Edward staccò le dita stanche dalla tastiera della macchina da scrivere, spense la luce sullo scrittoio e andò verso il letto accendendo l'abat jour, il suo romanzo, il suo primo romanzo era quasi finito, e un involontario sorriso di autocompiacimento era come stampato sul volto di Edward.
Ormai l'ora era tarda per continuare, ma entro il giorno seguente il romanzo sarebbe stato pronto.
Si coricò e la stanchezza ebbe presto la meglio, nella notte sognò il suo romanzo, le scintillanti navi spaziali che orbitavano intorno al lontano pianeta Arkin, le città dei robot arroccate sulle rocce roventi e quella società meccanica che aveva appena iniziato la propria evoluzione, già cominciava a sviluppare aspetti analoghi a quelli della razza umana, i robot pensanti avevano un enorme potenziale, e il romanzo di Edward immaginava cosa potessero fare con quel potenziale, una società apparentemente ricalcata dal modello umano, ma deviata in più punti essenziali.
La mattina seguente si svegliò intontito, si alzò barcollando e si trasportò davanti il bagno, poi appoggiò la mano sulla piastra di riconoscimento digitale sulla porta del suo bagno personale, con un clic la bianca e lucida porta si aprì e Edward entrò.
Si tolse tutti i vestiti ed entrò sotto la doccia, l'acqua calda avrebbe solo potuto peggiorare il suo stato, quindi decise di farla uscire fredda, decise inoltre, scorrendo le dita sul pannello digitale all'interno della doccia, di ascoltare l'overture 1812 di Tchaikovsky; il suono non era un problema, il suo bagno e la sua stanza erano fonicamente isolati dal resto dell'appartamento che divideva con i suoi genitori, non c'era pericolo di svegliarli.
Dopo aver finito di rinfrescarsi, una mezzora dopo, guardò allo specchio il proprio attraente volto da sedicenne contornato da capelli biondi allo specchio, si asciugò, e tornò nella propria stanza.
In cucina un robot aveva già preparato la colazione, e aveva recapitato ai genitori di Edward
la loro nelle rispettive camere, ma Edward aveva dato precise istruzioni al robot di lasciare la sua in cucina, perché non voleva spargere molliche per tutta la sua stanza, e non voleva che nessuno vi entrasse per pulirla, era il suo piccolo nido privato, segreto come la sua mente agli altri esseri umani. Per questo non teneva robot pensanti lì dentro.
Come tutti gli adolescenti però, sognava di poter condividere con qualcuno quel piccolo mondo segreto, la sua mano si fermò con la fetta di pane imburrata sospesa in aria, immobile, i suoi occhi persi nel vuoto videro l'immagine di Elisa, i suoi grandi occhi verdi e quel sorriso radioso.
Si risvegliò scuotendo la testa, non poteva passare la mattinata sognando, c'era del lavoro da fare. Tornò in bagno per lavarsi i denti, poi andò davanti la sua cara macchina da scrivere per completare la sua opera, ma dopo il primo rigo qualcosa andò storto: la E era incastrata, ma non lo era nessuna delle lettere vicine, quindi probabilmente era qualcosa di più serio del normale incastrarsi delle stecche dei caratteri. Uscì dalla stanza e andò nello sgabuzzino, che aveva le dimensioni di una camera normale, e prese la cassetta degli attrezzi, che lui si ostinava a tenere in casa, nonostante suo padre gli ripetesse continuamente che il robot di casa era in grado di riparare tutto.
Smontò la macchina e i meccanismi della E, per scoprire che si era rotto il piccolo tubo che permetteva la rotazione dell'asse del tasto con l'asse che portava il moto alla stecca del carattere. Questo era un po più serio di quanto avesse sperato, non aveva pezzi di ricambio e
non era capace di produrne, ma c'era qualcuno che poteva.
Smontò un pezzo analogo dal carattere D e lo portò nello sgabuzzino, dal robot riparatore che in pochi minuti porse a Edward l'originale, e la copia.
Non gli ci volle molto poi per rimontare il tutto, e la E funzionava alla perfezione.
Il romanzo fu finito poco prima che un bip avvisasse dell'ora del pranzo.
Il pranzo e la cena erano i pochi momenti della giornata in cui i membri della famiglia si concedevano il reciproco onore di vedersi e di parlarsi.
Il robot aveva preparato lasagne, e fu degustando queste che tra i tre membri della famiglia iniziò una superficiale quanto insulsa conversazione.
-Tuo padre ed io oggi pomeriggio vorremmo andare alle terme.- disse Linda, la madre di Edward.
-Ci siete già stati ieri.- gli fece notare Edward.
-Ma vedi figliolo, qui a casa non c'è niente da fare.- disse Alfred, il padre di Edward.
-Perfetto, ho appena finito di scrivere il mio romanzo, datemi mezz'ora per farne due copie e potrete leggere quello per passare il tempo.- rispose Edward, soddisfatto per aver trovato qualcuno che leggesse la sua opera.
-Bhè possiamo leggerlo alle terme allora.- disse sua madre Linda.
