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Lo sa, ma non vuole dirmelo
Gli appuntamenti erano fitti, tra la giornata di lunedì e quella di venerdì mi restava giusto il tempo per guardarmi allo specchio e giocare con l'orecchino regalatomi da zio Tom. Passato il primo giorno della settimana, capii che la situazione stava cimentandosi sull'inverosimile, nel senso che se realmente mi ritrovavo nella realtà ero uno stramaledettissimo uomo fortunato: chi l'avrebbe mai detto che al primo colloquio di lavoro mi avessero preso? Eppure ero giovane, diciottenne, la mia vita la passavo tra il pub di Mostro Joe e le sbronze nella West Side. Non potevo rendermi conto della mia bravura, se non nel momento in cui le ragazze mi si avvicinavano senza alcun ritegno e, molto probabilmente, senza nessun preconcetto tradizionalista del cazzo il quale prevede che il sesso fa male "all'integrità della bontà d'animo". Come potevo rendermi conto della mia bravura attraverso questa idiozia? Semplice, ero bello. Ma certo: il colloquio era ricco di donne ma pure ricco di uomini, esperti, geni senz'altro, anche molto scrupolosi e pignoli direi. Però ero bello, ed ogni mia singola sfumatura errata ed ogni pezzo sbagliato della mia personalità, del mio carattere e della mia professionalità - se non della mia esperienza - passavano in secondo piano - perché appunto ero bello. Attenzione: non ero bella, ma bello. Sono un uomo. Può risultare strano agli occhi e alle orecchie di qualcuno che legge una cosa del genere: "un uomo sfonda nel campo del lavoro (qualsiasi lavoro) per la sua bellezza!" È un'oscenità? Non direi! Le donne sono belle e da un momento all'altro si ritrovano a ballare presso un programma televisivo che due giorni prima l'aveva ben inquadrata a fare la lap dance in un locale stracolmo di rozzi cittadini della contea, sbavosi, con birra e cannocchiale indirizzato verso le parti medio-alte e medio-basse del favoloso corpicino femminile. E perché mai non può essere bello un uomo? No, mi chiedo: una donna realizza i suoi sogni (?) grazie alla sua immensa bellezza; ed il fatto che un uomo il quale realizza il suo sogno (?) mostrando la sua bellezza è così grave? Anche perché un uomo bello viene addirittura ben visto non solo dalle donne presenti per selezionare il personale ma pure dagli uomini che oltre a saper distinguere le donne brutte dalle donne belle sanno distinguere anche gli uomini brutti dagli uomini belli (e subiscono un attrazione spaventosa nei loro confronti). Quindi mi assumono. Ero bello, potenzialmente ricco, pieno di amici, di donne, di fortuna, di Dio e così mi feci una canna, una birra, chiamai un paio di compagni e passai la serata. Tra il martedì ed il venerdì ero pieno di impegni, come ho già scritto. Così lavorai come un paziente scoiattolo con la sua noce, e loro che si congratulavano: "complimenti!", "ma che acquisto che abbiamo fatto!", "ma lei è proprio un prodigio!", "ma come fa ad essere così svelto?!?", "beh lei è senz'altro l'uomo più in gamba che la nostra società abbia mai avuto!", e così via. Non facevo niente, a lavoro ero più pigro di quando passavo il resto dei miei giorni a sbronzarmi. Ero terribilmente fortunato, la settimana da Dio: no, era la mia vita che era da Dio. Sempre andato tutto dritto, gli ostacoli superati in un boccone, famiglia stupenda e non come quei neri con le famiglie tutte unite e spaccare il muso ai propri figli, e poi avevo questo bel viso che mi consentiva l'accesso verso le porte del Paradiso. Potevo chiedere di più?
