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La fonte del cervo
Tantissimi anni fa, che a contarli si impiegherebbe un tempo lunghissimo, i ghiacciai alpini si ritirarono, lasciando profondi solchi sulle pendici delle montagne che avevano ricoperto lungamente. Trascorse altro tempo e le valli si rivestirono di erbe, cespugli, boschi, e si popolarono di animali. Infine venne l'uomo. Non sappiamo chi fu il primo a penetrare nella nostra valle e a stabilirvisi. Né conosciamo il motivo che lo spinse ad abbandonare la fertile pianura per addentrarsi in un ambiente ostile, fatto di lunghi inverni e di brevi estati, dove la natura non concede sconti e punisce severamente anche il minimo errore. Forse fu cacciato dal suo territorio da altri uomini più numerosi e potenti o forse fu a causa della innata curiosità della nostra razza, che ci spinge a voler andare sempre oltre. Probabilmente fu una famiglia o una minuscola tribù quella che si stabilì nella valle, non certo una moltitudine di genti. L'ambiente montano non riesce a mantenere che piccoli gruppi di persone. Pietre e legname non mancavano certo: si costruirono abitazioni. Di ridotte dimensioni, basse, con poche aperture, vicine le une alle altre. Quei costruttori non mancavano certo di ingegno! Sapevano che la natura va assecondata, non combattuta. Passarono gli anni, poi i secoli: il piccolo villaggio mutò di poco. Alcune altre abitazioni per i nuovi nuclei famigliari, qualche stalla e qualche fienile in più. In basso, verso il torrente, un vasto spiazzo soleggiato fu adibito ad orto per tutta la comunità.
Già allora si conosceva la fonte del cervo. Si tramandava che nei tempi passati un cacciatore del villaggio, il più abile e forte, raggiunta una verde radura avesse scorto un grande cervo maschio che si abbeverava ad una sorgente che sgorgava alla base di un masso biancheggiante in mezzo al prato. Teso l'arco con tutta la forza che possedeva, presa accuratamente la mira, il cacciatore scoccò la freccia che colpì il cervo diritto al cuore. Per noi oggigiorno può apparire una inutile crudeltà uccidere gli animali che popolano i nostri boschi (non per tutti la pensano così, però!), ma ai tempi della nostra narrazione l'uccisione del grande cervo fu una festa. Gli abitanti del villaggio salirono tutti alla radura e in breve l'animale fu scuoiato, squartato e suddiviso per ogni famiglia. Il valente cacciatore fu festeggiato con una porzione supplementare e conservò per sé il palco delle corna. Da allora la sorgente fu conosciuta da tutti come la fonte del cervo. Col tempo il poderoso getto d'acqua fu sistemato ad arte, dotato di una cannella in legno di larice che gettava entro un tronco scavato in funzione di abbeveratoio per il bestiame. Infatti i pastori avevano preso l'abitudine di passare dalla fonte quando salivano agli alpeggi all'inizio dell'estate e ne discendevano all'approssimarsi della brutta stagione. Anche gli abitanti del villaggio si recavano spesso ad attingere acqua alla fonte del cervo: molti infatti ritenevano che quell'acqua avesse proprietà curative. Ora la fonte era raggiungibile con un bel sentiero battuto, che in primavera era piacevole percorrere, contornato da erbe odorose e dai tanti e splendidi fiori delle montagne.
Da allora poco è cambiato nella profonda valle: la fonte del cervo è ancora là, a dissetare gli animali e gli uomini, compresi gli escursionisti che transitano per la mulattiera che mena alle cime innevate e scoscese. Sulla roccia sovrastante è stata anche affissa una tavola di abete con impresso a fuoco il nome della fonte, cosicché chi non la conosceva possa serbarne col nome il ricordo.
Ho percorso tante volte quella mulattiera perché amo quella valle e quella fonte dove ho immerso le mani fino ai polsi per poi ritirarle subito dopo, non potendo resistere al dolore causato dall'acqua gelida.
Questo fino all'anno scorso: oggi, nell'anno di grazia 2011 risalgo ancora una volta la valle, penetro l'abetaia sopra al villaggio, già pregustando la sosta alla fonte del cervo per rinfrescarmi il viso e riempire la borraccia. Esco nella radura: il prato è invaso dalle soldanelle, dall'arnica, dalle genziane, dalle viole tricolori, dalle primule ursine e da mille altri fiori in una tavolozza incredibile di colori. È un tale stupendo spettacolo che rimango per un momento quasi privato di ogni altro senso che non sia la vista. Perciò non mi colpisce da subito un'anomalia di cui la mia esperienza del luogo avrebbe dovuto farmi partecipe. Non si ode alcun suono di acqua che scorre! La fonte del cervo è diventata muta. La cannella è asciutta: il legno sta screpolandosi al sole. Anche il tronco cavo è vuoto, salvo un poco d'acqua rimasta sul fondo: forse acqua piovana.
Proseguo il mio cammino con l'animo esacerbato. Non ho timore di trovare altra acqua: in montagna è difficile restare a secco: è che con quella fonte c'era un rapporto particolare, è come se fosse morta un'amica di tanti anni. A mezz'ora di cammino dalla fonte c'è un ovile di una pastora che conosco da sempre. Una donna di una certa età, vedova con una figlia: insieme mandano avanti la pastorizia di un centinaio di pecore e producono ottimi caci, di cui faccio incetta tutte le volte che capito lì. Mi fermo a salutarla e a chiedere notizie sulla fonte del cervo. Prima che la interroghi, lei stessa mi dice: "Ha visto che la fonte è seccata? Due mesi fa ha smesso di buttare: stanno facendo una galleria, là nel fondovalle, per attraversare le montagne. Scava, scava, hanno tagliato le vene d'acqua nel ventre della terra. Quello che è durato per migliaia di anni è stato distrutto in pochi minuti."
È stata l'escursione più triste della mia vita.
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- Bellissima descrizione di luoghi e natura che lascia l'amaro in bocca, purtroppo.
L'uomo persegue i suoi interessi a discapito della natura e sicuramente anche di se stesso, ma ancora molti non danno importanza a questo.
- La cementificazione avanza sempre di più nella nostra povera Italia, ottusa e inarrestabile, per una distorta idea di progresso. Per fortuna c'è il wwf che qualcosa fa, ma certo non basta. Un bel racconto descrittivo e malinconico. Saluti.
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