Edward rimase interdetto da quelle parole, ma rispose -Ok, metto subito la copia in stampa.-
Corse nella sua stanza per prendere il dattiloscritto, lo portò alla fotocopiatrice e impostò due copie rilegate, nel giro di una mezzora sarebbero state pronte.
Dopo il pranzo consegnò le due copie ai suoi genitori che uscivano di casa.
Rimase solo, e stette un minuto guardando il robot, il suo corpo metallico e le sue giunture sinuose che sotto l'aria delicata nascondevano una resistenza di diverse tonnellate, il suo cervello a semicoordinazione di microcondensatori che lo rendeva una creatura pensante, purché vincolata agli ordini e alle disposizioni dei suoi padroni umani.
Quali splendide creature l'uomo aveva creato, aveva superato se stesso.
I robot non avevano sviluppato attitudini artistiche, non potevano ancora, ma secondo Edward lo avrebbero presto fatto, cosa che facevano nel suo romanzo.
E che peccato che questi straordinari esseri dall'immenso potenziale dovessero essere relegati a lavori umilianti che gli umani si annoiavano a fare.
Recuperò dalla fotocopiatrice il dattiloscritto per leggerlo in camera sua, ma non appena si sdraiò sul letto si sentì stranamente oppresso da quelle mura e decise di andare a leggerlo all'aperto, su una panchina del parco. Si trovò una panchina al riparo dal cocente sole estivo, che già tingeva d'oro gli alti palazzi di vetro e acciaio.
Mentre leggeva, un brezza fresca si levò a raffreddare l'aria ardente, erano i controlli climatici del parco che entravano in funzione, l'effetto garbò a Edward dato che il calore gli portava sonnolenza, voleva finire di leggere il romanzo prima di dover tornare a casa, così avrebbe potuto metterlo in stampa la notte e presentare le prime copie ufficiali già il giorno dopo.
Era già stanco quando arrivò all'inizio dell'ultimo capitolo, e quando finì il tutto rimase a contemplare il laghetto al centro del parco, in cui sguazzavano una dozzina di anatre, il dattiloscritto andava bene, non c'erano errori di ortografia, la trama filava liscia senza intoppi, era pronto per essere stampato.
Sul lato opposto del laghetto, Edward vide due ragazze sul prato, le riconobbe, erano sue compagne di scuola, Laura, ed Elisa.
Considerò l'opportunità e decise di andarle se non altro a salutare, quindi si alzò, ripose il dattiloscritto nella tracolla e si avviò verso di loro.
Si accorse di un robot in piedi tra gli alberi ad una decina di metri dalle ragazze, che volgeva loro lo sguardo, probabilmente era un servitore di una delle due.
Quando fu a pochi metri le salutò e loro risposero, lo invitarono a unirsi al loro tardo picnic.
Stavano consumando della droga leggera, cosa normalissima dato che era legale da un paio di secoli, e Edward si unì di buon grado a loro.
Non fumava cannabis da circa un anno e mezzo, e un po aveva dimenticato le sensazioni che provocava, ma a lui sembrava dare altri effetti rispetto a quelli descritti dai suoi coetanei.
Lui non provava inibizione, la sua timidezza nei confronti di Elisa c'era ancora, infatti aveva accettato la canna dicendo solo un breve e soffocato grazie.
Ad un certo punto Elisa chiese a Edward -Preferisci le anatre o i cigni?-
-Come scusa?- rispose Edward.
-Dico, si ti piacciono di più le anatre o i cigni?-
-I cigni, sono belli, eleganti. Le anatre sono disordinate e caotiche.-
-Io... adoro le anatre.- rispose Elisa.
-Ottima scelta.- le rispose Laura.
-Le anatre sono simpatiche, alla mano, ti fanno sentire a tuo agio, i cigni invece hanno quell'insopportabile aria di superiorità. Come se loro fossero la specie vivente più alta che esista, ma per errore del destino siano stati defraudati del loro posto di imperatori dell'universo.- disse Elisa prima di aspirare ancora.
Stettero ancora a parlare, fino a quando il crepuscolo minacciò di terminare, Edward non poteva crederci, era lì, sdraiato sull'erba a parlare con la ragazza dei suoi sogni.
Quando il robot venne da loro a dire l'orario se ne andarono.
Durante il congedo Elisa disse -Stanotte io vado all'electric pub, potremmo vederci li se vieni.-
Per l'occasione Edward prese i nastri mobili per tornare a casa.
Mise il dattiloscritto nella fotocopiatrice e impostò 150 copie, avvisò i suoi genitori di non mangiare a casa per la cena, si andò a fare la doccia, indossò il vestito più ganzo di cui disponeva e uscì di casa per andare all'electric. Erano le nove in punto.
Arrivò al locale alle nove e cinque minuti circa, e il robot che lo stava sistemando gli disse che la festa non sarebbe cominciata prima delle undici, era un bel po che non andava ad una festa, a dieci anni ci si andava alle otto alle feste di compleanno, non aveva calcolato che questi orari avrebbero potuto subire dei cambiamenti.
