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Porta Palazzo
Nel silenzio della sua stanza Guido si guardava allo specchio. Aveva appena finito di pregare. Doveva prepararsi.
Karim vendeva il fumo. Karim aveva quattordici anni. Abitava a Porta Palazzo: uno dei quartieri più famosi di Torino, ma anche uno dei più popolari e degradati. Una volta, lì, abitavano i meridionali che si erano trasferiti nella città attirati dalle possibilità che le numerose aziende torinesi davano. Erano gli anni del miracolo economico: c'era il lavoro, c'era la speranza. Ma ora loro, i meridionali, si erano spostati almeno la maggior parte, ed era diventato un quartiere più che altro popolato da immigrati extracomunitari.
Karim abitava in quel quartiere da circa un anno. Karim adorava il mercato all'aperto di Porta Palazzo: era il più grande d'Europa. Lui adorava girare per le bancarelle in quel brulicare di voci ed etnie. Per lui quel momento era un rito sacro, quasi come la preghiera da recitare rivolto verso la Mecca. Quando c'era, il mercato Karim faceva dei furti. Non derubava gli italiani, aveva una sua etica. Pensava che siccome abitava in Italia, non era giusto derubare un italiano, era il suo modo di esprimere riconoscenza. Lui si divertiva a fregare i crucchi o gli inglesini: tanto stupidi da andare al mercato con orologi d'oro al polso e portafogli rigonfi di soldi e carte di credito. -Non è colpa mia se loro mi mettono sotto il naso, la loro ricchezza, poveri scemi-. Si divertiva proprio a immaginare le loro facce incredule nell'accorgersi, che il Dio del consumismo non li aveva protetti.
Karim, era credente, era musulmano. Non era come suo fratello più grande Ghafûr; lui diceva che l'uomo bianco doveva essere punito, Ghafûr era un estremista islamico. Almeno era quello che sosteneva. Continuava a ripetere che prima o poi, si sarebbe fatto esplodere in qualche locale sui Murazzi o in qualche centro commerciale. Avrebbe fatto una strage di cristiani. Karim invece non era così, era un ragazzino buono. Credeva in Allah, ma a lui non importava niente di attentati, stragi e di esplosioni. A lui piaceva stare con i ragazzi bianchi, erano suoi amici. Lo apprezzavano e lo stimavano. Lui gli vedeva il fumo, pensava: - Cazzo, se non ci fossi io tutti questi ragazzi italiani non potrebbero passare queste belle serate-. Il fumo di Karim era di prima qualità. Lui trattava il "Super Polline". Certo, glielo doveva fare pagare un po' di più, ma lui era generoso. Non per niente si chiamava Karim, che voleva proprio dire "il generoso". A Karim piaceva tanto Alessandra, una ragazza che abitava nel suo palazzo. Era figlia di calabresi: l'unica famiglia italiana rimasta in quello stabile. Non volevano andarsene da quelle vie, a cui erano affezionati e in ogni caso, spostarsi costava troppo. Lavorava solo suo padre, sua madre si era ammalata di cancro e dovevano già spendere molti soldi per le cure. Erano rimasti in quella casa di cui, comunque, avevano finito di pagare il mutuo stipulato alla fine degli anni Ottanta. C'erano riusciti con mille difficoltà. Ora erano orgogliosi di avercela fatta.
Il padre di Alessandra aveva una panetteria proprio in Corso Regina Margherita. Si chiamava Rocco. Karim ogni mattina andava da lui a compare pizzette e focacce. Karim adorava il profumo di pane caldo che si sentiva la mattina presto e poi voleva far vedere a Rocco che era un bravo ragazzo. Karim sapeva che oltre a dover conquistare il cuore di Alessandra, doveva anche conquistare quello di suo padre. Karim stava aspettando Francesco. La sera prima si erano messi d'accordo: l'appuntamento era per il giorno dopo, verso le due del pomeriggio, nei pressi della fermata di Rondò Forca, dove si fermava il tram numero tre. Era contento perché Francesco doveva fare un bel carico. - Quattro etti- gli aveva detto. Karim pensava: -Con i soldi che mi darà Francesco, potrò portare Alessandra a ballare; sì la inviterò in discoteca e le comprerò anche un bel vestito. Le comprerò quel vestito che ha visto l'altro pomeriggio, quando siamo andati a passeggiare in Via Garibaldi.
Karim toccava la sua panetta di fumo, mentre quel pensiero felice gli accarezzava la mente. Quando vide arrivare Francesco gli sorrise come se fosse arrivato il suo salvatore.
