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L'uomo che parlava ai gabbiani- parte seconda
- Perchè nelle giornate di pioggia, Pascali?- diceva un altro.
-Sono fantasie. Una donna non sopporterebbe di vivere in un faro, senza uscire, senza veder gente, senza la sua vita di donna, insomma...-
-E poi- continuava- che fine avrebbe fatto questa qui, eh, me lo spieghi?-
A queste domande il vecchio pescatore Pascali non sapeva rispondere, si limitava ad atteggiar le labbra in una smorfia di dubbio e a strizzar gli occhietti cisposi come a scavar più profondamente nei ricordi annebbiati dall'alcool e dalla vita aspra.
Il paese era situato a valle rispetto al promontorio del faro, che lo sovrastava come un monte, vicino e tuttavia lontano, diverso, estraneo, bisognava salirci apposta, e nessuno ne aveva voglia dopo esser rimasti in mare a tirar giornata, e dopo esser tornati stanchi e inselvatichiti dalle magre.
L'unica cosa di cui si aveva voglia era di sedersi davanti a un piatto caldo e un paio di bicchieri per stemperare gli animi incartapecoriti dall'umidore.
L'uomo scendeva talvolta in paese. Assai di rado, per la verità, quando il bisogno di soddisfare le più elementari necessità della vita si rendeva impellente. Ce lo si trovava davanti tutt'a un tratto, come un'apparizione, senza che alcuno lo avesse visto scendere per la tortuosa viuzza che come un cordone ombelicale univa i due stranieri mondi, col suo maglione di lana grossa, una volta grigio una volta blu, i pantaloni neri, un po' cascanti, risvoltati a mano, le scarpe di tela ruvida scolorite e polverose.
Arrivava sempre di primo pomeriggio, che molti erano fuori o sonnecchiavano, e faceva sempre lo stesso percorso. Non si fermava mai a lungo, non chiacchierava con nessuno, faceva sempre le solite visite, prendeva tabacco, viveri, una manciata di chiodi, dello spago, qualche arnese nuovo e immediatamente spariva, così come era venuto. Non prendeva mai pesce.
La sera se ne parlava ai crocicchi, nelle case, all'osteria dove, a dispetto della sua misantropia, costituiva motivo di svago per l'intero paese, trecento anime tenute insieme dall'abitudine e dall'assenza di accadimenti importanti. E fino a tardi era un continuo sovrapporsi di congetture, ipotesi, opinioni, talune azzardate, altre probabili, ma quale vera?
L'uomo fu appellato ladro, assassino, ex galeotto, evaso, bandito, le sue possibili azioni ingigantivano la fantasia popolare e questa ingigantiva lui a quegli occhi che non vedevano altro che i deliri della propria ignoranza; qualcuno tra i più giovani ipotizzava un'escursione al faro.
- Sì, e poi che fai? Gli chiedi qual è il suo segreto?- sbottò il cantiniere, uomo pratico- quello è uno che si fa i fatti suoi e non vuole seccature, ecco tutto!-
-Sarebbe troppo semplice- si levò quasi un coro- ché non abbiamo capito niente? Voce di popolo, voce di Dio! Se quell'uomo solleva tanti casi tra di noi, qualcosa ci sarà.-
Già, in fondo era un uomo tranquillo, non recava disturbo ad alcuno, faceva parlare di sé suo malgrado e con tanta veemenza proprio per questa sua eccessiva calma, indifferenza, e il fatto che non rivolgesse la parola quasi a nessuno affinché non la rivolgessero a lui lo poneva come in una rocca, ma una rocca di cristallo che ciascuno aspirava ad infrangere.
Un giorno, sul far della sera, come al solito, il vecchio scese in paese, avvolto in un mantello nero un po' stinto e consunto. Fece il solito giro, bofonchiando le poche parole indispensabili, che stavolta sembrarono più cupe e incomprensibili, come risuonassero da una profondità insospettata e lontana.
Aveva un aspetto lugubre, il vecchio, malaticcio, tossiva spesso di una tosse secca e irritante ma, contrariamente al suo costume, dava un'impressione di attesa, di riflessione, come pensasse ad altro, a qualcosa che avrebbe voluto dire senza, tuttavia, venirne a capo.
Impiegò il doppio del tempo nella bottega del ferramenta, forse l'unico disponibile ad ascoltarlo, in fondo s'era sempre prodigato nell'usare le consuete formule di cortesia nell'incontrarlo.
