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Pirati nel Mar Ligure, oggi
In una calda serata del luglio 1657 la popolazione della città di Campeche festeggiava con danze, canti, scoppi di mortaretti, una processione e una messa di ringraziamento l'uccisione del feroce e crudele pirata Olonese, che aveva a lungo seminato il terrore nel mar dei Caraibi. Ma travestito da soldato spagnolo, il nerboruto e largo di spalle François Nau(d), francese di Les Sables d'Olonne nel Poitou e perciò noto come l'Olonese, si godeva indisturbato le celebrazioni per la sua morte.
Sorpreso da un violento fortunale e trascinato con la sua nave fino ad arenarsi su una spiaggia di fronte alla piazzaforte caraibica, Naud era stato costretto a ingaggiare un'impari battaglia con i soldati della guarnigione, vedendo cadere i compagni a uno a uno. Circondato infine dalla compagine nemica, affondò la spada nel ventre di un nemico, venendo irrorato da capo a piedi da uno zampillo di sangue, per poi essere a sua volta ferito in maniera leggera. Guidato allora dall'istinto, gridò e si lasciò crollare a terra come se l'affondo l'avesse trapassato e l'armigero iberico esultò del proprio trionfo senza l'accortezza di accertarsi che il pirata fosse davvero defunto e assestargli, in caso contrario, il colpo di grazia.
Più tardi, rimasto solo sul campo di battaglia, il filibustiere si rialzò, raccolse le armi e le vesti di un caduto e si recò in città sotto mentite spoglie. François Nau(d) detto l'Olonese sfruttò allora i giorni di licenza concessi in premio agli uomini della piazzaforte per aggirarsi indisturbato, mentre la ferita, fortunatamente non infettatasi, già iniziava a guarire. Cercando di farsi notare il meno possibile, trascorse tre giorni senza essere riconosciuto e nel frattempo contattò un gruppo di schiavi, promettendo di liberarli in cambio del loro aiuto. Ottenutone l'assenso, s'introdusse nottetempo nell'edificio in cui dormivano, ne uccise i guardiani e li fece fuggire. Infine partì con loro verso la Tortuga su una piccola imbarcazione.
Alla Tortuga la sua miracolosa riapparizione spinse una ventina di fratelli della costa a dichiarargli fedeltà. Insieme a costoro e agli ex schiavi, formò quindi un nuovo equipaggio col quale riprendere il mare in direzione di Cuba.
Navigavano da una settimana con la piccola e inadatta imbarcazione acquistata alla base di partenza, quando all'orizzonte apparve un grosso peschereccio. I pirati l'assaltarono col favore delle tenebre di una notte senza luna. I pescatori furono sgominati nel giro di pochi minuti e i superstiti sbudellati uno a uno da Naud in persona e gettati in mare. Ora l'Olonese era contento, disponeva di uomini in gamba e ben temprati e di un più grande battello.
E alcune settimane dopo gli giunse una succosa notizia: il governatore dell'Avana aveva allestito una piccola fregata, con dieci bocche da fuoco e ottanta uomini d'equipaggio incaricati di catturare i feroci avventurieri. Costui era tanto certo della facile realizzazione del proposito, che aveva perfino già mandato a bordo il boia per impiccarli seduta stante dopo la loro resa. Impossessarsi di una nave da guerra, pensò allora François Naud, avrebbe rappresentato un decisivo passo avanti nella sua carriera di filibustiere...
... Chiamato dalla madre per la cena, il diciassettenne William Stella interruppe la lettura del libro sui pirati, una recente spettacolarizzazione romanzata ispirata a un classico italiano degli anni '50, e rimase qualche momento a sognare a occhi aperti. Dotato di fantasia sfrenata e di grande capacità d'immedesimazione, s'immergeva con estrema facilità nelle avventure dei personaggi di cui leggeva per studio o per diletto.
Di volta in volta era stato Alessandro il macedone alla conquista di un immenso impero; Robin Hood in lotta coi fedeli compagni contro il perfido sceriffo di Nottingham; Bartolomeo Colleoni, capitano di ventura nell'Italia quattrocentesca e mille altri personaggi. La sua precedente lettura era stata il Don Chisciotte della Mancia e per un'intera settimana si era immaginato in viaggio cavalleresco per le terre di Spagna.
Tuttavia, mai nessuno prima l'aveva affascinato tanto quanto l'Olonese e i vari Morgan, Capitan Kidd, Ravenau De Lussan o Barbanera, forse anche perché condizionato dalla recente visione del nuovo Johnny Depp Capitan Sparrow in Pirati dei Caraibi. Così, appena terminato il pasto, si ributtò a divorare il libro e non si fermò finché non l'ebbe terminato, intorno alle tre di notte.
Il giorno dopo fantasticava ancora sulle avventure dei pirati, rileggendo pure qualche passo per meglio imprimersi nella mente le loro gesta, quando ricevette una telefonata dal suo amico Mattia Vigna. E quando questi gli propose di raggiungerlo l'indomani per farsi un giro sullo yacht acquistato dal padre in primavera, William venne folgorato da un'idea.
