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Ho voglia di un amore vero... senza te
La luce rossa del semaforo mi esplode davanti alla faccia costringendomi a fare una brusca frenata. Impreco silenziosamente. Perchè non capisce che ho fretta? Non sa quanto sia importante per me arrivare subito a destinazione. Egoisticamente si prende tutto il tempo che vuole, lasciando passare allegramente una corriera, un paio di scooter e una serie infinita di macchine. Stringo la sciarpa intorno al collo e allungo le maniche delle felpa sulle mani violacee nel vano tentativo di riscaldarmi. Dai verde, sbrigati ad arrivare! La troppa fretta mi distoglie persino dal vero motivo per cui mi trovo sulla sella di questo motorino, alle dieci di sera di un martedì di dicembre. Non riesco a piangere, non riesco a pensare, devo arrivare a destinazione. Il verde arriva baldanzoso dopo quelli che mi sono sembrati secoli. Do una brusca sgassata. Le ruote cominciano a correre libere sull'asfalto. Devo arrivare presto, devo farcela...
Forse è meglio raccontare tutta la storia dall'inizio e spiegare perchè mi trovo in questa situazione.
Avevo un ragazzo, Alberto. Ma non un ragazzo come tanti, un ragazzo bellissmo. Bello come un angelo, con gli occhi pieni di pagliuzze dorate, scuri e profondi; con i capelli caramellati e le punte schiarite dal sole. Alto e muscoloso, ma slanciato. Qualcosa di molto simile a una divinità greca. Mi sembrava talmente strano che avesse scelto me, una normalissima diciassettenne dal carattere ribelle e impertinente, nonostante l'ampia gamma di bellissime gatte morte pronte a cadere ai suoi piedi. Era il ragazzo perfetto; premuroso, attento, dolce... beh, per lo meno così mi sembrava. Anche se fra noi ci corrono solo cinque anni, la differenza di età era evidente. Voleva qualcosa da me. Qualcosa che io non ero ancora in grado di dargli. Mi piaceva stare con lui, passeggiare per mano, approfittare di ogni angolino per baciarci... non sentivo il bisogno di fare di più. Sarebbe stato un passo troppo importante e volevo fosse qualcosa di speciale. Desideravo lui, sì, ma non bruciando le tappe.
Era il giorno del nostro sesto mesiversario e mi ero fatta dare le chiavi di casa sua da Claudia, la sorella. I genitori non ci sarebbero stati al suo rientro e volevo fargli una sorpresa. Con grande fatica, viste le mie scarse doti pasticcere, e con l'aiuto di internet ero riuscita a fare una torta a forma di cuore, ricoperta di panna e fragole, proprio come piace a lui. Gliel'avrei lasciata sopra la scrivania e sarei sbucata da dietro l'armadio. Sfortunatamente la sorpresa l'ha fatta lui a me. Quel giorno era rientrato prima e stava parlando al telefono. Stavo per architettare un altro piano quando il discorso è caduto su di me. Non volevo origliare, ma la curiosità ha avuto la meglio. Nemmeno me le ricordo le parole precise, ma grazie a quella conversazione ho capito il vero motivo per cui Alberto si era interessato a me. Mio padre, un suo professore universitario, lo aveva scoperto copiare e non l'ha tollerato. Da giugno l'esame è slittato a settembre e Alberto ha dovuto studiare per tutta l'estate riuscendo a strappare appena una sufficenza. Doveva vendicarsi e io ero il mezzo perfetto. Figlia unica, orfana di madre, la cosa più preziosa per mio padre. Accanirsi su di me sarebbe stato il modo migliore per fargliela pagare. Ho sentito un enorme vuoto allo stomaco. La testa girava vorticosamente mentre la mente schizzava ovunque.
"Stronzo!" ho urlato lanciando la torta in faccia ad Alberto. Era esterefatto. Un senso di schifo e di nausea si è impossessato di me. Tutte le mie aspettative mi erano crollate addosso e mi stavano dolorosamente schiacciando.
