, visto che hai portato tu qui questo elvetico, dovresti sapermi rispondere meglio di altri.-
Robert rimase un momento silenzioso, come a ponderare sui fatti che si erano appena verificati poi, dopo un minuto, guardò in volto Francesco, sorridendo fiduciosamente.
-Direi che possiamo fidarci di lui, rischiava molto venendo fin qua, eppure lo ha fatto lo stesso!
-Va bene, anche io la penso come te, darò ordine di aiutarlo, e speriamo che ci porti ad i risultati che desidero!-
Francesco e Robert si alzarono ed il cavaliere si diresse verso la porta; prima che potesse uscire, la voce del suo amico re lo fermò:
-Robert.
-Sì?
-Non entrare mai più senza bussare!-
Francesco guardò l'amico con fare severo poi, dopo pochi istanti che a Robert parvero interminabili, scoppiò a ridere, subito seguito dall'amico.
I due uomini si salutarono, entrambi speranzosi, pensando che, forse, la guerra si sarebbe potuta risolvere più in fretta di quanto sembrasse.
E così parve in effetti: nei giorni successivi, le trattative andarono avanti e, grazie all'aiuto fornito da Van Stein, i confederati si convinsero che accettare le richieste del re di Francia fosse la scelta migliore da farsi.
L'8 settembre, a Gallarate, venne firmato il trattato e i capitani di Berna, Friburgo e Valais accettarono di ritornarsene in svizzera, con le tasche piene di soldi francesi.
Certo, ancora si combatteva; avvenivano spesso, come sempre avvengono nelle guerre, piccole scaramucce tra i soldati dell'avanguardia francese ed i difensori svizzeri, però sembrava che, soprattutto dopo l'abbandono di una parte dell'esercito, la vittoria francese (più diplomatica che altro) fosse oramai vicina.
Felice del buon andamento delle cose Francesco, sempre nei suoi alloggiamenti, la mattina del 13 settembre, una mattinata estremamente calda, era intento a provare una nuova armatura. Era di fattura tedesca, fatta su misura, con intarsi blu estremamente eleganti. Il re era estremamente soddisfatto quando, ancora una volta, Robert de Fleurange entrò di scatto nella stanza.
-Gli svizzeri! Gli svizzeri stanno avanzando!-
Nella costernazione generale, Francesco si volse verso il suo amico, facendo cadere a terra uno dei paggi che lo stavano aiutando ad indossare l'armatura poi, con uno sguardo più sorpreso che preoccupato, si rivolse a Robert.
-Che stai dicendo?
-Maestà, gli svizzeri avanzano in silenzio! Le nuvole di polvere hanno tradito il loro arrivo. Presto giungeranno di fronte alla nostra avanguardia!-
Senza nemmeno rispondere all'amico, né preoccuparsi che l'armatura finisse di essergli aggiustata addosso, Francesco uscì immediatamente, raggiungendo i suoi attendenti, ordinò che venisse suonata l'adunata delle truppe e, in brevissimo tempo, si preparò per dirigersi verso Marignano, dove l'avanguardia, sotto il comando di Carlo di Bourbon, avrebbe ricevuto il primo assalto delle truppe svizzere.
Non ci volle molto perché Francesco, alla testa dei suoi fedeli cavalieri, dopo aver finito di indossare l'armatura da battaglia, si lanciasse al galoppo, per coprire nel minor tempo possibile la distanza che li separava dal campo di battaglia.
Parlando con Robert prima della partenza aveva saputo che gli svizzeri stavano marciando in relativo silenzio -Avanzano perfettamente coordinati senza bisogno del ritmo dei tamburi- aveva sottolineato l'amico del re, guidati dal cardinale Schinner, implacabile nemico dei francesi.
Mentre i cavalieri avanzavano le falangi svizzere si erano già scagliate all'attacco dell'avanguardia, riuscendo a respingere i mercenari lanzichenecchi ed impossessandosi di alcuni dei cannoni francesi.
