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Il mondo non è abbastanza
Una, due, tre, infinite volte compieva quel gesto malevolo di aspirare il fumo di una maledetta sigaretta. Ed ogni volta da quel balcone completava la sua opera. I peggior dieci minuti persi a crogiolare tra le paranoie ossessive che lo attanagliavano. Ancora una volta il telefono interruppe il suo viavai di informazioni estremamente pericolose. Rientrò di fretta, rispose, ammiccò un paio di volte, si recò all'uscio e s'incammino con passo svelto. Si domandava cosa potesse mai aver turbato la quiete di quella giornata, l'ozio quotidiano del dolce far niente. Era nevrotica l'ansia che iniettava nei suoi polmoni, ma quella volta non poteva divincolarsi, pur se appariva come un obbligo. Giunse frettolosamente nella sua abitazione: la trovò estremamente persa nel vuoto. Si tuffò su di lui, tra le sue braccia incredule, lo strinse ma lui non ricambiò l'abbraccio. Divenne seria, con le mani prese il suo volto attirando la sua attenzione degli occhi, gli si avvicinò e lo baciò. A nulla valse il vano tentativo di lasciare la presa; con un violento urto la scaraventò sul letto e cominciarono un'impetuosa unione. Che non durò molto. Di li a poco il gemito si trasformò in sussulto e dal sussulto divenne un esile ultimo respiro accompagnato da lancinanti sospiri di ultime parole "perdonami". Un frastuono riempì la stanza, grondarono lacrime, il suo corpo ancora adagiato in quella posizione così intima e misteriosa. Si rivestì, andò alle scale, ruzzolò. Si rialzò dolorante, avvicinò una mano al capo che rivelò un'evidente traccia di sangue e corse. Singhiozzava immensamente. -"L'ha fatto, ci è riuscita". Si accasciò per terra, ancora incredulo. Incrociò gli sguardi della folla che volontariamente si affrettava a cambiar direzione. "- È morta lo volete capire, mi ha usato. Non esiste più". Si rialzò con fatica e raggiunse il boschetto lì vicino dove si accasciò in un torpido pianto, mentre perdeva i sensi e il sangue ricopriva la guancia sinistra. Un nuovo incubo iniziò. Si sommava a ciò che già stava subendo, alle mancanze che aveva ricevuto. Agli amori del tutto terminati. Alle speranze difficili da far emergere.
Fu soccorso da un passante che lo portò d'urgenza nell'edificio di cura più vicino, mentre il suo spirito viveva un'ulteriore esperienza extracorporea che avrebbe potuto raccontare solo se fosse rinvenuto e tornato alla luce. Non si sa se aveva, ancora, voglia di combattere e ricominciare un'altra vita.
... "Un solo passo è qualcosa di ardito quando casetta appare così lontana". La vocina insistente lo risvegliò. Era un assurdo slogan pubblicitario che si divertiva con gli animi sensibili della gente affibbiando promesse insulse. Non riconosceva quel luogo, quel letto. La TV continuava con queste reclame inutili. Non le sopportava più. Portò una mano alla testa. Era ricoperto di bende e d'un tratto come flashback cominciava a rivedere quelle immagini acquisendo da subito un tono funereo. Quel bacio, quel sussurrio di perdono, l'abbandono sul letto, la sua intimità violata. Tutto acquisiva valore nella sua testa. E d'un tratto ritornò il dolore, rimaneva solo il perchè di quel codardo gesto. Si voltò alla sua destra non appena sentì aprire la porta. Un'infermiera, sulla cinquantina, con il volto devastato da chi non riusciva a dormire da troppo tempo, gli stava per effettuare l'ennesima medicazione quando notò che era sveglio. Si voltò fece un cenno ed entrò un signore molto distinto, elegante, sulla quarantina. L'infermiera completò la sua operazione e se ne andò avendo l'accortezza di chiudere la porta. Il tenebroso signore gli si avvicinò, prese una sedia e gli porse una foto. La sua amata. Scoppiò in lacrime appena la vide. Poi tirò fuori dalla sua ventiquattrore un piccolo netbook e glielo porse premendo un tasto sulla tastiera. Riconobbe il luogo e gridò -"NO, un'altra volta no. La prego". Gli fu risparmiata quella visione. -"Dovrà darci molte spiegazioni al riguardo, ma attenderemo che si riprenda e la convocheremo in sede ufficiale. Si procuri un buon avvocato". Esalò un lento respiro, il cuore perdeva battiti, il display cominciò ad allarmarsi. Rientrò l'infermiera, con un dottore, minacciando la tenebrosa visita di andarsene o avrebbe allertato i suoi superiori. -"Ci rivedremo".