"Azzurra!" ha esclamato "Cosa...?"
Ho sbagliato, lo so, ma dovevo sfogare la mia rabbia. Mi aveva trattato come un oggetto, come se non avessi dei sentimenti, come se fossi una pedina, un ingranaggio. Gli ho vomitato in faccia tutto il mio disprezzo e il mio dolore. Avevo già sofferto abbastanza, meritavo un po' di serenità.
Nei giorni successivi aveva tentato di riavvicinarmi; ha ammesso che inizialmente le sue intenzioni non erano buone, ma poi, conoscendomi, aveva imparato ad apprezzarmi e a volermi bene. Non sapevo cosa pensare e gli ho concesso il beneficio del dubbio. Volevo però prendermi un po' di tempo per pensare.
Mezz'ora fa un'agitatissima Claudia mi ha telefonato in preda al panico. "Alberto ha avuto un incidente!" ha urlato trapanandomi il timpano. Mi sono venute le vertigini. Ho sentito il vuoto sotto i piedi, ho pensato a tutto e niente... in qualche modo sono riuscita a captare dalla voce disperata di Claudia le informazioni necessarie.
Ed eccomi qui, intrappolata in questa lotta contro il tempo, come in un assurdo video gioco. Qui però non c'è nessun folletto che spunta fuori dal nulla per aiutarmi, c'è solo una marea di macchine che ingorgano la strada. Tengo le dita incrociate e confido nel buon senso degli automobilisti, non ho tempo per badare anche agli altri. Le mani non ce la fanno più a resistere a questa temperatura, faccio fatica persino a dare il gas. Non posso mollare, devo stringere i denti e andare avanti, ci sono quasi.
Eccomi arrivata! Abbandono frettolosamente il motorino ed entro di corsa nella clinica. Le mani da viola diventano rosse a causa dello sbalzo termico. Ho le guance in fiamme e mi allento la sciarpa. C'è qualcosa di frenetico nell'aria, tutti si agitano come formiche alle quali un bambino dispettoso ha appena distrutto il formicaio. Mi avvicino a una dottoressa e le chiedo notizie di Alberto.
"Mi dispiace ma io non posso..."
"Per favore, ho attraversato tutta la città con il motorino... ho rischiato di prendermi una polomonite..."
"Sono spiacente..."
"La prego..."
"Signorina non posso dare certe informazioni!" esclama a voce alta, mentre nell'orecchio mi sussurra il numero della camera di Alberto per poi sgattaiolare via.
Mi faccio strada nei lunghi corridoi e, dopo essermi persa un paio di volte, raggiungo la camera che mi interessa. La porta è socchiusa, da dentro non viene nessun rumore. Provo a sbirciare e vedo solo una distesa infinita di fiori. Mi chiedo se sia il caso di entrare. Forse non gli fa piacere vedermi e, in teoria, sono ancora arrabbiata con lui. Ma per qualche assurdo motivo ho voglia di vederlo, di parlargli, di toccarlo. Dopo tutta questa fatica devo fare almeno un tentativo. Busso delicatamente. "Non ho fame" è la risposta biascicata di Alberto. "Per me va benissimo" dico entrando "perchè non ho niente da mangiare"
"Azzurra!" si drizza sui cuscini "Come sono contento che sei qui" mi fa cenno di sedermi accanto a lui e io, ubbidiente, mi siedo. Mi stringe la mano e mi guarda dritto negli occhi. Non sono spavaldi e sicuri. Leggo spavento, paura, ma anche un po' di sollievo.
"Come stai?" so che è una cosa stupida da chiedere, ma non mi viene in mente altro.
"Adesso meglio" mi fa una carezza sulla guancia. C'è qualcosa di diverso in lui; è semplicemente un ragazzo. Un ragazzo che ha appena avuto un incidente e non una specie di Dio. Un ragazzo che mi ha ferita. Tutto riaffiora dolorosamente alla mia mente.