Voi adesso vi starete chiedendo: qual è la fregatura? Non può esserci il lieto fine in una storia che di lieto ha proprio tutto! E quindi dovrebbe esserci un brutto finale, quel finale che ti lascia ad occhi aperti, anzi chiusi per la paura e la tristezza e le lacrime. È proprio l'uomo stesso a darsi un lieto fine nella propria vita: quando si è operato bene o male, alla fine dei giochi sorge la solita domanda: dove ho sbagliato? Ho vissuto una vita piena e soddisfacente? Mi sento felice? Posso morire in pace? E ci si da il lieto fine oppure no, in base alla risposta di questa serie di domande. Viviamo in un mondo che s'è evoluto, e dunque questa serie di domande non presenta più la stessa priorità di allora: non è necessaria. Sono gli altri, adesso, a porsi le domande su di noi: dove ha sbagliato? Ha vissuto una vita piena e soddisfacente? Si sente felice? Può morire in pace? E si decide se quell'uomo può avere il lieto fine oppure no. È tutta una questione di punti di vista. Potrei dire di aver avuto un lieto fine, un secondo prima di essere morto, se non avessi ricordato che gli altri hanno deciso che non sarei dovuto morire con un lieto fine. Il lieto fine è indispensabile: i posteri potranno ricordarti in base al tuo lieto fine e non alla tua vita, piena o vuota; se dunque morirai con un lieto fine sarai ricordato bene, portato sull'Olimpo e magari adornato di mazzi di fiori ogni mese, settimana o addirittura giorno; se morirai senza lieto fine sarai costretto ad osservare come la civiltà si dimentichi di te oppure si ricordi di te come una cattiva persona che non merita fiori né ogni mese, né ogni settimana, né ogni giorno. È la legge che l'uomo ha creato: si vive per il lieto fine, altrimenti non si può, non vale la pena esistere. Ed il lieto fine viene stabilito dagli altri, non hai il potere di stabilire il tuo lieto fine per la tua vita ormai conclusasi - nel peggiore o nel migliore dei modi resta da stabilirlo, sempre in base al giudizio degli altri, naturalmente. Personalmente, credo di aver avuto un lieto fine. Prima di morire ricordo che feci un breve riassunto di tutta la mia vita, soprattutto ricordando quella settimana decisiva (poi capirete il perché), e mi resi conto che in fin dei conti la mia vita è stata tanto soddisfacente quanto piena in ogni suo angolo. Il problema è che gli altri non erano d'accordo con me, il lieto fine proprio non hanno voluto accordarmelo: ero bello, parevo molto meglio di Humphrey Bogart e, insomma, non mi mancava nulla. Però, dopo quella settimana cruda ma felice, dove ottenni il mio primo lavoro e dove, da diciottenne, mi resi conto di essere il re del mondo, scoprii di essere omosessuale. Sì proprio così: omosessuale, gay, frocio, ricchione, come dir si voglia! A tutti i costi volevo capire perché mi sentivo estremamente felice ma incompleto, così concepii che al mio fianco mi ci voleva un maschio e non una femmina. Perciò, d'un tratto, i diciotto anni trascorsi in ogni tipo di paradiso religioso si trasformarono in qualcosa di opposto: non ero più bello, non avevo più il lavoro, non avevo neanche più amici, non ero accettato da mio padre, da mia madre, da mio zio, da mio fratello, dai miei parenti e neppure dagli altri omosessuali. Ero un reietto. L'unica cosa in grado di risollevarmi era la scrittura, così scrissi una marea di racconti che ho tenuto stipati fino alla mia morte in uno scaffale della mia lurida camera d'albergo. Non sarei dovuto diventare omosessuale. Sarebbe stato meglio, forse mi sarei potuto permettere di vivere una vita affascinante e lussuosa ancora tra le sbronze, le donne e la felicità; la mia curiosità e la mia verve mi ha spinto a cercare sempre più in là, ossia dentro di me, identificandomi come un omosessuale, un gay. Il lieto fine non me lo merito, è proprio vero. Eppure io sapevo di meritarmelo, fino a quando non notai che tutto il mondo era contro di me, anche sul letto d'ospedale in fin di vita; così non morii proprio contento, ma bensì insoddisfatto. Infelice. Peccato.
Ora che sono quassù a riflettere e ragionare, chiedo al buon Dio: "com'è stato possibile?" ma lui non mi risponde, stenta a credere a quanto successo. Lo vedo ogni giorno infuriato, pazzo, con le mani tra i capelli, gli ricordo che è lui il capo e che può cambiare tutto da un momento all'altro; lui è tentato a farlo, è sempre lì per lì per mettere la mano in ogni testa umana, ma poi si rende conto dell'errore che sta per commettere e si ferma perentoriamente. Non mi spiega il motivo, Dio è criptico, nelle conversazioni sono sempre io quello che padroneggia. Non vuole parlare, si chiude in sé stesso, sembra depresso. Un uomo così potente può mai essere depresso? Ebbene sì. Io non lo sono: eppure è strano, sono omosessuale, mi ritrovo in mezzo a tanti omosessuali come me che mi trattano bene, però ho rimorsi e rimpianti, ho nostalgia della Terra: è vero, mi trattarono male, ma la colpa, ripeto, fu proprio mia che divenni omosessuale. La Chiesa punisce gli omosessuali, per fortuna Dio, però, punisce la Chiesa. Una volta stavo chiamando un mio amico, proprio dal paradiso, per avvertirlo che le leggi impostate dall'uomo sulla Terra sono fasulle, fittizie, sono menzogne create per creare una religione fantoccio e che le vere leggi sono ben altre. Gliele volevo elencare, ma Dio non mi diede neanche il tempo di prendere il cellulare che mi fermò dicendo: "non puoi". Due parole che mi immobilizzarono, d'altronde due parole criptiche di Dio equivalgono a centomila frasi sensate di un uomo vivo. E così rimasi sospeso nel nulla, tra l'indecisione, il dubbio e la volontà di mostrare la verità e dare una sveglia all'umanità. Però Dio non vuole. Non vuole che sia così. Gli chiedo, spesso, dove ho peccato e perché sono omosessuale, perché ho fatto una tal mossa in modo da rendermi un emarginato lontano da tutti e perché mi sento in colpa per essere diventato ciò che sono in realtà sempre stato, ma inconsciamente. Ma lui è sempre muto, lo sa, ma non vuole dirmelo.
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