Ma cosa avrebbe dovuto ascoltare, o meglio cosa avrebbe dovuto narrare a quell'uomo che con tutta quanta la sua cortesia non avrebbe creduto una parola della sua storia; la sua disponibilità, per quanto grande, non sarebbe bastata a contenere il fiume impetuoso e fantastico della sua vita.
A passo lento ritornò verso il suo vecchio faro, custode fedele dei suoi ricordi. Si richiuse la porta alle spalle, si tolse il mantello, si lasciò cadere sul letto e chiuse gli occhi.
Quando fu l'ora si alzò, regolò il faro, ridiscese incespicando e tossendo, sentì come un vuoto che s'avvicinava, profondo come gli abissi, sconfinato come il cielo, un vuoto che presto lo avrebbe raggiunto, inghiottito nel suo nulla.
Ebbe paura.
Provò a sentirsi ancora vivo, fortissimamente vivo, con tutta la sua volontà, riuscì persino a sbocconcellare un pezzo di pane e due bocconi di formaggio, che mandò giù con un bicchier di vino fortificante; si sentì per un po' più calmo e riscaldato.
Così si assopì. Dormì di un sonno senza altro sogno che quello della sua vita libera, del suo amore indicibile per Alisha.
E Alisha riviveva nel sogno e il sogno viveva di Alisha, si tingeva dei suoi colori iridescenti, olezzava della sua pelle perlacea, echeggiava del suo canto ammaliatore, e il vecchio si rivedeva baldanzoso marinaio approdare in paesi esotici, lontani, favolosi, sentiva l'aroma salmastro del mare sulle labbra, lo schiaffo poderoso del libeccio e dell'austro, riviveva il furor delle tempeste e assaporava placido le notti di bonaccia, quando la nave era una culla e la luna lo sguardo tenero del cielo.
Fu in una notte come quella che udì levarsi un suono lieve, soffuso, ma incredibilmente melodioso. Nel dormiveglia lo confuse con lo sciabordìo delle onde, ma via via esso si intensificò, fino a divenir canto, un canto mai udito prima, un canto che desiderò non finisse mai.
Si sporse dalle paratie di babordo, di tribordo, corse a prua, a poppa, salì sull'albero maestro... nulla.
Com'era possibile? Stava sognando! Stava impazzendo!
La terraferma si scorgeva a due miglia, nessuna voce umana per quanto sonora e potente avrebbe potuto raggiungerlo, quand'ecco un guizzo improvviso catturò la sua attenzione.. guardò, nulla; ancora un altro che gli sembrò in un punto diverso da dove gli era parso poc'anzi, e ancora uno, ancora, ma insomma... una donna, una donna in mare!
Stava per urlare ma dovette immediatamente tacitarsi, ché ciò che vide lo sconcertò come mai avrebbe potuto immaginare, lui, un uomo che aveva girato il mondo...
Ma non erano leggende? Favole? Non credeva ai suoi occhi, non poteva, ma voleva.
Era cominciata così la sua storia con Alisha, in una notte di luna, dal nulla, dal silenzio della notte.
Lei seguì la nave fino al porto che fu l'ultimo per lui, poichè da allora si ritirò al faro dove sperava di condurre Alisha, così, soli, lontani dal mondo, dove l'unico suono sarebbe stato quello del mare, del vento, del canto armonioso di lei.
Una sirena, una creatura degli abissi, un essere fantastico, sognato da millenni, vagheggiato dai poeti, era lì con lui.
Alisha era felice, le bastava poco per vivere, non conosceva i capricci delle donne, non voleva veder gente, le bastava un tuffo in mare, nelle notti di calma e, se c'era tempesta, pretendeva uscir fuori, inebriarsi di pioggia.
Il vecchio rivide il suo sguardo, quegli occhi incredibili, cangianti, color del mare, del cielo, del sole insieme, che lo fissavano come se d'improvviso vi passasse una nuvola sopra.
Sì, c'era qualcosa di indecifrabile in quegli occhi, una insolita malinconia e, insieme, un lampo di fermezza, quella sera d'autunno.
Quella notte la brezza si mutò in grecale, la luna si nascose tra le nubi, i gabbiani non levarono un grido, quella notte Alisha si tuffò in mare. E non ritornò più.
Erano trascorsi tanti anni, tutto rimaneva così vivo, così veritiero e così incredibile. Il vecchio non udì mai più il dolce canto, ma a sera aspettava i gabbiani che, gli pareva nel suo delirio, narrassero di lei, della sua piccola, della sua piccina...
Non scese più in paese e nessuno se ne occupò, fino a quando non videro la luce del faro rimaner spenta, allora salirono al promontorio e lo videro lì, che pareva dormisse, di fronte al mare, tra nidi di gabbiani.
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