... Farsi cavaliere errante, ed andarsene per il mondo, con le sue armi e il suo cavallo, in cerca d'avventure, esercitandosi in tutte le virtù...
Il mattino successivo, terminata la colazione nel bar di proprietà dei genitori, attraversò di gran carriera gli ottocenteschi portici savonesi di Via Paleocapa e arrivò in darsena, dove si mise alla ricerca del Dalia, il magnifico ventuno metri a bordo del quale l'amico l'attendeva, ansioso di mostrargli quanto già fosse bravo a condurre benché ancor privo di patente nautica.
William Stella e Mattia Vigna si conoscevano fin da quando i genitori li avevano iscritti seienni nella scuola calcio della società La Torretta, di cui ben presto erano diventati autentiche colonne, in qualità di trequartista l'uno e di centrocampista l'altro. Da allora William, spinto al calcio dal padre e dai fratelli maggiori e Mattia, mosso invece solo dalla passione, erano diventati compagni inseparabili di gioco, di studio e di divertimenti.
Se William poteva dirsi benestante grazie al bar assai ben avviato in centro, Mattia Vigna era addirittura ricco di famiglia. Figlio di due dentisti e nipote d'un notaio, il quasi diciassettenne Mattia viveva in una splendida villa sui 500 metri quadri più giardino ai Piani di Celle.
I suoi genitori sarebbero rimasti negli Stati Uniti per tutto luglio e lui si sentiva libero di fare ciò che gli pareva. Certo, gli rimaneva pur sempre tra i piedi la sorella ventunenne, alle cui attenzioni era stato affidato, ma i suoi vecchi erano dei poveri illusi se pensavano sul serio che lei avrebbe potuto tenerlo a freno. Oltretutto la sorellona usciva da poco tempo con un nuovo ragazzo e aveva altro per la testa che star dietro a un moccioso. Quanto alla nonna, da quando era rimasta vedova non stava più molto bene e si limitava a invitarlo a pranzo la domenica.
Per William, la cui sciolta parlantina avrebbe convinto un esquimese ad acquistare un impianto per la produzione di neve artificiale, fu quindi perfino facile coinvolgere l'amico nell'impresa piratesca. Due giorni dopo il Dalia, nel frattempo ribattezzato con tanto di pennello "Folgore", fu pronto a salpare. Agli ordini dei due, proclamatisi, dopo inevitabili discussioni sui diritti di precedenza, capitano e secondo di bordo, in qualità l'uno d'ideatore del piano e l'altro di proprietario del naviglio, c'erano ben sei ragazzi, compagni di scuola o di squadra della coppia. Alle 9 si sollevò il ponte levatoio all'ingresso del porto, dinanzi alla medioevale Torretta, ultima vestigia delle antiche mura cittadine, e gl'intrepidi filibustieri si misero in viaggio.
William era un bel ragazzo, alto di statura, ben piantato e dai tratti del viso dolci. Aveva intensi occhi neri sormontati da ciglia femminee, sopraciglia sottili e arcuate e corti capelli scuri. Invece Mattia aveva un volto vagamente disarmonico e una conformazione fisica bassa e massiccia, vacui occhi grigio celeste, sopracciglia cespugliose e una zazzera bionda tenuta di regola nascosta sotto l'onnipresente berrettino da baseball. Quest'ultimo, convinto all'impresa dalla speranza di conquistarsi i suoi cinque minuti di celebrità, aveva contribuito procurando pure abiti adatti per tutti: pantaloni neri aderenti, fusciacche vivacemente colorate, abbondanti camicie bianche a maniche lunghe e bandane. Inoltre per buon peso William si era sistemato una benda sull'occhio sinistro. Ufficialmente i due non rispondevano più al proprio nome e cognome, ma erano François l'Olonese e il suo braccio destro Michele il Basco.
Quanto agli allegri compagnucci, la sorpresa principale era la presenza del castano e pallido Genzian Kuci, albanese immigrato ancora bimbetto in Liguria con la famiglia, di media statura ma dotato di un fisico solido e possente da torello. Grazie alla sua forte personalità era da ritenere a tutti gli effetti un loro pari. Gli altri invece si limitavano per lo più ad andare a ruota dei caporioni. E così Genzian fu eletto d'ufficio quartiermastro, mentre i restanti cinque rimasero marinai semplici.
... La fortuna va disponendo dei nostri casi meglio di quanto potremmo desiderare. Ecco lì, infatti... trenta o più smisurati giganti, ai quali intendo dar battaglia...
Dopo aver girovagato alcune ore qua e là lungo la riviera ligure in un mare limpidissimo sotto il cielo blu, la prima preda prescelta fu uno yacht più piccolo del loro, un dodici metri, trasformato per l'occasione dalla fervida fantasia di William in un possente tre alberi, carico dell'oro delle Americhe. Partito dal porticciolo di Finale Ligure, fu incrociato un miglio marino al largo, di fronte all'abitato di Borgio Verezzi.