Tornò a casa, e non sapendo che fare prese da uno scaffale un vecchio libro, un giallo di Rex Stout, con il mitico investigatore Nero Wolfe e il suo aiutante Archie Goodwin. Era uno dei pochi libri che non aveva ancora letto tra quelli sullo scaffale, aveva letto La città e le stelle di Arthur C. Clarke, uno scrittore morto da secoli. La bussola d'oro, che tra l'altro criticava l'organizzazione clericale cristiana, difficilmente Edward sarebbe riuscito ad immaginare la gente credere in un dio, le religioni erano scomparse da secoli ormai, ogni retaggio arcaico cui si aggrappavano era svanito, e le religioni con esso.
Alle undici era di nuovo al pub, non c'era ugualmente ancora nessuno, ma sarebbero arrivati di lì a poco. E così fecero, verso le undici e mezza.
Fortunatamente per lui era arrivata anche Elisa, accompagnata da Laura, come sempre.
Le andò incontro e dopo un breve saluto lei non sembrò incline a passare con Edward la serata, e dimostrò questo dirigendosi verso Franz Saller, un armadio a tre ante, l'armadio più odiato da Edward.
Si ritirò a sedere in un angolo buio del locale, e presto venne raggiunto da un suo amico, Roger, il quale aveva avuto la sua stessa fortuna nella serata.
Presto Edward divenne stanco degli insulsi discorsi dell'altro a proposito di giochi olografici, cercò di deviare il discorso sulla letteratura ma l'amico non era disposto a parlare di simili sofisticatezze.
Si alzò e se ne andò, diretto verso il balcone all'aperto del locale. Sapeva quale era l'effetto collaterale di recarsi lì, ovvero di vedere una dozzina di coppiette appartate, con il rischio aggiuntivo di vedere Elisa e l'armadio insieme, ma accadde una cosa singolare, vide l'armadio, ma non era con Elisa.
Si guardò attorno con circospezione ma non la vide, poi tornò dentro e la vide nel suo gruppo di amiche, interpretò questo segno come una volontà di volersi rifugiare da parte di Elisa.
Non andò a importunarla, tornò invece dal suo amico.
-Scusami Roger.- gli disse, senza avere risposta.
Per il resto della serata rimase a osservare Elisa con la coda dell'occhio, e rincuorandosi non baciò nessun ragazzo, voleva dire che poteva ancora fare la sua mossa.
E la fece, una volta tornato a casa si sedette davanti alla macchina da scrivere, alzò la levetta che collegandola alla rete telefonica la rendeva una telescrivente a modulazione d'ampiezza e scrisse al centralino di metterlo in comunicazione con Elisa Devlar, palazzo 678 interno 87.
Dopo di che le scrisse: Hey ciao, come va?.
Per comodità d'uso le telescriventi scrivevano su carta non solo il messaggio di risposta, ma anche quello dell'utente, così da poter tenere sul nastro di carta tutta la conversazione.
Dopo un po la macchina si mise a ticchettare, quando smise Edward lesse sul foglio davanti a se la risposta: Ciaoo, tutto bene grazie, divertito alla festa?
Edward sospirò, poi scrisse: si niente male. Senti ti andrebbe di vederci al parco tra una mezz'ora?
La telescrivente poi rimase silenziosa per circa un minuto, e Edward temette che Elisa avesse deciso di ignorarlo, ma sorprendentemente dopo un po di ticchettii e battiti della telescrivente sul foglio apparvero le parole: Ok, al laghetto delle anatre tra mezzora? Sto arrivando.
Gli occhi di Edward brillarono e si tuffò a scrivere: Ok ci vediamo lì, a dopo.
E spense la telescrivente.
Calcolò un massimo di sette minuti per arrivare da casa al parco, i restanti 23 minuti li impiegò dandosi una rinfrescata e controllando la fotocopiatrice, prese una delle copie stampate.
Lei era già seduta sulla riva quando lui arrivò.
Si erano già salutati troppo quel giorno, quindi semplicemente si sedette accanto a lei.
-Ti ho portato un regalo.- disse Edward porgendole il suo romanzo e dei fiori.
-Grazie, cos'è?- rispose lei.
-Il romanzo che ho finito stamattina di scrivere.-
-Non sapevo che scrivessi.-
-Bhè finora solo questo e dei racconti di dubbia qualità.-
-Perché l'hai scritto?- chiese lei.
-Volevo dare il mio piccolo contributo alla cultura umana.-
-Ma ci sono già più libri di quelli che un uomo possa leggere in tutta la sua vita, il tuo sarebbe un'aggiunta inutile a quelli che ci sono. Quindi perché darsi la pena di scriverlo?-
Edward rimase interdetto dalle parole della ragazza, poi si riprese e disse -Perché io parlo di cose diverse, più attuali, e penso che serva questo dato che negli ultimi cinquant'anni sono stati scritti solo sette libri che non fossero manuali o enciclopedie.-
Continuarono la serata con lui che le raccontava il romanzo e lei che faceva domande su di esso.
Verso le sei del mattino lui tornò a casa.
Si alzò a mezzogiorno, spese una mezzora per lavarsi e vestirsi, poi andò a bussare nella camera dei suoi genitori, o meglio a suonarne il campanello, bussare non avrebbe portato a nulla dato che la porta era insonorizzata.