La tattica di questi formidabili guerrieri che, nel periodo in cui le armi da fuoco cominciavano a decidere le battaglie, dominavano i campi di battaglia da mezzo secolo soltanto con picche e coraggio, era alquanto semplice quanto efficace: i "senza speranza", gli uomini dell'avanguardia destinati alla promozione in caso di sopravvivenza, si lanciavano all'assalto incuranti delle cannonate, finché non riuscivano a raggiungere le postazioni nemiche; a quel punto, trucidavano tutti, si impossessavano dei cannoni usandoli contro i loro precedenti proprietari e, grazie alla spinta delle falangi successive dei picchieri, seminavano il terrore fra i loro nemici.
Era una cosa alquanto comune, in quegli anni, vedere guerrieri di ogni tipo cedere e fuggire di fronte all'assalto di quell'esercito variopinto che era quello svizzero; difatti essi tendevano ad vestire con giubbotti dotati di maniche a sbuffo, cappelli vivacemente colorati e raramente utilizzavano armature, parendo ai loro avversari di trovarsi contro dei guerrieri di inaudita ferocia.
Dopo un primo momento di totale dispersione, di cui gli svizzeri avevano approfittato per avanzare, i lanzichenecchi, tra l'altro protetti dalle numerose trincee fatte preparare in caso di battaglia da Carlo di Bourbon, riuscirono a ritornare all'attacco, rinnovando quella che sarebbe stata ancora per molti anni l'interminabile sfida tra i picchieri mercenari più famosi d'Europa.
Per un po' i tedeschi sembrarono riuscire a ricacciare indietro gli svizzeri ma, dopo un ulteriore assalto, vennero mandati nuovamente in rotta.
Proprio in quel momento, avendo distanziato nella foga del galoppo persino la sua guardia, Francesco giunse davanti al campo di battaglia.
Era ora coperto completamente dall'armatura, mentre un elmo piumato gli proteggeva testa e viso.
Il suo cavallo da guerra era ricoperto da una gualdrappa blu ricamata con corone e gigli dorati, rendendo facilmente riconoscibile il re anche in mezzo alla battaglia, una cosa nel contempo positiva e negativa.
Quando Francesco si arrestò, trovò di fronte a sé un'immagine poco rassicurante: i suoi mercenari stavano rapidamente perdendo terreno, mentre gli svizzeri parevano una fiumana inarrestabile.
Subito il re venne raggiunto da Bayard, uno dei pochi che era riuscito a tenergli dietro nella sua rapidissima cavalcata.
-Mio re, cosa succede?
-I nostri uomini stanno subendo l'offensiva svizzera.
-Sono davvero dei demoni...
-E noi li ricacceremo all'inferno! Fate suonare la carica! Per la Francia! Per la vittoria!-
Francesco si calò sul viso la visiera e, appena fu suonata la carica, si lanciò contro l'esercito nemico con la lancia in resta, sempre rimanendo avanti a tutti i suoi uomini.
L'impatto fu tremendo: colpiti sul fianco dalla carica dei cavalieri, i picchieri svizzeri furono costretti a retrocedere, per poi riorganizzarsi e prepararsi a combattere, in quello che stava rapidamente diventando un bagno di sangue; gli svizzeri erano intenzionati a sterminare chiunque, escluso il re.
Ma i francesi, dal canto loro, non avevano alcuna intenzione di lasciarsi massacrare dai confederati.
Le cariche si ripeterono furiosamente e Francesco era alla testa dei suoi uomini in ognuna di esse.
Ogni volta che i cavalieri retrocedevano gli artiglieri, ormai liberi di poter usare i loro pezzi da campo, sparavano contro i loro nemici, continuando a mietere vittime, senza, però, riuscire ad abbassare il morale dei guerrieri svizzeri.
Come un tutt'uno, ogni falange retrocedeva ed avanzava senza esitazione, richiudendo continuamente i buchi nelle file provocati dalle cannonate, come un fiume che non vuole essere arrestato da nessuna diga.
Ad un certo punto Francesco, durante una delle sue cariche, si avvide che i suoi mercenari stavano nuovamente retrocedendo sotto la pressione degli svizzeri. Senza nemmeno pensarci, smontò da cavallo in mezzo ai suoi uomini, prese una picca dalle mani di uno dei numerosi cadaveri e, roteandola in aria, si mise ad urlare richiamando l'attenzione dei suoi uomini.
