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Niente di più bello
Caddi sfinito sul divano ancora incellofanato, mi sfilai le scarpe e rimasi a fissare il soffitto. Odiavo traslocare e come quasi tutti gli esseri umani normali, non volevo saperne di pacchi pacchetti e pile di libri da riordinare. Non che avessi molto la mia vita, tutta la mia vita, entrava in una Volvo Polar, futuro compreso.
L'esistenza di Max Ferro, perito assicurativo, si era spostata in periferia, in un monolocale arredato fornito di una imitazione di giardinetto pavimentato alla buona e con vista dal basso sul palazzone successivo. Niente sole ma in compenso la presenza rassicurante di una umanita' vociante fatta di lenzuola stese, rumori di cucina ed i soliti televisori urlanti.
Erano i suoni del mondo vivo e vero e quelle facce che vedevo erano i volti di cui avevo bisogno per ancorare un posto e un pezzo della mia vita a qualcosa, e non farli scivolare via dimenticati.
Cosi ogni giorno dal mio tavolino di plastica, tra un sorso di caffè ed una sigaretta, iniziai l'osservazione del fantastico spettacolo della gente. Il tempo era un lusso che potevo ancora permettermi. L'ultimo.
Mi ci volle un po' prima il mio sguardo si alzasse sulla destra, verso il balcone piu ordinato e pieno di piante. Pensai a quanta dedizione occorresse per tenere a bada una cosa del genere : fiori viola, rossi, bianchi e tutto quel verde che scendeva dalla ringhiera e si aggrappava tenace alle pareti del palazzo.
E lei era li, ed era davvero una gran donna, di quelle che la natura regala raramente. Gambe forti su un corpo morbido, pelle chiarissima e i capelli color rame sempre raccolti sulla nuca. Salutava le vicine educatamente e, piegandosi tutta presa dal suo lavoro sui mille vasi, teneva a bada il vestitino tenendolo fermo con una mano.
Ben presto dimenticai tutto il resto presi l'abitudine di aspettare che lei apparisse per prendersi cura del suo piccolo eden.
Io so essere paziente quando serve. Ho imparato a mie spese che le donne odiano gli uomini precipitosi almeno quanto i parrucchieri maldestri.
Anni prima, quando le ragazze mi sorridevano con facilita' e guidavo macchine migliori io odiavo attendere, credevo che tutto mi fosse dovuto.
Beh, sapete come va, il mondo è pieno di grandi promesse inespresse, di futuri Van Basten che si allacciano gli scarpini in qualche freddo spogliatoio di provincia, chiedendosi cosa cazzo non ha funzionato.
Una sera la vidi in penombra sorseggiare qualcosa e levo' il bicchiere verso il basso, verso me, come per un brindisi.
Aveva la testa reclinata e batteva il piede lentamente a tempo di musica. Intravedevo la sua sagoma illuminiata dalla luce azzurra del televisore che arrivava fioca alle sue spalle. Poi trasalì , poggio' il bicchiere in terra a sparì in casa guardandomi di sfuggita ancora una volta. Per un po, per qualche interminabile giorno, non riapparve. Ma era l'inizio, non la fine. ( volta pagina, clicca su 2 ndr )
Una mattina fresca di agosto si sporse dalla ringhiera e sorridendo timidamente mi mostro' la tazzina del caffe, presi coraggio, uscii in strada e mi infilai nel suo portone. Mi aspettava dietro la porta socchiusa, tutta rossa in viso.
Da vicino era ancora piu bella con gli occhi verdi folli di tensione, le labbra morbide e rosa e le braccia lungo i fianchi sinuosi. La baciai, chiuse subito gli occhi e la spinsi contro il muro.
Mi slaccio' la cintura e poi tremante passo' ai bottoni. Sentì il mio sesso duro ed emise un leggero gemito quando mi poggiai al suo ventre. Le infilai le braccia tra le gambe e la tirai su con forza . Solleva una donna dalla Madre Terra e sara' tua, l'ho sempre pensato .
La lasciai scendere lentamente finche trovai spazio al lato delle sue mutandine e la penetrai.
Si inarco' con un rantolo secco poggiando la nuca sulla parete. Si muoveva piano e io la assecondavo. Ripeteva come un mantra un flebile - no, no, no - sentii le mie vene riempirsi e dovetti lasciarla. Resto' per un attimo sgomenta, come offesa. La afferrai tirandola verso il divano, si piego' sulle ginocchia docilmente, poggiò il volto sulla spalliera e le alzai il vestito. La accarezzai, accarezzai quel culo non offeso da palestre, diete e dio sa cos'altro, e quando le mie dita la sfiorarono ancora profondamente strinse cosi forte le mani da rendere rosse le nocche. Guardai quei suoi capelli sudati e spettinati, i segni delle mie mani sulle sue cosce, i suoi piedi e le sue mutande scese . Si offriva indifesa.
Ho ripensato mille volte, negli anni, a quei momenti e se divenne mia allora o solo in seguito. La presi come non immaginava, come non sapeva. Mi dava il paradiso ed io in cambio il mio inferno. Le entrai dentro e urlo' con la bocca premuta su un cuscino. Fui povero allora a non capire che non la feci mia, ma fu lei a prendere me. Si giro' , si distese e allungo' le braccia verso me. Sorrideva, ed io non avevo mai visto niente di piu bello.
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