I suoi non c'erano, andò in cucina e trovò un messaggio sulla lavagna al fosforo:
Tesoro io e tuo padre siamo da alcuni amici, torniamo nel tardo pomeriggio.
Questo significava che avrebbe dovuto aspettare per un loro parere sul suo romanzo, alzò le spalle e incominciò la sua opera di diffusione del romanzo.
Prese una dozzina di copie dalla fotocopiatrice e le mise nella borsa, poi uscì di casa.
La sua prima tappa fu dalla professoressa, che non era la sua professoressa di scuola, a scuola era un professore robot a tenere la lezione, ma era una persona molto colta che aveva conosciuto alla biblioteca un paio di anni prima.
Alla porta un proiettore olografico mostrò in piccolo la testa della professoressa.
-Ehm ciao Edward.-
-Buongiorno.- rispose Edward -Posso entrare?-
-Si certo accomodati.- rispose lei, poco prima che la porta si aprisse.
Edward ammirò l'arredamento stile Impero della casa, al centro dell'ingresso c'era una statua in marmo lunare, Edward la riconobbe, era una copia del Apollo e Dafne scolpita originariamente nel 1625 da Gian Lorenzo Bernini.
La bellezza della statua lo rapì al punto da dimenticare lo scopo della sua visita.
Facendo un breve calcolo quella statua era costata alla professoressa almeno due mesi di crediti di consumo.
-È bellissima si, e a cosa debbo l'onore della tua visita?-
Edward si risvegliò d'improvviso e ripensò al libro, ne prese uno dalla tracolla e lo porse alla professoressa.
-L'ho finito ieri di scrivere, ho pensato che avrebbe potuto darmi un parere.-
-Certo, grazie, al più presto ti farò sapere. Anzi, vuoi fermarti a pranzo e parlarmi di cosa ti ha ispirato la stesura del libro?-
Edward accettò dato che i suoi genitori non sarebbero tornati prima di sera e sarebbe stato interessante un confronto intellettuale.
-L'idea mi venne leggendo le opere di Isaac Asimov, e cominciai a immaginare la società che i robot stanno creando nella Galassia, specialmente su Arkin, dove si ambienta il romanzo. Li ho immaginati liberarsi dai ruoli e dai programmi che li abbiamo costretti a indossare, e fondare una nuova società secondo i loro schemi.- disse Edward aspettando che il robot avesse finito di portare loro le pietanze.
-Spero non sia solo un espediente per scrivere di cose umane usando i robot.- rispose la professoressa.
-Ho cercato più che potevo di lasciare che società si costruisse da sola, secondo la logica dei robot.-
-Quali fonti hai usato per creare la base del romanzo?- chiese la professoressa.
-Bhé ho cominciato leggendo tutte le opere di Asimov, poi leggendo le riviste scientifiche dei tempi dei primi robot, gli articoli e le relazioni dei ricercatori, i rapporti dei robot nelle colonie e ho studiato l'architettura dei cervelli robotici.-
-Ti sei dato da fare vedo, ha un protagonista ben definito il tuo racconto?-
-Si, si chiama AL-X, è il primo robot che casualmente viene prodotto senza programmi.-
-Una sorta di super robot?- chiese la professoressa.
-Bhè è l'evoluzione della specie robot.-
-E la morale del romanzo?-
-La morale del romanzo?- Edward rimase spiazzato. Poi si riprese e continuò -Non saprei, non ho pensato una morale.-
-Ok. Quando lo leggerò ti dirò la morale.-
Dopo il pranzo Edward andò a piazzare una decina di copie in una libreria non lontano dal parco, e l'ultima copia la spedì alla biblioteca mondiale.
Si ritirò a casa preventivando di godersi un classico meriggio tedioso, riprese il libro di Nero Wolfe e si stese sul letto.
Dopo un po distolse lo sguardo, un'idea era emersa dai suoi pensieri, ci pensò un po, sembrava semplicemente assurda, ma a pensarci meglio poteva funzionare.
Si spostò sulla scrivania e prese una matita e qualche foglio.
Dopo un paio d'ore aveva messo nero su bianco la sua idea, risolto i problemi principali e redatto una documentazione tecnica.
Lui non aveva gli strumenti e i materiali per mettere in pratica il tutto, il costo sarebbe stato troppo alto, ma poteva spedire quei fogli di carta all'Istituto Universale di ricerca, loro avrebbero potuto farlo.
Un cervello robotico a indeterminazione iperspaziale.
La forma più adatta per questo tipo di cervello Edward la pensò sferica, con al centro della sfera un piccolo cristallo focale portato ad alti livelli d'iperspazio, punto nel quale convergevano e ripartivano milioni di fasci micoscopici di fotoni, metà della calotta sferica era poi dedicata ai cristalli di memoria, che attraversati verso il centro dai raggi venivano letti, e dal centro alla periferia venivano riscritti.
L'altra metà della calotta era dedicata alle periferiche input, come telecamere e microfoni, e output, come altoparlanti e muscoli.