-A me, guerrieri! Quest'oggi vinceremo, o moriremo tutti quanti assieme!-
Detto questo si lanciò, torreggiante col suo metro e novanta di altezza sulla maggior parte dei presenti, correndo verso gli svizzeri; i mercenari lanzichenecchi ed i fanti guasconi, colpiti da questo atto di coraggio del re che, per molti di loro, altri non era che un giovane altezzoso ed inesperto, si lanciarono contro gli svizzeri con rinnovato coraggio, pronti a morire insieme al coraggioso ragazzo che aveva deciso di guidarli.
Per un momento le truppe del re ebbero la meglio: alcuni comandanti svizzeri caddero e gli uomini cominciarono a perdere fiducia, incalzati dai picchieri guidati da Francesco, che si pensava più simile a Marte che ad un semplice uomo d'armi.
Spinti dalla troppa foga, però, i galvanizzati mercenari finirono per farsi circondare da altri elvetici arrivati a dare manforte alla colonna centrale, vedendosi perduti, gli uomini si strinsero al re, continuando a menare colpi di spada e di picca a destra e a manca, ammazzando e mutilando senza un attimo di sosta.
Queste dimostrazioni di coraggio e di ferocia sarebbero state completamente inutili di fronte alla fredda avanzata degli svizzeri, se non fosse giunto in aiuto, proprio nel momento peggiore, un secondo contingente di cavalleria, guidato da Carlo di Bourbon e Gian Giacomo Trivulzio che, nonostante l'età avanzata, non disdegnava ancora la battaglia.
Nuovamente gli svizzeri erano respinti, di modo che Francesco ed i suoi mercenari riuscirono a disimpegnarsi; poi, con rinnovato vigore, gli inarrestabili montanari elvetici ritornarono alla carica, incuranti delle cannonate, Lanciandosi fin oltre i fossati difensivi e gettando lo scompiglio nella cavalleria francese.
Da lontano era possibile vedere il cardinale Schinner, ancora avvolto nella purpurea veste cardinalizia, urlare come un forsennato, gli occhi arrossati dall'odio per i suoi nemici francesi, incitando gli uomini ad ammazzare quanti più avversari possibile.
Le grida ed i lamenti dei feriti regnavano ovunque, coperte solo dal rombo dei cannoni e dalle urla di incitamento lanciate da una parte e dall'altra.
In mezzo alla piana, si era oramai alzata una fitta nebbia, provocata dal pulviscolo alzato dal continuo combattere; era oramai quasi impossibile distinguersi e la battaglia diventava sempre più feroce e dissennata.
Francesco si lanciò coraggiosamente un'ultima volta, insieme a soli venticinque cavalieri, contro le truppe elvetiche, uscendo miracolosamente illeso dallo scontro poi, finalmente, a mezzanotte inoltrata, le due parti dovettero, malgrado ogni desiderio guerresco, prendersi una pausa per riuscire almeno a capire quel che stava succedendo.
In mezzo a tutto questo scompiglio Bayard, che aveva continuato a combattere senza posa, venne disarcionato da un colpo di picca e, dopo aver finito il suo avversario, si ritrovò solo, incapace di vedere molto oltre il suo naso e perso in mezzo alla battaglia.
Rapidamente si tolse elmetto e la parte inferiore dell'armatura, in modo da poter vedere qualcosa e avanzare più rapidamente.
Guardandosi intorno riuscì, con non poca fatica, ad individuare un canale di scolo; decise di buttarvisi dentro, risalendone il corso e sperando di riuscire a ritrovare la via per il campo francese.
Avanzando carponi, con tutti i sensi all'erta, pronto a cogliere ogni più piccolo movimento ed attento a non tradirsi, sapendo che un po' troppo rumore avrebbe potuto risultargli fatale, sentì, dopo vari minuti che gli parvero lunghi come anni, degli uomini che parlavano in francese; era riuscito a tornare al campo.
Salutando i commilitoni che gli diedero immediatamente il benvenuto, felici di saperlo ancora vivo, incontrò Trivulzio, che stava andando a cercare il re, e si unì a lui.
-Come siamo messi, maresciallo?
-Male cavaliere, molto male... abbiamo perso un sacco di uomini.
-Anche gli svizzeri.