"Cosa ne dici di quella barca, Mattia?" Chiese il capitano.
"Direi che è perfetta, Willy. È ferma all'ancora completamente isolata, un bersaglio facile."
"Bene, bene, domani tutti parleranno dei misteriosi pirati del mar Ligure. Non vedo l'ora."
Richiamarono l'attenzione dei proprietari, un piccolo imprenditore torinese sessantenne con la moglie, intenti l'uno a pescare e l'altra a prendere il sole, e accostarono l'imbarcazione con una scusa. Quindi, sotto lo sguardo dapprima perplesso e poi scioccato dei due, sei di loro, guidati da William e Genzian, salirono a bordo al grido di "All'arrembaggio, miei prodi." Per parte sua Mattia restò a bordo, forse perché ancora unico in grado di pilotare, e si limitò a esibire un fucile dal ponte della Folgore.
William in persona, con l'espressione truce e la benda sull'occhio, si piazzò dinanzi ai torinesi, seguito da Genzian. I due ragazzi erano armati con le altre due armi da fuoco che si erano procurati: uno dei fucili da caccia sottratti al signor Stella e la rivoltella regolarmente detenuta da un secondo genitore. Alle loro spalle uno dei giovani marinai, il piccolo e riccioluto Gabriele Rosetta, riprendeva con la webcam, intendendo Stella e Vigna riversare il tutto su internet.
William s'inchinò platealmente di fronte ai torinesi fingendo di scappellarsi e disse:
"Buon giorno egregi signori. Io sono il pirata Olonese e questo galeone è requisito in nome dei fratelli della costa e della corona d'Inghilterra."
L'uomo guardò a occhi sbarrati prima l'uno, dal fare a un tempo arrogante e sornione, e poi l'altro, che pur sorridendo gli puntava addosso il fucile. Sua moglie appariva chiaramente terrorizzata, lui però si sentiva più che altro incredulo. Che assurdità era mai quella? Erano armati, eppure doveva per forza trattarsi di uno scherzo, come poteva essere diversamente? Di fronte a sé aveva senza ombra di dubbio dei semplici adolescenti. In particolare quello armato di cinepresa pareva quasi un bambino. Cosa significava dunque tutta quella sceneggiata?
"Dico, ma siete ammattiti? Cosa diavolo avete in mente?" Chiese infine, facendosi coraggio.
"Faccia silenzio. Non mi costringa a darla in pasto ai pescecani." Rispose William, freddo e deciso.
L'uomo, convinto di aver a che fare con dei pazzi più dall'incongrua risposta che dalla situazione in sé stessa, ritenne opportuno obbedire e non aprire più bocca. Quel ragazzo, uscito di sicuro da un ospedale psichiatrico, poteva essere pericoloso per davvero.
Ottenuta l'attenzione, William Stella si divertì un mondo a spiegare per filo e per segno con aria truce i propri presunti propositi, mentre l'uomo lo ascoltava farneticare con crescente inquietudine.
"... E voi cani spagnoli scoprirete presto la nostra forza. Noi corsari metteremo a ferro e fuoco il mar dei Caraibi e poi assalteremo la nuova Maracaibo." Concluse infine il neo Olonese, soddisfatto.
Genzian Kuci nel frattempo si era incaricato di legare le mani dietro la schiena ai torinesi, senza peraltro stringere troppo, mentre gli amici ficcavano il naso un po' ovunque. In tutto si trattennero a bordo una ventina di minuti, nel corso dei quali misero a soqquadro l'imbarcazione e fecero un bel po' di danni, mettendo anche fuori uso cellulari e ricetrasmittente. Rubacchiarono a mo' di trofeo qualche oggettino e finalmente se ne andarono.
"Forza ragazzi, rotta verso la Tortuga." Esclamò ad alta voce William l'Olonese, ben compreso nella parte, mentre risaliva sulla Folgore.
"Come scusa?" Chiese il Quartiermastro Genzian, assai dubbioso.
"La Tortuga era il covo dei pirati nei Caraibi, è famosa." Gli spiegò il più colto Mattia.
"Ah, ok, ho capito. E dov'è che andiamo, allora?"
"Alla Gallinara, Genzian. Sarà quella la nostra Tortuga." Concluse William, mentre gli occhi già s'illuminavano all'idea, riferendosi all'isoletta ligure al largo di Albenga, guarda caso dalla forma che ricorda la silouette di una tartaruga, in spagnolo, per l'appunto, tortuga.
"Io veramente stasera dovrei tornare a casa." Obbiettò Gabriele.
"Sciocchezze Lele. Chiama i tuoi genitori e digli che stanotte resti a dormire in porto sulla barca di Mattia."
"Ma non so se me lo permetteranno."