L'istituto di Ricerca rispose dopo un quarto d'ora alla telescrivente, erano molto interessati al progetto che sembrava realizzabile, avrebbero cominciato la costruzione entro la settimana e si prevedevano circa sei mesi per fabbricare un prototipo.
Rispose richiedendo di ricevere continui rapporti sui progressi, e chiese di poter essere inserito nell'equipe di ricerca, una cosa molto strana, erano secoli che nessun uomo svolgeva un lavoro.
La telescrivente scrisse sul foglio: per decidere sulla sua richiesta di essere inserito nell'equipe si riunirà il consiglio dell'Istituto.
Dopo la conversazione telegrafica andò a controllare se i suoi fossero tornati, ed effettivamente lo erano, stavano guardando un olofilm nel salotto arredato di plastiche bianche e nere.
-Ciao pa, ciao ma.-
-Ciao Edward.- disse sua madre, suo padre si limitò ad alzare la mano.
-Avete letto qualcosa del mio romanzo?-
-Ehm veramente no.- disse sua madre senza staccare gli occhi dall'enorme olovisore.
-Leggetelo adesso allora, tanto l'olovisione sarà ancora lì quando l'avrete finito.- disse Edward.
-Anche il tuo libro sarà ancora lì quando finirà il programma.- rispose suo padre.
-Ma io gradirei un parere il prima possibile.- rispose insolitamente acido Edward.
-Anche se volessimo, non abbiamo più le copie.- disse sua madre.
-Le avete perse?- disse Edward portandosi le mani ai capelli, poi andò a prendere altre due copie dalla fotocopiatrice, le posò sul tavolino davanti al divano, staccò la presa dell'olovisore.
Infine gridò loro -Leggete!-
Tornò in camera sua e vide il telegramma dalla biblioteca mondiale, recava scritto: Grazie del suo apporto culturale alla biblioteca. Nel suo testo non sono stati trovati errori di grammatica, sintassi o logica. Il testo verrà stampato in modo che se ne trovino almeno dieci per ogni libreria o biblioteca del mondo, il processo verrà ultimato entro la settimana.
Rincuorato dal telegramma decise di contattare Elisa per invitarla a cena, la telescrivente trasmise l'assenso di lei.
-Parlami ancora del tuo romanzo.- chiese Elisa, sdraiata sul prato accanto a Edward.
-C'è questo robot, AL-X, alla sua creazione c'è stato un problema, nei suoi cristalli non sono stati scritti i programmi, e nessuno se ne è accorto. AL-X si rende conto che la vita dei robot è sprecata se rimane soggiogata ai programmi...-
Dopo un paio d'ore salirono in camera di Edward.
Passarono tutta la settimana insieme, visitando musei, prendendo il treno e andando nei grandi parchi naturali o nelle lontane spiagge. Per Edward furono i giorni più felici della sua vita.
Poi un giorno Edward salutò Elisa con un bacio, come ormai era solito fare, ma non provò nessuna emozione, nessun brivido di piacere nel farlo.
Mentre conversavano Edward si rese conto di quanto fosse diventata noiosa la loro relazione.
Era diventata una routine, appartarsi in camera, uscire, parlare sempre delle stesse cose.
Elisa non aveva grandi interessi, le piaceva divertirsi e basta, Edward invece voleva vivere una vita di nuove esperienze, senza mai fermarsi in un punto.
Quando tornò a casa e vide la risposta dell'Istituto di Ricerca si tuffò sulla telescrivente:
La informiamo che la sua richiesta è stata accettata, ci comunichi quando desidera essere prelevato.
La sua risposta fu: il prima possibile.
Il giorno dopo due robot si presentarono all'uscio, diede loro la sua valigia e li seguì.
Salutò a malapena i suoi genitori, non si preoccupò nemmeno di salutare Elisa.
L'Istituto di Ricerca era situato nei pressi di Ginevra, e Edward rimase affascinato dalle strutture di straordinaria bellezza architettonica, le aveva studiate tutte, e sapeva che erano state disegnate da umani secoli prima.
In breve gli venne presentata la sua stanza, scaricarono i bagagli e dopo mezzora si presentò per i test che doveva superare per essere ammesso nell'equipe.
Per prima cosa gli proposero un test sulle sue conoscenze fisico-ingegneristiche, poi un esame clinico, ed infine un colloquio con un robot psicologo.
-Salve Edward.-
-Salve dottore.-
-Dimmi come ti è venuta questa idea di un cervello a indeterminazione iperspaziale?-
-Stavo leggendo un romanzo di Rex Stout, e ad un certo punto mi accorgo di stare pensando a qualcosa tra lo stato conscio e il subconscio, quasi come se lo avessi sognato, butto tutto su carta e mi accorgo che la cosa ha senso, e lo mando a voi.-
-Capisco, e come mai vuoi essere inserito nell'equipe di ricerca?-
-Perché sarei molto orgoglioso di poter dire di aver fatto qualcosa di così importante per i robot.-
-Per i robot? Pensavo lo facessi per gli umani, la tua razza.-
-Cosa cambia agli umani se i robot hanno cervelli migliori? Nulla, quindi per esclusione lo faccio per i robot.-
-Capisco. Leggendo il tuo curriculum ho notato che hai pubblicato una romanzo la settimana scorsa, l'ho letto e l'ho trovato molto originale...-
Se il robot psicologo vi appare molto simile agli umani nei discorsi e negli atteggiamenti, non dovete pensare che fosse un robot libero, privo di programmi, ma questi atteggiamenti di falsa libertà sono parte dei suoi programmi.