-Certo, anche loro non sono messi meglio, però non sono tranquillo...
-Che volete dire?
-Insomma, cavaliere, sono quarant'anni che faccio questo mestiere e non ho mai visto un massacro del genere. Se non riusciamo a finire questa battaglia entro domattina, temo che non rimarrà più nessuno in grado di impadronirsi del ducato di Milano, sia egli svizzero o francese.
-Non disperate, sono certo che riusciremo a resistere. E i veneziani?
-Appunto a questo stavo pensando... avevo mandato degli uomini ma non credo che siano riusciti ad avvertirli... voglio raggiungere il re, in modo da informarlo e decidere sul da farsi.
-E vedere come sta,- pensò Bayard tra sé, riprendendo poi a discutere con il mercenario italiano.
-Sappiamo dove si trova?
-Alcuni uomini mi hanno detto di averlo visto dirigersi verso la postazione di artiglieria numero tre.
-Sbrighiamoci, allora, il tempo stringe e non possiamo farci cogliere impreparati dall'alba-.
Il re, sfinito dalla battaglia durata per tutto il giorno, era andato ad appoggiarsi ad uno dei cannoni, in compagnia del suo attendente e di pochi altri sopravvissuti.
Era stanco, disidratato, indebolito e dolorante in tutto il corpo per i colpi subiti. E stava morendo di sete.
Il suo attendente, mosso a pietà dai lamenti del re, si tolse l'elmo ed andò ad intingerlo in uno dei canali di irrigazione delle risaie lì vicino.
Riportò l'acqua a Francesco che, ringraziatolo, si mise a bere con avidità, sputando immediatamente il contenuto con un'espressione disgustata: a causa del buio, l'uomo non si era accorto che l'acqua era più che altro una terribile mescolanza di fango e sangue.
Giunsero in quel momento Bayard e Trivulzio; il cavaliere, vedendo il re in quello stato pietoso, non poté fare a meno di pensare a quanto, in quel momento, paresse solo un semplice ragazzo, che aveva compiuto ventuno anni proprio il giorno prima ed oggi, contro ogni aspettativa, si era trovato catapultato in una battaglia di tale ferocia da spaventare perfino veterani della guerra.
Vedendo giungere i due uomini Francesco cercò di rimettersi in piedi, nascondendo con fatica la tremenda debolezza che lo affliggeva.
-Buonasera signori, quali notizie mi portate?
-Come state maestà?- chiese il nobile cavaliere, sinceramente preoccupato.
-Ho visto giorni migliori, ma la gloria richiede pure un po' di fatica no?- I tre uomini si guardarono sforzandosi di sorridere poi Trivulzio, più portato ad occuparsi del lato pratico degli avvenimenti, espose le sue preoccupazioni al re, attendendosi una risposta.
-Avete ragione, abbiamo bisogno dell'aiuto dei veneziani. Pensare che d'Alviano si trova a poche ore da qui mi fa davvero innervosire... siete certo che nessuno dei vostri emissari lo abbia raggiunto?
-Se così fosse ci avrebbero avvertiti in qualche maniera.
-Allora bisogna mandare qualcun altro.
-Quello a cui pensavo anche io, potremmo chiedere a Carlo, oppure a Pietro di Navarra, di fornirci degli uomini in più...
-No, no, loro mi servono qua, piuttosto, potremmo chiederlo a Coligny, lui è molto capace ed ha mostrato di essere bravo a coordinare gli sforzi di più battaglioni. Che ne dite?
-Sì, mi pare una buona idea, provvederò che venga immediatamente informato dell'incarico!
-Grazie maresciallo, potete andare.-
Mentre Trivulzio si allontanava, Bayard rimase ancora un momento a guardare il re.
-Dovete riposarvi maestà.
-Lo so, ma non è proprio la notte più tranquilla che io abbia vissuto.
-Lo capisco, ma domattina ricominceremo a battagliare, e bisogna che voi recuperiate almeno qualche ora di sonno, vi chiedo dunque di riposare.
-Ancora una volta avete ragione... vi chiedo solo di farmi svegliare se dovesse accadere qualcosa e, comunque, di non lasciarmi dormire fino all'alba.
-Come desiderate sire-.