Superata la crisi grazie alla sapiente cura di quegli ansiolitici, decise che era giunto il momento della sua fuga. Non ancor della sua morte. Non aveva fatto nulla di male, ma non poteva lasciarsi incastrare così. Premette il pulsante di soccorso che portava al collo. Un'altra infermiera, forse laureanda, entrò con un sorriso dolce e speranzoso. Lui le chiese un telefono e cominciò a stringerle il braccio in un modo violento sussurrandole che nessuno doveva venirne a conoscenza. Liberò la presa. La povera ragazza annuì e poco dopo ritornò con ciò che gli aveva domandato. La esortò a lasciare la stanza. Spremette le meningi e compose un numero. Si tolse il camice e si rivestì, in attesa del suo soccorso...
Il vento gli scarmigliava i capelli, assaporava quell'umida arietta autunnale, di quel lugubre giorno grigio, tra lampi e preavvisi di pioggia. Era seduto di fianco al conducente; un tipo all'apparenza sereno, occhiali da sole che coprivano l'intero volto superiore, capelli ordinatissimi e fisico da mozzafiato. Il rombo del motore era sempre in perenne attività. Non parlarono durante il tragitto. Non vi fu una spiegazione, forse perchè era inutile, forse perchè la notizia si era spinta fin laggiù, anche in quella piccola località intrappolata tra due vallate.
Era stanco e debilitato, la ferita mieteva ancora dolori lancinanti. Sapeva di aver commesso un errore fuggendo, aveva solamente destato ulteriori sospetti e quella fuga era risultata una pessima idea. Ma non poteva fare altrimenti. Volevano incastrarlo. E il momento appariva più che idoneo per sottrargli quella libertà.
In quell'ultimo periodo nulla sembrava andar bene, nulla sembrava avere un senso, nulla sembrava avere una spiegazione, nulla sembrava, nemmeno una vita che andava vissuta: amori persi, amori celati, amori infranti, amori. E dolori fisici, psicologici. E menefreghismo perenne. Caos quotidiani, cause in corso, diaspora dei familiari. Rotture. Verità infide. E in qualche modo ne era sempre il tramite. Il peso delle vicende si faceva sempre sentire, mai che qualcosa o qualcuno lo alleggerisse. Ci si metteva anche la sua debolezza. Il mostro che covava all'interno era quasi ultimato. Prendeva luce. Ma nessuna reale luce veniva accesa sulle ultime vicende. Pensare che d'un tratto tutto si era tramutato in un perfido incubo. Neppure al suo peggior nemico avrebbe mai augurato uno scompenso così drastico di emozioni/dolori. E si compativa ammettendo a se stesso di meritarsi tutto questo. Era troppo tardi per un mea culpa, per un rituale cattolico d'espiazione del peccato. Il mondo in cui viveva non gli apparteneva più. Era estraneo e forse era meglio così; meglio non vederne la bellezza se l'animo non appariva puro.
Esitò con tutte le sue forze per arrestare le lacrime copiose; per non destar sospetti al suo conducente così virile. Fece finta di starnutire e recuperò dalla tasca un fazzolettino. Il suo amico si voltò e seguì con gli occhi il suo gesto.
Si adagiò, poi, al finestrino e chiuse gli occhi, racimolando quel briciolo di pseudo fede che gli rimaneva, e andando contro il suo io si mise a pregare; pregò l'onnipotente di farlo risvegliare in un luogo non così diverso da quel famoso incubo che aveva avuto e di cui ancora non capiva il significato.