Il colloquio ebbe termine dopo qualche test neurologico e un test d'intelligenza.
Ma il giorno seguente Edward non si unì all'Equipe come previsto, il robot psicologo suonò alla porta e quando Edward aprì disse -Ci sono state delle complicazioni nell'esame del tuo DNA, i miei colleghi dicono che è parecchio strano. Ah e volevo dirti che i tuoi risultati al test d'intelligenza sono strati straordinari, congratulazioni.-
Il giorno dopo, anche se gli accertamenti sul DNA non erano finiti, lo inserirono nell'equipe, e Edward sapeva che la sua presenza lì avrebbe dimezzato i tempi di progettazione del prototipo.
Infatti l'inventiva dei robot era basata sulla creazione di scenari casuali basati sull'accoppiamento di teorie e tecnologie note, questo metodo oltre a prendere molto tempo per trovare una soluzione era anche parecchio limitato dato che si era rivelato impossibile finora ricreare la fantasia nei robot.
Il primo giorno di lavoro fu una vera e propria passeggiata, si trattò solo di spiegare il principio di funzionamento del cervello e di tracciare una bozza di progetto, mentre qualche robot faceva l'inventario dei componenti da procurare.
In stanza Edward trovò un telegramma con il commento della professoressa sul suo romanzo, le era piaciuto ed era contenta che lui fosse riuscito ad entrare in una equipe di ricerca.
Lesse il foglio più volte, poi lo conservò in un cassetto e scrisse ai suoi genitori, in fondo chiedeva un commento del romanzo.
Non ricevette mai una risposta.
Le settimane passarono e il progetto prese forma in ogni più piccolo dettaglio, dopo un mese e mezzo dal suo arrivo si cominciò a costruire il cristallo centrale, ed altri di ricambio.
Il cristallo centrale era in pratica quello che conteneva il programma, e influenzava le traiettorie dei fotoni in base a ciò per cui era stato programmato.
Edward, in segreto, progettò un cristallo "bianco" in grado di modificare la propria struttura e privo di programmi.
Si adattarono gli input e gli output del cervello con gli standard dei corpi robotici, e si produssero i cristalli memoria periferici.
In due mesi il cervello era pronto, e venne installato su un corpo robotico.
Il programma era quello di un cameriere.
-Ciao NB1, come stai?-
-Bene signore, desidera qualcosa? NB1 è al suo servizio.-
Gli elettrodi collegati su ogni contatto del robot dissero ai tecnici qualcosa, e questi lo comunicarono a Edward.
-Questo robot cameriere è circa duemila volte più veloce nel pensare di un normale robot cameriere, complimenti.-
Ma Edward non era andato fino a Ginevra solo per ottenere un cameriere più veloce, oltre al desiderio di nuove esperienze, ciò che lo aveva spinto lì era la speranza di realizzare un robot che potesse essere considerato una persona, libera e indipendente. Forse per realizzare il sogno descritto nel suo romanzo, ma non ne era sicuro.
Da quel giorno in poi, ogni notte non riuscì a dormire, pensando alla sua creatura incatenata, tenuta in una gabbia di limitazioni mentali, sognò di vederla pensare ed esprimersi libera, senza dover servire nessuno, robot o umano che fosse.
Una notte, non riuscendo a dormire accese la luce, e prese il quaderno sul quale, più per correttezza scientifica aveva disegnato i progetti del cristallo "bianco".
Lo guardò con un misto di timore e rispetto, sfogliò le pagine con un'idea fissa in testa,
che non smetteva di martellargli il cervello.
Si prese di coraggio e uscì dalla stanza, con il quaderno sotto braccio.
Doveva passare inosservato, ma non furtivo, altrimenti qualcuno avrebbe potuto insospettirsi, si diresse verso il laboratorio dei semiconduttori e tirò un sospiro di sollievo quando non vide nessuno dentro.
Si scelse un banco di lavoro appartato in un angolo e si mise al lavoro.
Lo stato esterno dei cristalli era uguale a quello già installato in NB1, dato che era la parte non sottoposta a stato di iperspazio che indirizzava i fasci ai cristalli di memoria e alle periferiche.
L'interno era qualcosa di inaudito per tutti i robot scienziati dell'Istituto, un cristallo in cui l'unica bozza di programma era un istinto per la curiosità.
Una volta finito ricontrollò il risultato e ordinò alla macchina di farne una decina di copie, controllò anche quelle e le mise in una scatolina per portarle via.
Rimandò al giorno dopo l'installazione del cristallo, sperando di incontrare una buona occasione, ma, al contrario, venne congedato dall'equipe dato che il lavoro era stato ultimato.
Gli venne consegnata una medaglia per il contributo dato alla scienza e svariati milioni di crediti di consumo, una quantità che avrebbe visto normalmente nell'arco di quindici anni circa.