Finalmente convinto, l'esausto Francesco si lasciò cadere a terra, addormentandosi quasi immediatamente, mentre il nobile cavaliere si appoggiò lì vicino, continuando a vegliare.
Tra le quattro e le cinque del mattino Francesco si risvegliò, trovando davanti a se Bayard e Trivulzio. Alzandosi con un po' di fatica, mentre il sangue ricominciava pian piano a circolare nel suo corpo ancora addormentato, guardò con aria interrogativa il mercenario italiano.
-Allora?
-Coligny potrebbe già essere arrivato, sempre che non abbia avuto problemi.
-Molto bene, allora resta solo a noi di prepararci a combattere. Dovremo resistere ad ogni carica svizzera!
-A proposito di questo, mi sono preso la libertà di giocare un piccolo scherzo ai nostri simpatici avversari.-
Francesco si girò incuriosito verso Trivulzio, chiedendosi cosa mai avesse escogitato quell'anziano ed astuto guerriero.
-Che avete fatto?
-Niente di straordinario, diciamo solo che ho messo in pratica le lezioni di storia.-
Francesco, sempre più incuriosito, si fermò un istante, continuando a fissare l'imprevedibile italiano, che pareva divertito e compiaciuto della sua capacità di fare il misterioso.
-Circa un secolo fa, i vostri antenati vennero sconfitti da re Enrico V con l'aiuto del fango; oggi farò in modo che il fango saldi il suo debito con vostra maestà.-
Trivulzio si allontanò ridacchiando, mentre Francesco, incespicando nel buio assieme a Bayard, raggiunse gli altri capitani, che si stavano riunendo per decidere il da farsi.
Senza perdere tempo il re spiegò immediatamente il suo piano: invece che distribuirsi in profondità, come avevano fatto il giorno prima, i francesi si sarebbero schierati su una sola linea, dividendosi in tre battaglioni; a sinistra il duca Carlo di Bourbon avrebbe avuto il comando, che spettava invece al duca d'Alençon per il battaglione di destra; le truppe schierate al centro sarebbero rimaste sotto il comando di Francesco, accompagnato da Bayard e dall'amico Robert.
Era oramai giunta l'alba e, con essa, lo spirito guerriero si era ridestato.
Gli svizzeri, schierati anch'essi su una lunga linea, si rilanciarono all'attacco, incuranti delle cannonate riservategli dagli artiglieri francesi. Ed ancora una volta, la loro furia ottenne il risultato sperato.
Nel giro di un'ora il fianco destro guidato dal duca d'Alençon era retrocesso fino a Marignano, incapace di reggere l'urto, mentre nel centro si combatteva ferocemente, rinnovando il massacro del giorno precedente.
Francesco, caricando con i suoi uomini e finendo come tutti nel mezzo della mischia, non risparmiava colpi a destra e a manca, allontanando ed abbattendo chiunque avesse l'ardire di pararsi di fronte a lui.
Ad un certo punto, accortosi che il fianco destro aveva ceduto, si distrasse per un momento, rimanendo isolato; rapido ed inatteso, un colpo di alabarda lo colse di striscio sulla visiera, facendolo volare a terra dopo un salto di parecchi metri; mezzo stordito dalla botta, fece appena in tempo a scostare la visiera spaccata in due ed a riprendere la spada, per trovarsi di fronte un avversario terribile: uno svizzero, tanto alto ed imponente da superare lo stesso re di almeno dieci centimetri, era apparso di fronte a lui, avanzandogli contro incurante della mischia; era ricoperto di sangue dalla testa ai piedi, come, per altro, la maggior parte dei combattenti, ed impugnava un'enorme alabarda, anch'essa grondante sangue.
La roteò per un momento sopra la testa, facendola poi cadere sopra il re, con l'intenzione di inchiodarlo a terra, evidentemente, vedendo l'andamento della battaglia, qualcuno aveva cambiato idea relativamente alla sorte da destinare al re, troppo bravo nell'incitare i suoi uomini ed a tenerne alto il morale.
Francesco riuscì a rotolare sul fianco, schivando per poco il tremendo colpo, mentre l'arma si conficcò nel terreno, alzando una nuvola di polvere.