Guido si era vestito in maniera elegante, impeccabile. Un completo giacca a pantalone scuro, si stava annodando la cravatta. Era fiero della sua immagine.
Francesco comprava il fumo. Francesco aveva diciassette anni. Era incazzato nero, perché toccava sempre a lui la fatica di andare fino a Torino a comprarlo. Francesco era di Biella: una città più piccola del buco del culo di una mosca, poco più di cinquantamila abitanti. Dove la metà delle persone soffriva di isterismo xenofobo e in l'età media, aumentava di ogni anno. Tony e Andrea gli avevano lasciato i soldi e come al solito si era dovuto arrabbiare con loro, perché erano arrivati in ritardo all'appuntamento e per poco non perdeva il treno. -Siete delle teste di cazzo! Non solo, devo andare sempre io a prendere il fumo, ma arrivate pure in ritardo. La prossima volta ci andate voi. Cazzo!- Francesco odiava il treno: era sporco. Aveva letto un articolo in cui troneggiava il titolo: Intercity Torino-Milano i passeggeri si prendono le zecche. - Devo pure pagare, per prendermi le zecche. Siamo in Italia è così che funziona. Si era scaricato della Psy-trance da internet e aveva riempito il suo MP3. Si era portato un libro da leggere. Era preso dalla lettura dei lavori Irvine Welsh, Trainspotting era il suo libro preferito, stava leggendo il seguito "Porno". Non riusciva a staccarsi da quelle pagine: era completamente immerso nelle vicissitudini di Renton e Sick Boy. Il suo MP3 gli sparava Psy- trance a tutto volume nelle orecchie facendogli ondeggiare la sua testa. Sembrava un serpente che ascoltava il flauto di un incantatore. Poi fantasticava sul rave che ci sarebbe stato quella sera. Lui e i suoi amici avevano organizzato tutto. Per fortuna Tony aveva già la patente, lui aveva già 18 anni, gli avrebbe portati con la sua Clio di seconda mano. Dovevano andare a Milano, nella periferia, a Lambrate per l'esattezza: nella fabbrica dove una volta facevano i pezzi per le macchine Innocenti. Poi pensava ai soldi che avrebbe guadagnato grazie al fumo che Karim doveva vendergli, non avrebbe faticato a racimolarli in mezzo a quel rave dove i ragazzi avevano sempre una famelica voglia di sballo. Quella sera con loro sarebbe andata anche Anna. Come gli piaceva Anna: avrebbero preso qualche pasticca e dopo le ore di ballo frenetico si sarebbero appartati da qualche parte. Francesco stava proprio viaggiando con la mente, mentre leggeva il suo libro e ascoltava quella musica dai ritmi instancabili. Stava fantasticando e non si accorse nemmeno degli sguardi di quella ragazza seduta dalla parte opposta due sedili più avanti. Una di quelle ragazze un po' alternative: con i capelli rossi, un anellino al naso e una maglia, con il logo degli Afterhours, che le metteva in risalto la sua terza misura. Francesco, scese alla stazione "Porta Susa". Era molto più vicina al punto di ritrovo con Karim. Percorse un tratto di Corso Principe Oddone, aveva lo zaino e faceva caldo. Arrivò all'incrocio con Corso Regina Margherita, girò a destra, e si diresse verso la fermata Rondò Forca, dove si fermava il tram numero tre. Si accese la sigaretta che si era rollato mentre era in treno. La frenesia della grande città lo metteva un po' in apprensione. In lui c'era l'adrenalina, figlia di quel rischio che stava affrontando. Voleva risolvere la cosa in fretta. Aveva detto a Karim quattro etti, ma alla fine era riuscito a trovare i soldi per sei. Pensava: - Sei etti di fumo nello zaino, è la prima volta che ne prendo così tanto, se mi beccano sono cazzi veri. Aveva paura e contemporaneamente si sentiva come i protagonisti dei romanzi di Irvine Welsh. Quando vide Karim che lo stava aspettando, gli corse incontro come se avesse appena visto il suo salvatore.
Guido aveva preso l'autobus numero 41 in Corso Casale. Dei bambini erano usciti da scuola, uno di loro gli aveva sorriso.