"Nel caso passameli. Ci penso io a convincerli, sta tranquillo."
"Alla Tortuga dunque, miei prodi." Confermò quindi Mattia il Basco, in qualità di proprietario.
I torinesi guardarono impotenti lo yacht di quegli squinternati allontanarsi verso ponente, con ancora nelle orecchie l'ultima frase udita e cioè il "forza ragazzi, rotta verso la Tortuga". Poco dopo si liberarono e tornarono in fretta e furia in porto a denunciare l'aggressione, giungendo dai carabinieri a metà pomeriggio.
L'ossuto brigadiere di Finale che li ascoltò, faticò non poco a prestar fede al racconto. Di primo acchito aveva addirittura pensato che i tipi dessero i numeri, talmente assurda gli pareva la storia. Tanto più poiché, come provvide a verificare, non risultavano registrate imbarcazioni col nome di Folgore. Siccome però i due apparivano sconvolti, si lasciò convincere ad accompagnarli in porto, dove in effetti costatò danni all'imbarcazione. Qualcosa era dunque accaduto, sempre che i gianduia non avessero fatto tutto da sé in preda a un raptus, non poté fare a meno di sospettare. A ogni modo il brigadiere avrebbe dovuto effettuare qualche indagine. Intendeva tuttavia meditarci sopra bene e occuparsene sul serio soltanto a partire dall'indomani, con calma e soprattutto con prudenza. Nel frattempo zitto e mosca, onde evitare di trasformarsi nello zimbello della caserma.
A fugare ogni dubbio, giunse però una denuncia circa una seconda imbarcazione assalita da sedicenti pirati.
Nel corso della mattinata successiva, dal porto di Savona partiva il traghetto per visitare il santuario dei cetacei. Il mar Ligure, forse perché più profondo rispetto alla media del Mediterraneo, attira da sempre molti di questi grandi e fascinosi mammiferi, tanto che in quelle acque si possono, pare, incontrare perfino capodogli.
Un gruppo di circa trenta quaranta turisti era già assiepato in attesa quando, puntuale all'appuntamento con l'imbarco, giunse Dennis Lavagna con la sorellina e i genitori. Al contrario della quasi totalità dei partecipanti alla gita, la famiglia Lavagna viveva in città. Era stato lui, da sempre affascinato dai cetacei, a convincere i familiari alla gita.
Dennis aveva sorprendenti occhi verde smeraldo e teneva i capelli, castano chiari, piuttosto lunghi, trattenuti sulla nuca da un ampio fermacapelli. Era il padre a farglieli portare così, sulla base dei propri gusti. Il ragazzo tuttavia non era per nulla dispiaciuto di tale look, di cui si era anzi appropriato con piacere. Aveva quattordici anni, ma essendo assai minuto per la sua età e avendo per giunta un bel faccino ancora fanciullesco, ne dimostrava un buon paio di meno. Del resto neppure la sua riccioluta e graziosissima sorellina Lucia pareva già di nove anni.
Appena aprirono i portelli, Dennis s'intrufolò con agilità ed entusiasmo in mezzo alla folla e fu tra i primi a salire a bordo. Si trovò così un posto di osservazione privilegiato in prima fila. I familiari si accomodarono invece più centralmente, in terza fila. Appena partiti l'adolescente si concentrò sul mare circostante, ben deciso a non perdersi alcuna apparizione. Assai meno paziente, la bambina prese a gironzolare annoiata.
Dopo un'ora circa di navigazione, non furono però balene o delfini a incrociare il loro percorso, ma un altro genere di mammifero, bipede e assai meno adattato all'ambiente marino. La piccola mangiucchiava distratta una merendina in piedi sul ponte e il fratello osservava col binocolo davanti a sé, quando alcuni botti secchi fecero sobbalzare entrambi. Sorpreso, Dennis si guardò intorno e alla sua destra vide uno yacht puntare dritto verso di loro.
I novelli pirati stavolta avevano scelto un bersaglio più ambizioso. Nonostante il loro video fosse già cliccatissimo, le imprese del giorno precedente a quanto pareva non avevano suscitato l'interesse dei mass media, almeno a giudicare dal silenzio dei giornali radio locali sull'argomento. Non convinto, mentre gli amici giocavano agli esploratori sulla Gallinara, di prima mattina William si era recato con Gabriele Rosetta in gommone ad Albenga e aveva acquistato speranzoso il Secolo XIX, ma con sua somma delusione non se ne faceva cenno neppure lì. Ormai che c'erano trovavano però inutile affrettarsi alla "Tortuga". Passeggiavano meditabondi per il turrito e fascinoso borgo medioevale, quando William aveva avuto la pensata di assaltare un traghetto carico di turisti, nella convinzione di far finalmente parlare di tutti loro, donando così la fama a se stesso e rendendo di nuovo celebre il nome del grande Naud l'Olonese.