Francesco fu lesto ad approfittare della situazione: saltando in piedi nonostante lo stordimento, vibrò un tremendo colpo di spada sul legno dell'arma, riuscendo a spezzarla a metà.
Il suo terribile avversario, per un momento stupito, non parve preoccuparsene più di tanto; usando l'arma spezzata come una clava e con una rapidità insospettabile per un uomo di quella stazza, colpì la spada di Francesco, facendogliela saltare di mano.
Nel mentre Robert si era accorto della situazione in cui si trovava il suo amico e si lanciò rapidamente verso di lui urlando -Proteggiamo il re!-
Anche lui, però, nella foga di raggiungere l'amico, non si avvide di un colpo di picca che riuscì ad abbattere il suo cavallo, disarcionandolo e facendolo rotolare a terra.
Il suo richiamo era però servito ad attirare l'attenzione di Bayard che, assieme ad altri quattro gendarmi francesi, stava caricando una squadra di svizzeri impegnati in battaglia con i fanti guasconi.
Immediatamente il coraggioso cavaliere si lanciò contro il muro di uomini che lo divideva dai due amici in pericolo, seguito dai suoi uomini.
Vedendo il re cadere proprio mentre il fianco destro aveva definitivamente ceduto, molti uomini erano caduti nello sconforto e dappertutto tra le linee francesi si sentivano lamenti e grida disperate:
-Tutto è perduto!- disse Robert, che era riuscito a raggiungere Francesco correndo, proprio mentre i due venivano circondati da altri soldati, senza alcuna via d'uscita.
-Finché siamo vivi abbiamo diritto a sperare, amico mio, Dio non ci abbandonerà!- Disse Francesco, faticando quasi a stare in piedi; nonostante le sue parole, anche lui stava oramai perdendo ogni speranza; nei mesi successivi all'incoronazione si era convinto che quell'inattesa investitura fosse stata un dono celeste, e che il suo dovere fosse quello di onorare al meglio il dono ricevuto. Che si fosse sbagliato? Che il suo destino fosse davvero di morire dopo pochi mesi di regno, riportando il suo paese nel caos? Questi pensieri turbavano il giovane re molto più degli elvetici armati che avanzavano verso di loro quando, fendendo l'aria mattutina, degli squilli di tromba giunsero inattesi, seguiti da grida insperate: -San Marco! San Marco!- I veneziani erano arrivati.
Bartolomeo d'Alviano, il condottiero veneto alleato di Francesco, era stato raggiunto nottetempo da Coligny e, appena saputo cosa stava accadendo, aveva fatto svegliare gli uomini e si era messo in movimento, alla guida di un contingente di cavalleria leggera, che arrivò proprio intorno alle otto mattutine, mentre si combatteva già da un paio d'ore.
Furono istanti interminabili per tutti gli uomini sul campo.
Appena visti i veneziani, Trivulzio, che era rimasto al di fuori della battaglia, fece mandare un segnale ai suoi uomini che, nottetempo, si erano piazzati agli argini della roggia Nuova e della Spazzola, rompendoli ed allagando il campo di battaglia.
Per gli svizzeri, che fino a poco prima parevano i padroni del campo, non vi era più speranza. Fiumi di fango giungevano a rallentarli, i cannonieri ricominciavano a bombardarli ed i veneziani li caricavano alle spalle proprio nel momento in cui i cavalieri francesi, imbaldanziti dall'arrivo dei rinforzi si rilanciavano contro di loro.
Nello stesso istante Bayard, approfittando dello stupore degli avversari, riuscì a forzare il muro di picchieri e a raggiungere il re, abbattendo due dei suoi avversari con la sola forza d'urto.
Il suo arrivo inaspettato scompaginò i pochi uomini che avevano circondato i due amici.
Francesco e Robert si lanciarono all'attacco, disperdendo gli avversari, ed il re riuscì ad infilzare allo stomaco il suo enorme avversario.
Subito dopo i tre guerrieri si allontanarono il più rapidamente possibile, mentre il fango avanzava coprendo gli uomini fino alle ginocchia.
In poco tempo la battaglia, che andava avanti da ventotto ore, terminò con un trionfo per i francesi.