Passata una mezz'ora, giunsero al villaggio. Era così caratteristico, così diverso da anni prima. L'aria si fece più gelida. Parcheggiarono lungo il viale e scesero dall'auto. Il suo amico gli fece da sostegno e tirato fuori un mazzo di chiavi aprì una porta di una villetta classica ma ben curata. Entrarono in casa, accese una luce. Una donna era intenta a cucinare nella stanza lì vicina. Nell'aria un delizioso profumino e subito un brontolio allo stomaco. Rimase molto lieta nel rivederlo. Notò la sua ferita. Gli fece cenno di accomodarsi sul divano. Gli medicò la ferita con un'esperienza e un tatto mirabile. Lo esortò a distendersi sul divano, slacciandogli le scarpe. Recuperò una coperta e gli intimò di riposare finchè non veniva servita la cena.
Obbedì, ormai doveva fidarsi di loro. Non poteva andar peggio. Chiuse gli occhi e salutò nuovamente il mondo...
"Dio mio, da quanto tempo non assaporavo un così dolce pasto caldo, è un toccasana celestiale". Non sapeva, infatti, da quanto tempo, forse troppo, non mangiava qualcosa di precotto o cucinato da se. E quell'orgasmo di sapori che si adagiavano sul suo palato lo riportavano tempo addietro, a quando era un bimbo, a quando sperava di poter trovare un tepore tra le braccia di sua madre, a quando nessuno gli domandava il perchè piangesse, poichè era lecito farlo a quell'età.
La mente che giocava con simil pensieri. In quale stato catatonico viveva da anni per essersi ridotto così a riprovare sensazioni che sembravan essere ancorate in altre dimensioni. Non era un mostro. Era un umano. Fragile. Una brava persona con un passato burrascoso e un presente minaccioso. La fuga, quella erronea fuga ora lo costringeva a dover iniziare una vita da latitante. Stavolta non poteva cavarsela dicendo la verità. Non sarebbe bastata. I suoi preziosissimi segreti erano in serio pericolo. Forse solo la morte avrebbe placato il tutto. Ma era da codardi farla finita così. Doveva trovare una soluzione. Doveva fidarsi di loro. E forse una soluzione c'era davvero. Bastava attender con fiducia e pazienza (due termini a lui del tutto sconosciuti).
Terminata la cena, si sentì in obbligo di ricambiare e cominciò a sparecchiare. La donna, moglie del suo amico (?), lo bloccò, con la solita storiella dell'ospite. Si sentì offeso. Non sapeva quanto ancora sarebbe durata la sua permanenza lì. Di certo pochissimo. Di certo non gli avrebbe permesso di farsi soggiogare da loro, rivelando delicatissimi particolari della vicenda.
Fu riportato alla realtà dalla sigla del notiziario locale. Sperava di non essere il protagonista di quella puntata. E le sue preghiere vennero accolte; la vicenda sembrava non aver destato più di tanto scalpore. E ne era entusiasta. Allo stesso tempo in ansia. Le parole di quell'ispettore erano piuttosto chiare. Tribunale e quindi carcere. E quindi privazione della sua libertà e sopportazione di un nuovo ambiente ostile. Urgeva assolutamente fare qualcosa. E la prima era capire il perchè quella coppia dopo tanto screzio aveva deciso senza batter ciglio di aiutarlo. O almeno di nasconderlo momentaneamente. Il perchè intromettersi con il rischio di rimanerne implicati e non di poco.
Si avvicinò alla finestra del salone. Ammirò il sole e l'aria frizzante che penetrava all'interno. La tenda si mosse e la seguì con lo sguardo. Rimase bloccata ad un angolo della libreria. Si avvicinò per liberarla e casualmente notò una foto; due giovani e sorridenti ragazzi che con una naturalezza si scambiavano uno sguardo di profonda ammirazione e rispetto. Sorridevano. L'occhio cadde sul dettaglio delle loro mani, strette, unite. Gli scappò un sorriso. La donna era rientrata anch'essa nel salone e mentre notava la sua attenzione lo pregò di allontanarsi, avvicinandosi a lui. Aveva però gli occhi lucidi. "Che si tratti di un loro conoscente, di un loro amico o... di un loro figlio?". Sapeva di esserci andato vicino. E quel fiore vicino la cornice, era ormai chiaro. Quella persona o quelle persone non esistevano più. Cominciava a credere che conversare con loro sarebbe stato molto proficuo e che molte bugie e segreti sarebbero venuti a galla. Più di quelli che covava lui.
Seguì la donna che si sedette al divano e la imitò. Suo marito si accese una sigaretta e cominciò il suo discorso.
La sua attenzione crebbe ogni secondo di più.
Fine sesta parte
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