"Andiamo Lele, si torna a bordo. Vedrai che bello scherzo combiniamo stavolta." Aveva annunciato con allegria. Ciò detto si era incamminato di buon passo, senza neppure prendersi il disturbo di verificare se il compagno lo stesse seguendo.
A Gabriele non era restato quindi che trotterellargli dietro, vagamente preoccupato. Conosceva l'amico a sufficienza per sapere che quando si comportava così non prometteva nulla di buono.
... Poiché le cose umane... non sono eterne...
venne il momento del suo termine quando egli meno se l'aspettava...
Per convincere il comandante del traghetto a fermarsi, i giovani filibustieri spararono alcuni colpi di fucile sulla fiancata, quindi accostarono l'imbarcazione. Dennis si sporse dal suo posto e fissò gli assalitori con tanto d'occhi. Conosceva di vista alcuni di quei ragazzi. Due di loro li aveva incrociati sovente nei corridoi della sua scuola e ne sapeva il nome, inoltre gli pareva di ricordarne pure un terzo, anche se di quest'ultimo era meno certo. Avevano appena terminato il terzo anno e lui, primino, non aveva mai rivolto loro la parola. Erano però considerati tra ragazzi i più tosti dell'istituto e gli sarebbe piaciuto farci amicizia. In compenso ne conosceva un quarto relativamente bene: Genzian frequentava come lui la palestra di karatè. Malgrado fosse più grande, muscoloso e forte di lui, talvolta l'istruttore li aveva uniti per svolgere qualche esercizio. Spesso avevano scambiato qualche parola e lo aveva trovato simpatico, nonostante fosse poco loquace e tendesse un po' troppo a tirarsela e a provocare il prossimo. Dennis d'altronde era estroverso, arguto e sfrontato e si rapportava bene quasi con chiunque. In effetti i due erano in rapporti abbastanza amichevoli.
Incuriosito e divertito dal comportamento di quei ragazzi, d'impulso prese la cinepresa che si era portato dietro per filmare i cetacei e anziché i delfini riprese loro.
Come al solito due della banda restarono di guardia a bordo. Gli altri sei invece balzarono con agilità sul traghetto, esibendo facce truci d'ordinanza e sparando perfino un paio di colpi in aria. Un impulso, quest'ultimo, rivelatasi però subito sbagliato, perché stavolta l'atto scatenò un'improvvisa ondata di panico. Grida di paura si alzarono da vari punti del traghetto e alcuni turisti cominciarono a correre a casaccio.
Dennis cercò di farsi largo per raggiungere la sorellina e prenderla per mano, ma la calca glielo impedì e con sgomento, qualche attimo dopo, vide la bambina cadere a terra, travolta e calpestata da alcune persone in fuga. Impallidì e accorse spaventato, mentre da un'altra direzione arrivavano anche i suoi genitori, e la trovò esamine al suolo, che pareva morta.
"Oh no, no!" singhiozzò disperato, mentre alle sue spalle la madre, sconvolta, lanciava un urlo atroce. Poi Dennis alzò lo sguardo e aggiunse, con le lacrime agli occhi:
"Giuro che questa me la pagate, razza di stronzi, e chi se ne frega se passo per spione."
Nel frattempo gli assalitori, presi alla sprovvista dalla reazione della gente alla loro bravata, si stavano spaventando quasi più degli assaliti. In mezzo a un tale casino si sarebbe potuto verificare qualsiasi guaio, compresero scioccati. Parendogli la situazione oramai ingestibile, dopo qualche attimo d'indecisione William, Mattia e Genzian stabilirono quasi all'unisono di battere in ritirata. Risalirono mogi, mogi a bordo della Folgore insieme ai compagni e si allontanarono in fretta e furia, diretti al loro covo.
I carabinieri, coordinati dall'ossuto brigadiere finalese Benattini, ormai sapevano tutto dei delinquenti, indemoniati aggressori di almeno tre imbarcazioni lungo la costa ligure. Grazie alla preziosa testimonianza del giovane Dennis Lavagna, avevano nome, cognome e indirizzo di alcuni dei partecipanti alle azioni criminose. Possedevano inoltre foto e immagini dell'imbarcazione stessa. E messi a confronto i dati del Dalia, appartenente alla famiglia di uno dei responsabili, con le riprese fatte al Folgore, non ebbero alcun dubbio di trovarsi di fronte al medesimo cabinato. E anche grazie a ciò, quando alcune ore dopo giunse alla guardia costiera la segnalazione di uno yacht indebitamente attraccato presso l'isola Gallinara, proprietà privata a cui era vietato l'accesso, lo identificarono con facilità.
In breve due motovedette della guardia costiera e un motoscafo dei carabinieri fecero rotta verso la Gallinara. Lì giunte, le forze dell'ordine sequestrarono lo yacht, recuperarono il maltolto e trassero in arresto gli abbattutissimi pirati. Una pila alta così di capi d'accusa pendeva sulle loro teste.