Due ore dopo il campo di battaglia era muto, il clangore delle armi era stato sostituito dal gracchiare dei corvi; l'atmosfera, complice il caldo tremendo, pareva surreale, dovunque l'acqua era rossa o marrone, imbevibile perfino per i feriti mezzi morti di sete.
In quella mostruosa atmosfera pochi uomini avanzavano in mezzo al campo di battaglia: erano il re di Francia con i suoi generali.
Francesco non riusciva a trattenere il disgusto, pareva sinceramente commosso nel vedere quell'orrendo mucchio di cadaveri che, soltanto poche ore prima avevano combattuto con e contro di lui.
-Che orrore, desidero che questa mostruosità non sia dimenticata.- Volgendosi verso il cardinale di corte il re, con uno sguardo rattristato, gli disse di ordinare una messa di espiazione per i prossimi tre giorni, in modo che nessuno potesse dimenticare l'accaduto; poi, fermandosi in mezzo al campo di battaglia, il giovane re si girò verso Bayard.
-Desidero che voi mi nominiate cavaliere.-
Pierre, sorpreso dalla richiesta del re, esitò un momento, poi gli si rivolse con un po' di esitazione.
-Ma... maestà, voi siete il re di Francia, nessuno è più cavaliere di voi!
-Idealmente, forse, ma desidero essere nominato cavaliere e solo voi potete farlo.
-Sire io, non so quanto questo sia opportuno.
-Oh, nemmeno io, ma non me ne importa nulla, semplicemente, in qualità di vostro re, vi ordino di nominarmi cavaliere!- Francesco, che aveva riacquistato il suo naturale buon umore, riuscì a strappare una risata a tutti i presenti anche in quella drammatica occasione poi, con un'aria estremamente solenne, si inginocchiò di fronte a Bayard che, sempre un po' perplesso, gli poggiò la spada sulle spalle, nominandolo cavaliere di Francia.
-Maestà, questa spada è diventata sacra, e non la userò mai più per uccidere dei fratelli cattolici. Ma se desidererete che il vostro servitore combatta i nemici della fede, non mancherò di farlo!
-E sia, Bayard, non so se mai organizzerò una crociata ma, se dovessi deciderlo, voi la guiderete assieme a me- Nessuno dei due, però, entrò mai in guerra contro i mori, sicché queste reciproche promesse finirono per svanire, come l'atmosfera di morte aleggiante in quei giorni, perdendosi nella nebbia invernale delle pianure lombarde.
Pochi giorni dopo Francesco entrò trionfalmente a Milano, dove venne confermato duca e firmò una pace perpetua con gli svizzeri, destinata davvero ad essere perpetua, dato che, per quasi trecento anni, non vi furono mai più guerre tra la Francia e gli elvetici.
Mentre il re firmava i trattati, approfittandone per convincere uno dei testimoni, il signor Leonardo da Vinci, a seguirlo alla corte di Francia, tre uomini discutevano al di fuori della tenda: erano Trivulzio, d'Alviano e Colonna, prigioniero per modo di dire.
I tre condottieri, veterani di varie guerre italiane, approfittavano del momento di pace per chiacchierare amabilmente, in attesa che la loro professione tornasse a farli scontrare sul campo di battaglia o, forse, li riunisse ancora una volta.
-Ah che trovata quella dell'inondazione, nemmeno a me sarebbe venuta in mente!
-L'ho sempre detto Prospero, in guerra la conoscenza è sempre l'arma più importante. Dopo il denaro!-
I tre condottieri si misero a ridere poi, Bartolomeo, in un raro momento di riflessione, guardando i due anziani colleghi, disse: -Chissà quanto durerà questa pace, voglio dire, il re riuscirà a restare duca?-
-Non lo so, presto tornerà in Francia, e le cose qui funzionano in maniera diversa, però, sono certo che queste giornate non saranno mai dimenticate.
-Che vuoi dire?
-Io le ho viste tutte le battaglie degli ultimi quarant'anni, ed anche tu Prospero, puoi confermarlo. Questa non è stata una battaglia come tutte le altre?
-Io ho visto un mucchio di morti, e uomini che vincono e perdono, come sempre.
-Allora hai visto male, perché questa non è stata una battaglia d'uomini, ma una battaglia di giganti!-
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