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82, Washington Road (Episodio 11)
Il motorino d'avviamento gracchiava sofferente, forse frustrato dall'inutilità nella quale era piombato. Sonny Meltzer non vi badò, seguitando a girare la chiave nell'accensione senza esito, come stava facendo da almeno tre quarti d'ora.
<<Che diavolo, Sonny, dacci un taglio!>> sbraitò Rod Hensenn.
Erano tornati in città, con l'intenzione di raggiungere il cantiere vicino alla Rockford Highschool e dare un'occhiata come suggeriva Jake, perché non avevano altro, non riuscivano a pensare a niente di meglio. Intrappolati com'erano in quella prigione infernale che era stata la loro casa, sconvolti dalla rapidità e dall'assurdità degli eventi, l'idea che la scuola, apparente origine di tutti i loro guai, potesse fornire loro una soluzione non era proprio da scartare.
Stavano percorrendo Wichita Road quando, a quasi tre miglia dalla loro meta, tutto si era spento. Nessuno di loro aveva mai visto una cosa del genere: lampioni, insegne e luci domestiche avevano tremolato all'unisono prima di oscurarsi, accompagnate da uno sfrigolio che correva lungo di esse, come qualcosa che si trasmetteva in breve da una fonte di luce all'altra. Erano tanto sorpresi dallo stranissimo blackout che sulle prime non si erano resi conto che il motore della BMW si era ammutolito, ma quando l'auto si era fermata dolcemente, senza alcun sussulto ma emettendo a sua volta uno sfrigolio dal vano motore, avevano creduto di capire cosa era successo.
Hensenn era sceso dalla vettura ed aveva forzato un pick-up, ma non era riuscito a farlo partire, come altre due auto subito dopo. Era tornato in macchina, sconfortato. <<Hanno spento la città>>, aveva commentato a denti stretti. <<Figli di puttana!>>
<<Un'interferenza magnetica>>, aveva suggerito Jake. <<Qualche impulso molto forte che ha bruciato tutto quello che ha a che fare con l'elettricità. Ci hanno visti, sanno che siamo vivi e vogliono assicurarsi che non riproviamo a fuggire.>>
Per ore erano rimasti così, seduti in auto, circondati da un'oscurità quasi totale, appena rischiarata dalla luce delle stelle. Ora che l'alba cominciava a filtrare tra le montagne Rockford sembrava meno terrificante. <<Andiamo>>, si scosse Hensenn raccogliendo il Remington dal fondo dell'abitacolo ed aprendo la portiera. <<Stare seduti in un mucchio di ferraglia inservibile non ci porterà da nessuna parte. Dobbiamo mangiare qualcosa e poi metterci in cammino.>>
Jake e Sarah lo seguirono volentieri, stanchi di star seduti a tremare sul sedile posteriore e decisamente affamati. Sonny Meltzer continuò a girare la chiave nell'accensione per un po', infine si arrese e si unì a loro.
Erano poco distanti dal Nest, la tavola calda di migliore di Rockford. L'unica, in effetti. Si mossero in fretta lungo il marciapiedi con Hensenn che faceva strada impugnando sia il fucile che la pistola, ma nessuna creatura si parò dinanzi a loro.
La porta era aperta, il locale non aveva chiuso la sera prima. Alcuni clienti giacevano a faccia in giù nei piatti, altri erano distesi sui divanetti; uno era incastrato con una gamba tra il bancone ed uno sgabello, a testa in giù con un filo di sangue colloso che gli penzolava dalla bocca. Erano tutti mangiati per metà, come pasti poco appetitosi.
Meltzer propose di prendere qualcosa e andarlo a mangiare in macchina, ma Hensenn non gli diede ascolto. Posò le armi sul bancone, lo aggirò e prese a raschiare via un hamburger incenerito dalla piastra a gas bollente. <<Uova e pancetta per tutti>>, annunciò con una punta d'allegria. <<Ma ognuno paga per sé!>>
Fecero colazione tra cadaveri e mosche, bevvero molto caffè, sebbene fosse freddo, per combattere il sonno ed ingoiare il fetore della morte. Era disgustoso, per certi versi sacrilego, ma nessuno rifiutò una seconda porzione.
