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Perchè educhiamo?
Perché educhiamo? Il dizionario Devoto-Oli così definisce il verbo educare: "Portare a un livello di maturità sul piano intellettuale e morale". La radice etimologica del termine educare è il verbo educo che significa traggo da, faccio emergere. Dunque educare significa portare a maturità facendo emergere e crescere le capacità e le potenzialità di chi vogliamo educare.
È un'operazione maieutica, non impositiva. Se vogliamo inculcare idee e principi nostri senza metterci in una posizione di reciprocità (chi educa si educa anche attraverso il rapporto con l'educando) non educhiamo ma dominiamo."Fare emergere le capacità e le potenzialità di chi vogliamo educare" E qui si pone subito un problema. Se chi educa tiene conto solo di alcune o anche molte potenzialità ma non di tutte, rischia di non vedere preziose risorse nascoste e di emarginare o giudicare negativamente chi ha potenzialità che l'educatore non ha visto. E così si perdono tanti bambini e ragazzi che finiscono col perdere l'autostima. Don Milani l'aveva capito molto bene quando fu mandato, per punizione non meritata, a Barbiana, un un paesino sperduto tra i monti del Mugello. Vi trovò un pugno di ragazzini, figli di contadini, scartati dalla scuola di Vicchio. E così fondò lui una scuola, a tempo pieno, dalla mattina alla sera e senza vacanze. Il suo metodo era dialogico, il lavoro scolastico era collaborativo, "comunitario". I ragazzi scrivevano un testo e poi tutti insieme lo correggevano, lo ampliavano o tagliavano le parti inutili e alla fine decidevano quale fosse la stesura migliore. Nacque così anche la famosa "Lettera a una professoressa", una forte denuncia della scuola selettiva ed antidemocratica. Un altro elemento importante dell'insegnamento di don Milani è l'individualizzazione nel senso che dicevo prima. Un insegnamento individualizzato non vuol dire individualistico. Niente è più lontano dall'orizzonte pedagogico di don Milani dell'individualismo. È molto forte in lui l'interesse sociale. Alla professoressa della "Lettera." Chiede. " Conosce lo Statuto deilavoratori?" È molto più importante di tante nozioni che trasmette ai suoi alunni. Questo naturalmente non significa azzerare il sapere. Si tratta, invece, di individuare, fra i contenuti, quelli prioritari e avere chiare le finalità della loro acquisizione. Ma la motivazione pedagogica più profonda di don Milani era l'amore e la sete di giustizia alimentata dall'oppressione che i "signorini" del Mugello esercitavano sui contadini. Per questo spese la sua vita per educare e istruire i loro figli che considerava anche suoi figli. In una delle sue bellisime lettere dense di riflessioni non solo pedagogiche ma anche politico-sociali e perfino teologiche dice una cosa che ci illumina sul suo concetto di cultura: "Se vuoi battere il padrone devi sapere una parola più di lui". Una cultura liberatrice, dunque, Gli allievi di don Milani hanno messo a frutto l'insegnamento del maestro. Si sono affermati nel lavoro e ciascuno nel suo ambito, ha continuato l'opera del priore di Barbiana. Li rappresenta tutti Francesco Gesualdi che ha scritto un libro di economia, la preziosa "Guida al consumo critico e collabora con la rivista Altraeconomia. Ha rifiutato il contributo economico offertogli dagli amici perché avesse più tempo per il suo lavoro di pubblicista e continua a vivere del suo lavoro di infermiere in un ospedale. Una cultura liberatrice, quella di don Milani. E questo mi rimanda ad un testo pedagogico vecchio ma attualissimo: "Educare, per quale società?" di Giulio Girardi. Già, se lo specifico dell'uomo è vivere in relazione con gli altri e quindi essere parte attiva di una società dobbiamo chiederci. con Girardi, per quale società vogliamo eucare i nostri allievi e i nostri figli?. Girardi parla di educazione integratrice e di educazione liberatrice, opposte fra loro. Vogliamo integrare i nostri figli e i nostri allievi nella società o vogliamo liberarli dai suoi condizionamenti e renderli costruttori non solo della loro libertà ma anche di una società di liberi? Vogliamo che conservino questo modello di società o vogliamo che lo cambino? L'attuale società, direi a livello planetario è, come non è mai stata in passato, individualista, egoista, "avara" come direbbe don Milani che, prima di morire dovette affrontare un processo per aver dichiarato, lui nonviolento, che la guerra è sempre strumento di oppressione e per aver affermato che in una società attraversata dalle ingiustizie "l'obbedienza non è più una virtù". Oggi i mezzi di informazione, il mercato, l'arroganza del potere politico ed economico, l'intolleranza. il culto del denaro, il razzismo palese o subdolamente velato, ci rendono non parti vive di una società libera ma sudditi o complici, consapevoli o no. delle ingiustizie sociali. Educare, per quale società? Ne vogliamo parlare?
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- Grazie, Michele. Ciao. Franca.
- Il Poeta Rivoluzionario
da "Un Uomo"
di Oriana Fallaci
Il poeta ribelle, l'eroe solitario, è un individuo senza seguaci: non trascina le masse in piazza, non provoca le rivoluzioni. Però le prepara. Anche se non combina nulla di immediato e di pratico, anche se si esprime attraverso bravate o follie, anche se viene respinto o offeso, egli muove le acque dello stagno che tace, incrina le dighe del conformismo che frena, disturba il potere che opprime. Infatti qualsiasi cosa egli dica o intraprenda, persino una frase interrotta, un'impresa fallita, diventa un seme destinato a fallire, un profumo che resta nell'aria, un esempio per le altre piante del bosco, per noi che non abbiamo il suo coraggio e la sua veggenza e il suo genio. E lo stagno lo sa, il potere lo sa che il vero nemico è lui, il vero pericolo da liquidare. Sa addirittura che egli non può essere rimpiazzato o copiato: la storia del mondo ci ha ben fornito la prova che morto un leader se ne inventa un altro, morto un uomo d'azione se ne trova un altro. Morto un poeta, invece, eliminato un eroe, si forma un vuoto incolmabile, e bisogna attendere che gli dei lo facciano resuscitare. Chissà dove, chissà quando
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