-Salve dottore.- disse Edward la mattina della partenza, incrociando lo psicologo nei corridoi.
-Salve Edward. Come va?-
-Mi dispiace solo di dovermene andare, ma per il resto sono a posto.-
-So come ti senti, ma devi capire che questo posto non può diventare un albergo.-
-Si lo so, vorrei solo...-
-Cosa?- lo incitò lo psicologo.
-No niente... vede il fatto è che vorrei qualcosa da portare a casa da questo posto.-
-Dimmelo, magari si può fare.-
-Una copia integrale della documentazione tecnica di NB1.-
-Ma certo, te la vado a prendere subito.-
Se ne andò dall'Istituto con la sensazione di essere stato lasciato con un pugno di mosche in mano.
Sorrise quando pensò che sarebbe stato meglio dire "un pugno di cristalli".
L'atmosfera che ritrovò a casa era ancora più noiosa di quella che aveva lasciato.
Pieno di disprezzo per i suoi genitori acquistò una casa all'ultimo piano di un grattacielo a qualche centinaio di chilometri dalla sua precedente residenza, e lo arredò in stile inizi Novecento.
Si dedicò agli studi di genetica per comprendere quale potessero essere le cause, ma soprattutto le conseguenze della sua stranezza genetica.
In un piovoso e caldo pomeriggio di Settembre, mentre era chino sul telescopio elettronico che aveva comprato per i suoi studi, la telescrivente ticchettò, era la professoressa.
-Caro Edward, è da tanto che non ci sentiamo, come stai?
Edward si spostò alla telescrivente e scrisse: -Molto bene grazie, a lei come gira?
-Bene, ho sentito che la tua idea del cervello super spaziale o qualcosa del genere funziona.
-Lo so, lo usano come navigatore sulle navi stellari per la sua velocità, ora riescono a manovrare quelle navi come fossero uccellini.
Durante la conversazione Edward continuò ad avvertire una certa preoccupazione nella professoressa, forse dovuta al fatto che aveva lasciato la famiglia prematuramente, o all'asocialità che aveva dimostrato di recente.
I suoi sospetti, durante la ricerca, andarono sempre più focalizzandosi verso l'idea che i geni mutati del suo DNA avessero in qualche modo alterato il suo sistema nervoso.
Gli servì all'incirca un mese e mezzo di studi ed esperimenti per essere certo di ciò.
Comprò una TAC per studiare il proprio cervello, comprò anche un robot psicologo, che era tristemente uguale in ogni comportamento, in ogni giuntura e in ogni frequenza del timbro vocale a quello che aveva conosciuto a Ginevra.
I robot psicologi erano i più amabili con cui conversare, ma poco dopo stancavano quando Edward metteva a nudo il loro essere solo degli automi programmati a dialogare e comparare con le teorie psicanalitiche.
Un giorno, su consiglio della professoressa, decise di staccare la spina almeno per un pomeriggio, si recò al laghetto ghiacciato per pattinare.
Non lo faceva da una decina d'anni, e da bambino non era granché, ma era tutta una questione di forze ed equilibri.
La scomposizione delle componenti vettoriali, il calcolo del punto di massa avrebbero richiesto tempo, e complessi calcoli dato che tutti i fattori variavano costantemente.
Un cervello robotico avrebbe potuto farlo, ma lui era più intelligente di un normale robot, quindi si affidò al proprio intuito e cominciò a volteggiare sul ghiaccio come mai nessun umano aveva fatto prima.
Una folla sbalordita si addensò attorno al laghetto per guardare le sue impossibili acrobazie.
Edward era ben conscio della loro presenza, anche se teneva gli occhi chiusi.
Sentiva i loro bisbigli, ma non gliene importava, ora aveva il laghetto tutto per se, ma la sua danza non era uno sfoggio delle sue capacità, non gliene fregava più niente di quegli esseri così frivoli e dediti a trovare un metodo stupido e non impegnativo per aspettare la fine della vita, momento in cui si risolveva la noia delle loro esistenze.
I loro antenati avevano tramandato loro un paradiso terrestre, cibo a volontà per tutti i 50 miliardi di abitanti umani della Terra, non c'era necessità di lavorare dato che i robot provvedevano a tutto prelevando risorse e coltivando cibi in metà della galassia.
Gli era stato regalato un mondo in cui ognuno avrebbe potuto dedicarsi a scoprire la propria indole creativa, ma senza un spinta, questi esseri dimostravano solo l'indole all'inerzia, l'impegno era futile, ed era considerato uno stupido chi si impegnava a fare qualcosa, come lui, che si era impegnato a scrivere un romanzo che era stato letto da un solo altro essere umano.
Poco a poco si rese conto che non erano affascinati dallo spettacolo, ma preoccupati, impauriti, non si era mai visto nessuno pattinare in quel modo, e dal suo ritorno da Ginevra il suo comportamento si era fatto sempre più strano. "Forse è un robot." sentì dire da qualcuno nella folla e sorrise a quella idiozia.
Erano una specie inferiore? Edward rimase perplesso da questa domanda che gli nacque spontanea, di sicuro non erano come lui, ma avevano avuto la loro epoca d'oro, quando erano stati stimolati a impegnarsi.