Il giorno successivo i signori Stella, i signori Kuci, i Rosetta e gli altri familiari presenti in città poterono incontrare i loro figli e dirgli cosa pensavano della loro genialata. E il giorno ancora successivo anche i Vigna rientrarono, come si può ben immaginare assai arrabbiati e sconvolti, dagli Stati Uniti. Brutti momenti attendevano i prodi fratelli della costa.
E a William intanto rimordeva la coscienza. Si era talmente divertito nel corso dell'avventura! Ora invece il ricordo lo angustiava. Ah, se solo non fosse successo nulla, pensava. Svegliarmi domattina e scoprire che l'incidente alla bambina è stato solo un brutto sogno. E invece ormai era fatta, non si poteva tornare indietro e cancellare l'errore. L'adolescente stava male dentro.
Per fortuna, con sollievo non solo suo e dei familiari ma anche dei milioni di spettatori che avevano seguito gli eventi attraverso i tg, quell'ultimo pomeriggio la piccola, graziosa Lucia Lavagna riprese finalmente conoscenza, dopo essere stata a lungo in bilico tra la vita e la morte. Aprì gli occhi. Volse quindi lo sguardo tutto intorno a sé, lo fissò infine sui genitori e sul fratello e gli sorrise. Poco dopo si riaddormentò, ma il suo non era più un sonno comatoso e alcune ore dopo poté essere dichiarata fuori pericolo.
E così, tra parentesi, per i novelli pirati venne meno il rischio di essere imputati per omicidio.
Quarantotto ore dopo William Stella, in qualità di ideatore e dunque principale responsabile degli eventi, inviò a nome di tutti le più sincere scuse alla famiglia Lavagna.
In proposito aveva ancora bene in mente le parole pronunciate dal brigadiere Benattini. Questi alla fine aveva compreso di non trovarsi dinanzi a dei criminali ma soltanto a nove immaturi stupidoni, benché non privi d'intelligenza. E così, quando William si era difeso, sostenendo di essere vittima di un equivoco perché loro stavano solamente scherzando, gli aveva risposto nella seguente maniera:
"Vedi, noi non siamo unici al mondo, ragazzo mio. Non possiamo pretendere di fare tutto quello che ci passa per la mente. Qualunque azione intraprendiamo avrà sempre conseguenze su qualcuno, che potrei essere io, tu stesso o chiunque altro. E alcune di queste conseguenze potrebbero rivelarsi tragiche. Occorre responsabilità. Se quella bambina fosse morta, sarebbe stata interamente colpa tua e l'avresti portata sulla coscienza per tutta la vita, ricordatelo."
Quel carabiniere aveva ragione, ora lo capiva. Non era stato animato da cattive intenzioni, tuttavia si era divertito a spese altrui come se il suo prossimo non contasse. Sì, era stato davvero stupido e incosciente a far avventurare tutti in quella folle impresa, spiegò per lettera, contrito e addolorato, ai signori Lavagna, ma non sarebbe accaduto mai più.
E per il resto se la sarebbero vista giudici e avvocati in tribunale.
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l'autore Massimo Bianco ha riportato queste note sull'opera
Il prologo ambientato nel 1657 si basa sul libro di Mario Monti intitolato "I Pirati", mentre i titoli dei vari paragrafi sono passi del "Don Chisciotte" di Cervantes
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- Buone feste anche a te, Fernando e grazie per questa tua ennesima testimonianza positiva verso i miei scritti, che mi riempie di soddisfazione. Dici bene: per ragazzi e anche, se non soprattutto, per adulti.
- Lettura piacevole e avvincente. Un bel racconto d'avventura per ragazzi e non solo che mi ha riportato alle vecchie letture dei vari Tom Sawyer, Hukleberry Finn, L'isola del tesoro e tante altre che ricalcano il medesimo spirito. Si tratta qui naturalmente di un'avventura in chiave moderna, una sorta di "avventura de noantri", di futuristici quanto improbabili pirati dei nostri tempi, incoscienti quanto fantasiosi adolescenti alle prese con cose più grandi di loro, delle cui azioni non calcolano le conseguenze, così tipico della loro età... Ottima scrittura, come sempre. Racconto ben strutturato, dal lessico variegato e dal contenuto interessante.
P. S. Colgo l'occasione per augurarti buone feste.
- Grazie, ma... così m'imbarazzi. Manzoni addirittura, è veramente troppo. Vuoi vedere che i miei nipotini studieranno a scuola I pirati del Mar Ligure? Ah, ah.
Anonimo il 21/09/2011 11:43
Affascinata, leggerti non solo è un piacere ma ogni volta mi viene voglia di paragonarti al Manzoni. Infatti nn usi mai le stesse frasi ed entri sempre nel dettaglio, come piace a me.-Sei un grande.
- Raffaele: un grazie anche a te, davvero troppo gentile, spero prossimamente di poterti donare altri minuti piacevoli. E qualunque libro William legga, speriamo che non decida di emularlo!