Non posso piangere, non ci sono io su questo letto. "In un paio di mesi dovrei tornare a camminare" abbozza un sorriso sforzato "nella sfortuna, sono stato fortunato"
"Mi sono preoccupata tanto"
"Vuol dire che tu...?"
scuoto la testa. Non posso dimenticare. Non posso fingere che non sia successo niente. Guardandolo negli occhi non vedo l'Alberto che conoscevo. Mi torna in mente la sua voce che confidava all'amico che si era stufato di aspettare, sei mesi in bianco erano troppi e che non vedeva l'ora di sbrigare la faccenda per tornare a fare la sua solita vita da Casanova.
"Allora perchè sei venuta?" sembra risentito. Nonostante sia in queste condizioni il suo tono di voce è aspro e arrogante. Abbasso gli occhi. Devo dirgli la verità.
"Senti Alberto..." comincio "anche se le cose non sono andate come avevo sperato... questi mesi con te sono stati belli e non voglio dimenticare qualcosa che mi ha fatto felice. Vorrei dimenticare solo il modo in cui è finita"
Alberto sgrana gli occhi, la sua espressione è indecifrabile. "Allora vuoi dire che è proprio finita?" il suo tono è carico di incredulità. "Sì" mi sento rispondere con voce sorprendentemente ferma. Abbasso lo sguardo sulla sua mano grande appoggiata sopra la mia. Le sue lunghe dita affusolate mi stringono forte, come se stessi per volare via da un momento all'altro. Ricambio la stretta e cerco di ricacciare indietro le lacrime. Si è distrutto un sogno, tutto qui. Non è la persona che credevo, non riuscirei a vederlo con gli stessi occhi. Tento inutilmente ti aggrapparmi a quel sogno, ma mi sfugge dalle dita. La delusione è ciò che sto stringendo. "Non puoi!" esclama lui "I miei amici mi hanno appioppato questo ruolo e al telefono... non lo so, forse ho paura di perderli, di deluderli... non mi puoi lasciare, Azzurra io... io... io ti amo!"
è la prima volta che un ragazzo me lo dice. Rimango incredula, ma stranamente non provo niente. Nel mio profondo, so che non è vero; tornare insieme è solo un modo per non ammettere la sconfitta.
"No" scuoto la testa "è te che ami, il tuo orgoglio"
abbassa gli occhi e non prova a contraddirmi. "Devo andare via adesso" guardo l'orologio, mio padre sarà preoccupato. Mi alzo e infilo il cappotto "Aspetta" restiamo a fissarci negli occhi per qualche interminabile secondo. Tutta la nostra breve storia d'amore mi passa davanti. La sera in cui ci siamo parlati per la prima volta, quando mi ha chiesto il numero nel modo più delicato che conosca, il suo SMS della buonanotte, il primo bacio sulla spiaggia... "Posso avere l'ultimo bacio?" ha gli occhi lucidi. Glielo devo. E lo devo anche a me stessa. Gli accarezzo una guancia, lui mi passa una mano tra i capelli mentre le nostre bocche si sfiorano per l'ultima volta. "Sei la persona giusta, Azzurra" mi punta addosso i suoi penetranti occhi scuri "sei solo arrivata nel modo sbagliato" ci siamo allora. Questo è il capolinea. Un pugno di gelo mi stringe il cuore. Adesso sono proprio di fronte al fatto compiuto.
"Buona guarigione, Alberto"
"Grazie, Azzurra"
richiudo la porta dietro di me. Ho la testa vuota. Riesco per inerzia a raggiungere l'uscita. L'aria fredda della sera mi piomba sugli occhi. Pizzicano. Li stringo e aspetto che il bruciore passi. Basta, mi dico alzando lo sguardo verso il cielo, è finita.
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