Quando ebbero terminato si avviarono all'uscita, decisi a raggiungere il cantiere al più presto, convinti che la calma apparente che era calata su Rockford non li avrebbe accompagnati a lungo. Hensenn aprì la porta spingendola col calcio del Remington ed il fucile gli saltò via di mano, ma non aveva perso la presa. Reagì d'istinto alla raffica di proiettili spingendo all'interno gli altri e cercando riparo dietro il divanetto più vicino. La mano sinistra gli sanguinava, la destra si sporse dal rifugio e premette il grilletto della pistola, molte volte.
Le vetrate del Nest esplosero, ridotte a frammenti di cristallo luccicante che ricaddero addosso a Sarah e Jake, accucciati e tremanti appena sotto le finestre. Sonny Meltzer aveva trovato riparo di fianco al bancone e teneva un vassoio davanti a sé come se fosse uno scudo; accorgendosi dell'assurdità della cosa, lo scagliò via e raggiunse a testa bassa l'estintore del locale, lo staccò dalla parete e si avvicinò ad Hensenn mostrandoglielo come fosse la soluzione ad ogni problema.
Jake non capì, non fino a quando Meltzer varcò l'uscita riparandosi dietro alla cortina bianca dell'antincendio, seguito da Hensenn che scartò subito di lato e, imprevedibilmente, corse nella direzione dalla quale giungevano gli spari. Un'ultima raffica si abbatté sui mobili della tavola calda, poi si udì una breve serie di spari distanziati, infine non restò che il silenzio.
Jake e Sarah sbirciarono oltre il riparo, esitarono, poi lasciarono il locale per raggiungere i due compagni di sventura. Meltzer stava imprecando per un buco nella manica della camicia, mentre Hensenn punzecchiava con la punta del piede i cadaveri dei loro aggressori.
<<Federali>>, annunciò con disprezzo. <<Non gli basta tenerci prigionieri, ora vengono persino a stanarci.>>
<<Sono loro>>, disse Jake. Riconosceva gli abiti scuri, eleganti, e gli pareva di aver già visto uno dei due il giorno prima, nel cantiere del Trigate Mall. <<Sono quelli che hanno fatto saltare il cantiere.>>
Meltzer gli rivolse un'occhiata interrogativa, ancora incerto su ciò che aveva raccontato il ragazzo. <<Sono proprio loro, ne sono certa>>, confermò Sarah in risposta.
<<Suppongo che non fossero solo in due>>, suggerì Hensenn. Si infilò la pistola nella cintura dei pantaloni e raccolse i due fucili automatici che giacevano accanto ai cadaveri. <<Incamminiamoci, il rumore di spari arriva più lontano in una città morta.>>
Così fecero, temendo gli uomini in nero quanto le creature in agguato. E temendo, in fondo, che la morte fosse l'unica via libera per lasciare Rockford.
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0 recensioni:
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- Credo che la "fermezza" dei personaggi faccia il settanta per cento di questa serie, perché se riuscite a ricordare cosa era successo con qualche nome e poche righe è merito delle frasi dirette di Hensenn, del fatalismo di Jake e della gelida crudeltà di Seth Kurtz(il prossimo episodio è zona sua), quindi sono orgoglioso di loro!!
Il finale si avvicina, Ste, grazie di essere ancora qui a leggere questa lunga storia, mi auguro di non deludere le aspettative!!
- temevo di non ricordarmi più nulla, invece mi è successa la stessa cosa di Robi... poche righe, qualche nome e la storia è uscita dal cassetto nella quale l'avevo accantonata
Come al solito un ottimo episodio, con la ciliegina del finale... non tanto per quanto succede, bensì per come l'hai scritto... oltre, ovviamente, alla immancabile battuta di Hensenn, ci sono quelle ultime due righe che mettono i brividi. Bravo, ora attendo il finale
- Ecco la mia scattante lettrice che già ha letto il racconto, puntualissima!!
Io ho dovuto fare un po' di mente locale, ma ora credo di avere le idee piuttosto chiare... direi che c'è ancora qualche sorpresa dietro l'angolo.
Ovviamente il cazzuto Hensenn non poteva risparmiarsi una frase a effetto!!
- Mi piace! M'è bastato rileggere le prime righe per ricordare a che punto eravamo rimasti.
Bello, specie quel: <<Incamminiamoci, il rumore di spari arriva più lontano in una città morta.>>
La fine si avvicina... vediamo che t'inventi!
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