- Alessandro: grazie per la visita e per l'apprezzamento.
Ma perchè il nome William Stella ti ha fatto capitombolare dalla sedia? A me questo nome non dice nulla, è forse qualcuno noto?
- E chissa' quale altro libro si leggera' William, agli arresti domiciliari... che racconto stupedo! Massimo sei un maestro! Complimenti! Grazie per questi venti minuti di avventure che mi hanno incollato al video... cerco un solvente con le due mani libere!!!!!
Anonimo il 14/09/2011 10:49
Ti invidio perché hai un vocabolario esteso, mai ripetitivo, tutto scorre alla perfezione .. l'unica pecca che ho trovato in questo racconto è il nome di uno dei pirati moderni: "WILLIAM STELLA", mi ha fatto capitombolare dalla sedia
- Risposta tardiva perchè non mi aspettavo nuovi commenti a oltre un mese dall'uscita, si vede che lamentarsi a volte serve. Ora vado a corregggere le sviste che mi hai segnalato. Circa l'abuso del verbo parere: io in genere evito correzioni postpubblicazioni perchè causano rimaneggiamenti frettolosi. Resomi conto che il brano era troppo lungo - io sono letterariamente contrario al corto stile talgio web e qualcuno giustament esostiene che sono più adatto al cartaceo - ho eliminato un assalto a un'imbarcazione e poi ho introdotto una frase di raccordo, pag. 4 righe 12 e 13 e mi è scappato il quarto "parere", almeno quello ora lo sostituisco. Leggo molto sì, angloamericano e altro tra cui anche, se non soprattutto, sudamericano. Uso i polisindeti per non eccedere nella brevità delle singole frasi, non bisogna esagerare in lunghezza ma non mi paice neppur eeccedere con i punti. È un grazie doppio il mio per la tua attenta lettura scopo dello scrivere è dare momenti di piacere al lettore e se mi dici di non avere sprecato il tempo ne sono felice, scopo del pubblicare sul web è anche capire come i tuoi pezzi sono visti dal lettore per eventualmente migliorarsi, quindi letture come le tue sono preziose. Se in futuro ti annoiassi e volessi passare un'altra mezz'oretta in mia compagnia, in catalogo ritengo di avere un 3 o 4 racconti anche migliori di questo. Salutoni.
Anonimo il 15/08/2011 17:42
Volevo farti osservare alcuni spunti di riflessione:
1- un impari battaglia: non dovrebbe essere un(a) impari battaglia, con l'apostrofo?
2- un classico degli anni 50': anni '50, 19(50)
3- caraibi: Caraibi
4- Nella quarta pagina ripeti il verbo "parere" ostinatamente.
5- Spesso fai un uso straniante dell'anacoluto
È limpida la tua vena di raccontare, e in questo tuo impulso alla narrazione riesci a coinvolgere il lettore. A differenza di molti altri che non hanno idea di come si concepisca un racconto, tu hai ben chiara la trama che devi sviluppare, costruendo i tuoi personaggi in modo preciso e caratteristico. Sei anche un grande lettore, e si vede. C'è un vastissimo richiamo alla letteratura angloamericana nonché spagnola, ma il tuo apporto al testo, ciò che ti è proprio, non è certo trascurabile. Anzi.
Devo dire, altresì, che il tuo stile non mi entusiasma. Oltre alla ripetizione ostinata di alcuni verbi ( esistono i sinonimi ), c'è anche una pedissequa costruzione a polisindeto che, alla lunga, innervosisce ( questo ovviamente vale per me!)
Onestamente è il primo racconto che leggo di te ( interamente ). N'è valsa la pena! Scusami per gli appunti, sono fatto così! Buon ferragosto.
- Il tuo ragionamento non fa una "sgrinfia". Volevo specificare che ho scritto che le tue cose sono abbastanza lette perché sono più lette delle mie. Naturalmente ho visto autori più letti di te e me messi assieme. E ho trovato anche cose visitate 1500volte e stracommentate, ma quando vado a leggerle mi chiedo "ma perchè tutto questo entusiasmo?".
CMQ se decidi di andare all'arembaggio di nuovi siti grondanti di tesori narrativi... fammi avere la mappa che riconduce ai tuoi lavori.
- P. S. COMUNQUE UN MINIMO DI RISVEGlIO GIA' C'È RISPETTO A GIUGNO E LUGLIO QUANDO POESIERACCONTI PAREVA IN STATO COMATOSO. IO PER0' PER NON RISCHIARE DI BRUCIARMI DEL MATERIALE PROVERO' A PROPORRE NUOVI SCRITTI SOLO TRA UN PO' DI SETTIMANE, TRA CUI UNO IDEATO PER LA PRIMA VOLTA ESPRESSAMENTE PER POESIERACCONTI, sempre che il risultato mi soddisfi e buone vacanze a tutti quelli che hanno avuto l'opportunità di farle.
