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Soluzione marziana
L'Homo Sapiens Sapiens nacque circa duecentomila anni fa nella Rift Valley africana, un'immensa vallata lunga oltre tremila chilometri e formata da una profonda faglia tettonica ricoperta di laghi. Dopo una lunga fase di stabilità, si espanse a macchia d'olio per l'intera superficie terrestre, moltiplicandosi a dismisura e dimostrando di portare impresso nel proprio dna l'insopprimibile bisogno di colonizzare o conquistare sempre nuove terre, tanto che un giorno perfino il pianeta Terra nel suo complesso cominciò ad andargli stretto.
Occorrevano dunque una nuova frontiera da valicare e nuove terre su cui dar sfogo alla popolazione in continua crescita. E la nuova frontiera non poteva essere altro che lo spazio cosmico. Sulle prime, dopo l'originario interesse che aveva trionfalmente condotto l'uomo sulla Luna, era venuta a mancare la volontà politico economica. Per giunta c'erano stati il deserto del Sahara da fertilizzare e il continente antartico da disgelare. Ma quando pure quei luoghi si erano riempiti all'inverosimile ed erano stati sfruttati a fondo, a disposizione era rimasto "soltanto" l'universo.
Dove espandersi, però? Per le conoscenze dell'epoca la Via Lattea era ancora irraggiungibile, figurarsi lo spazio extragalattico. Restava dunque un'unica area a portata di mano: il sistema solare, al cui interno il luogo più adatto pareva essere il pianeta Marte. Certo, Marte era un mondo morto da miliardi di anni, ma non era poi così diverso dal nostro e lo si poteva rivitalizzare.
Ed era proprio a tutto ciò che stava pensando il capitano scelto per condurre a destinazione i primi coloni marziani, mentre guardava brillare sopra la sua testa le luci dell'astronave in orbita geostazionaria a diecimila chilometri d'altezza. Nonostante la distanza, la nave era visibile. D'altronde si trattava di un colosso lungo oltre due chilometri e largo seicento metri. Era stata chiamata Golem e il nome gli pareva assai azzeccato: un gigantesco automa con un sofisticato cervello elettronico, forgiato dalla terra, in quindici anni di duro lavoro, per regalare in relativa sicurezza Marte all'uomo. L'astronave Golem aveva ottocento uomini d'equipaggio e avrebbe trasportato ventiquattromila coloni: i primi esseri umani destinati a vivere in maniera permanente sulla superficie marziana.
Il capitano era uno degli ultimi ancora alla base, ma il mattino successivo una navetta l'avrebbe condotto a bordo dell'immenso vascello spaziale, dove già gli altri attendevano di partire. Appena un'ora prima era entrato in comunicazione con l'equipaggio e il primo ufficiale gli aveva confermato di aver completato con successo i controlli di routine, mentre la guida spirituale degli emigranti gli aveva assicurato che il morale si manteneva alto.
Stava ancora osservando incantato il cielo, quando lo affiancarono l'ufficiale addetto al vettovagliamento e il comandante politico della missione, presidente provvisorio dei coloni.
Seguendo lo sguardo del capitano, quest'ultimo prese a sua volta a fissare il cielo stellato.
"Questa è l'ultima notte della mia vita che trascorro qui sulla Terra. Stento ancora a crederci." Commentò quindi, con la voce incrinata dall'emozione.
"È un grande giorno per la nostra gente e per l'umanità tutta e dobbiamo sentirci orgogliosi di essere tra i prescelti a farne parte, presidente. Io invidio profondamente tutti voi coloni. Non so cosa darei per restare su Marte insieme a voi." Rispose, con una buona dose di retorica, il capitano.
"Se vorrà fermarsi, noi l'accoglieremo volentieri, capitano."
"Magari, ma c'è ancora troppo lavoro da fare. Altri coloni da trasportare, il necessario alla vostra sussistenza immediata, i tanti macchinari indispensabili per completare il terraforming..."
"E nel frattempo dovremo sopravvivere intrappolati dentro quelle dannate cupole trasparenti. Occorreranno ancora un mucchio di anni, prima di poter considerare conclusa l'impresa e allora tutti noi saremo morti da tempo, purtroppo."
"Un giorno però l'umanità potrà finalmente vivere respirando direttamene l'aria di Marte e voi fondatori verrete ricordati per sempre come degli eroi."
"Magra consolazione, almeno per me." Concluse malinconicamente il presidente.
In quel momento vennero raggiunti dal pilota della navetta.
"Ma siete anche voi ancora in piedi?" - Esclamò questi - "Se mi permettete l'ardire, signori, faremmo meglio ad andarcene a dormire. Domani sarà una giornata assai faticosa per tutti."
"Hai ragione, pilota. Andiamo subito a letto. E questo è un ordine, signori. In qualità di capitano dell'astronave rispondo della sicurezza dei passeggeri e dell'equipaggio e voglio che domattina siate tutti ben riposati."
Il giorno successivo, sulla plancia dell'astronave Golem, il capitano Davide Levi, Isaac Cohen, comandante politico della missione e presidente provvisorio della prima colonia ebraica e Joseph Mann, guida spirituale o, per meglio dire, rabbino capo degli emigranti, alzarono trepidanti lo sguardo allo schermo, interamente occupato dall'imponente massa del mondo natale, che si stava lentamente rimpicciolendo davanti a loro.
Sì, il sogno, tanto a lungo coltivato, si stava finalmente concretizzando. La soluzione a millenni di tribolazioni era a portata di mano. Dopo le inevitabili tappe intermedie, l'autentica terra promessa da Dio nel patto di alleanza stava per essere raggiunta.
Niente più odi e guerre da combattere contro nemici implacabili, niente più ingiuste persecuzioni e discriminazioni, ma solo una terra arida e ostile da vincere e fertilizzare, come a suo tempo era stata fertilizzata l'arida terra palestinese. E ce l'avrebbero fatta anche questa volta, perché i giudei erano pieni di risorse. Per rendere abitabile il Pianeta rosso, avevano lottato e faticato interi decenni e li attendevano almeno altrettanti decenni di sofferenza, non essendo ancora possibile respirare l'aria marziana. Nel frattempo il popolo d'Israele sarebbe stato costretto a vivere all'interno delle dodici - simbolicamente una per ciascuna delle antiche tribù - grandi cupole appena realizzate, avveniristico prodotto dell'alta tecnologia del tardo XXI secolo. Tuttavia un giorno, grazie anche all'aiuto di Dio, l'impresa sarebbe stata coronata dal successo. Avrebbero così avuto a disposizione una terra tutta per loro, un intero mondo donato da Dio al suo popolo eletto.
Già assai prima, peraltro, avrebbero raggiunto un'autonomia tale da permettergli d'importare dalla Terra solo pochi beni voluttuari. Infine il programma di terraforming di Marte sarebbe stato completato, le cupole sarebbero state tutte smantellate, tranne una o due conservate come museo e il popolo d'Israele sarebbe sciamato sulla superficie planetaria. A quel punto, grazie agli accordi stipulati con l'ONU, in cambio dell'impegno economico, umano e tecnologico ebraico, Israele avrebbe avuto per sempre i diritti di nazionalità sul 20% dell'intero corpo celeste.
Con la fervida speranza che su Marte, nuova Terra promessa, il popolo d'Israele sarebbe vissuto in pace e serenità per i secoli a venire.
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