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Tutte le storie di sesso
Tutte le storie di sesso cominciano con un, o quantomeno lo comprendono, riferimento alla temperatura. "Faceva caldo" oppure "fuori era freddo" oppure ancora "era una calda giornata"...
Questa storia di sesso, perché effettivamente parla di sesso, non fa eccezione.
Anita si sentiva calda. Sentiva il suo cuore bruciare di coraggio e audacia. Il suo cuore era un martello pneumatico di un operai bergamasco. Il suo cuore era un atomo radioattivo, una bomba ad orologeria, un falò sulla spiaggia, un pop corn che scoppietta.
Anita era a scuola, IV liceo Manzoni, scientifico, là in via Rubattino. Teneva le gambe accavallate strette strette e le spalle giù, le braccia morbide sul grembo. Una bic fra le mani in precario equilibrio, lunghi capelli mossi, come onde leggere, scomposti e raccolti da una matita HB.
Anita era acerba, una splendida bozza approssimata e meravigliosa. Come uno schizzo su un blocco, Anita è sinuosa, sfumata e smussata qua e là. Un profilo morbido, come pennellate leggere e veloci. Un paio di labbra regolari, strette a cuoricino e due guance da mangiare. Tenera e invitante come la crescenza sul pane, piccola e maestosa allo stesso tempo.
Anita DeCecchi, Via Asiago 14, scala B, terzo piano.
Anita si sentiva calda mentre l'indice del professore scorreva lungo la pagina, delicato, alla ricerca della vittima quotidiana.
Lui era brutto, obiettivamente brutto. Nessun lineamento piacevole, labbra arricciate e spesso faceva smorfie di insofferenza. Una fronte perennemente corrugata, spalle larghe, voraci di spazio e ingombranti. E quelle mani, pensava Anita, quelle mani sapevano di cattiveria, di malvagità, di violenza inaudita. Ma quello sguardo, lo sguardo che lui le lanciò seminascosto dal registro, la fece sobbalzare. Sentiva i suoi occhi scavarle il volto, il ventre sino a toccare le costole, i seni e la gola. Era un Cerbero dilaniante che la divorava, le azzannava la giugulare.
Anita si accese come benzina, un sole che bruciava.
"Morelli, alla cattedra" disse lui, mentre continuava a guardare Anita. Morelli si alzò, ma il professore neanche la vedeva.
Si ritrovarono due ore più tardi, nello sgabuzzino al terzo piano, per sfuggire al marasma del secondo.
Lei non lo amava ma lui sì. Lei lo sfruttava, era lei a condurre il gioco. Si faceva annusare i capelli quando stava alla lavagna, si stiracchiava con finta ingenuità, come una gatta sul davanzale della finestra. E lui abboccava, con il labbro inferiore che gli pendeva di stupore e rapimento. Lei così attenta nelle mosse, lui così goffo d'imbarazzo. Lei che fingeva innocenza, lui che innocente lo era per davvero e si straziava il cuore di sensi di colpa per il suo desiderio.
Quello di Roberto, il professore, era l'amore per le Beatrici e le Lesbie, un po' sante e un po' puttane, ma donne e così dannatamente belle. Anita sapeva cosa faceva e ne aveva da guadagnare. Spregiudicata, figlia di ricchi, educata ad ottenere ogni cosa con ogni mezzo. Ma con eleganza e discrezione.
Roberto era un ingenuo bambino a cui veniva offerta una caramella, un sempliciotto di Reggio Emilia con la camicia a quadri e i pantaloni con la piega. Roberto non sapeva se osare o continuare a soffrire, non sapeva cosa pensare di quell'angelo dagli occhi furenti. Parlava, mangiava, leggera, pensava perfino, con timore, Roberto, un po' contadino, un po' preticello. Lui, un ragazzotto misero, un armadio a quattro ante, con la faccia di chi l'anta l'ha presa in faccia. Non vecchio, non giovane. Insipido volendo, ma quale essere umano lo è davvero?
Roberto non desiderava Anita con gli occhi della lussuria ma con quelli dei poeti e dei pittori: lei la sua Venere e lui, l'Efesto deforme.
Anita, spietata, coglieva i suoi sguardi ora affamati, ora impauriti. Godeva nel vederlo ingozzarsi dei suoi occhi, la sua fronte, le sue mani, i suoi fianchi. Roberto la mangiava con la mente e con il cuore, come se la sua presenza avesse potuto davvero elevarlo fra gli angeli. Roberto moriva d'amore per lei, la sua Beatrice.
Roberto Palazzi, Via Ronchi 27, interno 4, appartamento 2.
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