- Bruna Lanza. Un grazie anche a te. Capita a tutti, credo, di dover riscrivere i comenti 2 o 3 volte, un difetto di funzionamento del sito, presumo. Concordo con te ma vorrei fare una precisazione, penso che ogni nuova generazione sia un po' superficiale, poi però si cresce, per fortuna, grazie anche alle proprie esperienze. Il vero problema di oggi sono i media e internet che amplificano certi comportamenti di cui nel passato nulla si sapeva e che quindi non ricevevano neppure "pubblicità" e che suscitano voglie esibizionistiche che prima non potevano essere soddisfatte. In compenso riversando le proprie imprese su internet diventa più facile scoprirle e, se è il caso, punirle. Salutoni.
- Pepe G: prima di tutto ti ringrazio della visita e dell'apprezzamento. In effetti scrivendo spesso facciamo fi troppo presto a eliminare i nostri personaggi, stavolta tenevo a concludere il racconto senza cadaveri, non ce n'era d'altronde necessità.
Quanto ai commenti 0, fa parte del gioco, è vero, però attualmente poesieracocnti mi pare poco frequentato, mentre posto questo commento ci sono 58 racconti presenti in home page contro i circa 100 del passato, pochissimi sino di narrativa per cui amando io la narrativa c'è pochissimo che abbia voglia di leggere e se non si legge e commenta non si ricevono letture e ecommenti, a parte che qui mi pare che la maggior parte degli autori non leggono proprio i lavori altrui, basti vedere la sfilza di 0, 1, 0, 1, 2, 1, 2, 0 ecc commenti che trovi tra i vari scritti altrui, tu dici che i miei scritti sono letti, al momento gli ultimi due, però sono fermi rispettivamente a quota 84 e 65 quando altri superano le 200 letture. Io ho momentaneamente sospeso le pubblicazioni sperando in un rapido risvelgio postestivo di poesieracconti, perchè "altrove" di commenti ne ricevo di più. Salutoni.
- massimo ho letto con interesse, questo è il terzo commento che posto, spero che il sito lo accetti, il racconto mi è piaciuto, parla della difficoltà delle nuove generazioni ad accettare le conseguenze dei propri errori, pare che manchi in loro il senso di responsabilità, sono di una superficialità incredibile, come se la vita fosse solo un eterno gioco, e basta riporre la scatola per cancellare i danni arrecati.
- Ciao Massimo è un po' che non ti faccio visita. Il racconto è veramente fantastico. Follia di ragazzi contrapposta alla realtà ordinaria. Il soggetto è degno di un film.
Per essere sincero pensavo che avessi deciso di uccidere una povera bambina sull'altare del dramma narrativo. Ma per fortuna l'hai salvata.
Anch'io ho alcune cose a 0 commenti... fa parte del gioco. Personalmente tengo d'occhio anche il numero di letture, mi sembra un dato importante. I tuoi racconti mi sembrano abbastanza letti.
Anonimo il 07/08/2011 19:00
Massimo, è successo anche a me, una volta, tanto tempo fa. Per un arcano motivo nessuno mi commentava il racconto, o forse era un aforisma... mi vergogno di dirlo, l'ho cancellato. Per me è inamissibile che un racconto così ben strutturato non riceva commenti. La sola spiegazione deve giocoforza stare nella lunghezza... ma certo che quattro paginette non possono essere un ostacolo, diamine. ciaociao, torna con noi, almeno in parte, a tempo ridotto ma torna.
- Invece avevi ragione. È un finto fatto di cronaca, che in effetti ho inventato di sana pianta. Per quanto ne capisco dei tuoi gusti ero sinceramente convinto che ti sarebbe piaciuto e sono lieto di non aver sbagliato, spero sempr eche la gent etragga del piacere dal legger ele mie creazioni. Ti ringrazio, anche per aver cancellato quello spiacevole 0 commenti che non mi dà da pensare circa la mia permanenza nel sito. Salutoni
Anonimo il 07/08/2011 15:29
Letto tutto non mi rimane altro che confermare le prime impressioni che sono risultate esatte, alla fine. Non immaginavo però si trattasse di un fatto di cronaca: credevo proprio fosse stata la tua fervida fantasia ad immaginare tutta la storia. Ciaociao, Massimo. Un bel racconto davvero, meritevole di nota.
Anonimo il 07/08/2011 12:14
Ho iniziato da poco la lettura del racconto e già mi sento di esprimere note positive. Non solo sul modo di narrare, conosciamo tutti la tua abilità e fantasia, ma anche sul tema che a quanto mi pare di capire riesce ad agganciare episodi del passato piratesco con avventure che probabilmente si delineeranno nei nostri mari. Mi è piaciuto questo aggancio alla lettura di libri del passato con la voglia di vivere le stesse emozioni cavalcando i mari nostrani. ma forse ho capito male... devo andare avanti con la lettura.
Molto interessante ed originale l'uso di passi del Don Chiscotte per presentare i capitoli. ciaociao... bravissimo.
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