Alessandra, sognava. Alessandra aveva quindici anni. Sognava Londra: lei voleva andarsene da quel quartiere che le stava troppo stretto. Lei voleva volare a Londra, dove credeva capitasse tutto prima che capitasse negli altri posti. Alessandra voleva portare a Londra la sua chitarra. Era un regalo che il padre le aveva fatto per il compleanno. Un'Ibanez economica e un piccolo amplificatore. Le piaceva andare a ballare come alle sue amiche ma diceva sempre: - Quello non è il mio mondo, a me piace il rock-. Quel giorno Alessandra poteva suonare a volume un po' più alto: i suoi genitori non erano in casa. Erano andati a Milano in un ospedale specializzato per la cura dei tumori. Sua madre si stava curando e dovevano verificare che tutto andasse per il meglio. Alessandra era innamorata di Kurt Cobain e dei Nirvana. Studiava per ore e ore i loro pezzi. Il giorno in cui imparò a suonare Smells Like Teen Spirit, era talmente felice che si mise a piangere. Le sue mani che facevano le stesse note: le stesse che suonavano le mani di Kurt. Alessandra immaginava di suonare all'unisono con lui: allo specchio vedeva riflessa l'immagine di Kurt Cobain, una folla in delirio, lei sul palco, Kurt sul palco, una cosa sola. Alessandra sognava. Ogni tanto lei pensava anche a Karim, il ragazzo marocchino che abitava al piano di sopra. Aveva capito che Karim era innamorato di lei, lui era sempre gentile e poi era pure carino. Qualche giorno prima erano andati a fare una passeggiata insieme, si era divertita, stava bene con lui. Si sorprese a pensarlo. Lui non era come gli altri: i ragazzi della sua classe in piena crisi ormonale, che gli stavano addosso perché il suo seno era cresciuto troppo in fretta. -Pervertiti!- pensava. Tornava a suonare la sua chitarra: stava studiando un'altra canzone del suo mito. "Come As You Are" e mentre provava e riprovava, nella sua mente cantava le parole.
Come as you are, as you were
As I want you to be
As a friend, as a friend, as an old enemy
Pensava che voleva mettere in piedi una sua band. Suonare le canzoni dei Nirvana in giro per i locali, voleva comporre delle canzoni tutte sue da dedicare alla memoria del suo mito. L'avrebbero chiamata per darle qualche premio lei avrebbe detto: -Dedico il mio successo a Kurt Cobain, senza la sua musica io non sarei mai arrivata fino a qui. Alessandra era bella: capelli neri fino al centro delle scapole, occhi verdi e intelligenti. Stava crescendo in fretta: le sue curve ne erano la testimonianza. Voleva farsi un tatuaggio: una stella sul polso. Doveva aspettare di avere diciotto anni, suo padre non l'avrebbe mai permesso prima. Alessandra sognava. Alessandra aveva quindici anni e credeva che la musica l'avrebbe salvata.
Francesco disse a Karim che voleva due etti in più. -Non c'è problema amico. Andiamo a casa mia. È proprio qui: vicino alla piazza del mercato di Porta Palazzo. Entrarono nel palazzo lasciando la porta aperta dietro di loro. Salivano per le scale, Karim disse: -La senti questa musica, la sta suonando la ragazza più bella che conosco. Grazie ai soldi che mi darai, io potrò farle un bel regalo -Sono contento per te-. Rispose Francesco.
Guido credeva in Dio. Guido Aveva 43 anni. Aveva perso sua figlia e sua moglie perché un marocchino ubriaco le aveva investite. Guido lavorava in banca. Era sempre stato un buon padre. Sua moglie non aveva mai smesso di amarlo. Il giorno della telefonata in cui gli riferivano dell'incidente smise di parlare. Si era licenziato e chiuso in casa. Guido leggeva. Stava in casa tutto il giorno a leggere le sacre scritture. Guido, mentre camminava a passo veloce, continuava a pensare a quello che aveva letto nel libro dell'esodo: -Non avrai altri Dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi.- Ripeteva a memoria quello che aveva letto nel vangelo di Matteo: - Solo se osserviamo la sua legge e viviamo nel suo amore. Se infatti ci creiamo un nostro regno in cui vivere e godere, perdiamo il regno vero e ci priviamo della grazia. Poiché non si può servire insieme l'errore e la verità, la morte e la vita, la luce e la tenebra, il bene e il male, il peccato e la virtù.
Alessandra stava suonando Smells Like teen Spirit. Karim stava dando il fumo a Francesco. Fu in quel momento che Guido entrò dentro il palazzo e gridando:-Non avrai altro Dio all'infuori di me, si fece esplodere, facendo crollare il mondo sulla sua testa.
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