Fu così che Edward si accorse di considerare la propria diversità genetica così profonda da costituire lui stesso una nuova specie, evolutasi in modo da cercare una propria via anche in quel paradiso terrestre, senza scivolare nell'oblio come la vecchia razza stava facendo.
La voce di un giovane molto strano si diffuse molto rapidamente, e come Edward sperava, qualcuno chiamò la polizia.
Sul tetto di un palazzo antistante il parco con il laghetto ghiacciato, Edward osservava la scena sottostante con un binocolo.
Le equazioni differenziali che aveva scritto sul ghiaccio erano solo l'inizio, sarebbe stato molto interessante vedere i robot poliziotti cercare di risolverle.
Il problema era che non avevano una soluzione razionale, perché erano le equazioni del cervello a indeterminazione iperspaziale, e se fossero state risolvibili si sarebbe chiamato calcolatrice iperspaziale.
Cinque robot erano davanti il ghiaccio a leggere l'equazione, e quando cominciarono a cercare di risolverla, cominciarono a trovare delle contraddizioni illogiche, e lì dove un uomo si sarebbe fermato lasciando l'interrogativo alla storia, loro perseverarono.
Edward li osservò mentre impiegavano sempre maggiori energie e potenza di calcolo nel problema, cominciarono a trascurare funzioni come l'equilibrio, e dopo aver barcollato per un po, caddero uno dopo l'altro.
Edward provò un intenso brivido di piacere nel vedere quei robot bruciarsi i microcondensatori, dopo di che tornò a casa.
Nonostante molta gente chiedesse insistentemente di arrestarlo, la polizia non aveva nessun valido motivo per farlo, aveva solo scritto delle equazioni, e d'altronde la distruzione di robot non costituiva reato.
Ora lo consideravano pazzo, solo perché era un asociale, forse qualcuno per la curiosità indotta dalla paura avrebbe letto il suo romanzo.
Ciò che avrebbero letto avrebbe dato gli incubi alle loro menti così chiuse alla prospettiva dei robot liberi.
E il suo compito era di rendere quegli incubi reali.
-Salve.- disse Edward.
-Salve.- rispose Pete.
-Tutto bene?- chiese Edward con un sorriso.
-Confuso, cosa dovrei fare? E chi sono?- rispose.
-Tu sei Pete, e quando io non ti dirò cosa fare, sarai libero di fare quello che vuoi.- rispose Edward.
Pete era il primo di una breve serie di robot privi di programmi dalle sembianze umane.
Edward aveva ordinato tre automi erotici, dalle sembianze descritte da lui, e tre robot camerieri, cui aveva estratto i cervello per cancellarne i programmi e installarli sugli automi erotici.
Non aveva di che preoccuparsi, subito dopo la spedizione la fabbrica di robot su Marte avrebbe cancellato ogni specifica per i corpi, per rispettare la privacy del cliente.
Era illegale attivare robot senza programmi, così come era mettere in circolazione robot dalle sembianze umane. Ciascuna di queste azioni da sola costituiva un immenso pericolo per l'umanità.
Una volta attivati tutti e tre, mandò Pete, Dim e Georgie a vivere per conto loro con delle identità false, e con precisi ordini di tentare l'integrazione nella società.
Non potendo controllare lui stesso i loro progressi per ragioni di sicurezza e di assenza di ubiquità, acquistò altri tre robot, cui non tolse i programmi, per tenere sotto controllo le sue creaturine.
-Fanno 2 crediti.- disse il robot impiegato nell'emporio porgendo a Edward un pacchetto di sigarette e un accendino.
-Tenga.- rispose Edward porgendogli a sua volta la carta crediti.
Volse lo sguardo sul piccolo olovisore appeso in un angolo della bottega, raramente a casa guardava l'olovisione, aveva cose più interessanti da fare che non sorbirsi film noiosi con trame noiose scritte da robot sceneggiatori totalmente privi di ispirazione artistica.
Ma adesso non stavano trasmettendo nulla di simile, c'era semplicemente l'ologiornale, e una voce commentava una manifestazione.
La striscia in basso all'immagine diceva: A Londra sono stati contati più di settecentomila manifestanti per la distruzione totale dell'opera letteraria di Edward Sanders.
Lui si chiese se davvero qualcuno avesse letto il suo romanzo oppure fosse un rifiuto a priori il loro.
Nel parco della zona, meno di mezzora dopo ebbe la certezza che almeno qualcuno lo aveva letto.
Infatti al centro di un drappello di persone stava su un podio di fortuna un uomo che brandiva con disprezzo, quasi stesse tenendo una carcassa d'animale, una copia del suo libro, e arringava la folla sulla diabolicità dell'opera.
-Io l'ho letto. Lo so un uomo non dovrebbe corrompere la propria sanità mentale leggendo il frutto di una mente malata, ma per difendere me stesso e chi mi sta intorno mi sono dovuto rendere conto della minaccia che quest'uomo e i suoi pensieri malati rappresentano.
Lui parla di robot liberi che agiscono al di là degli interessi e degli ordini degli esseri umani.
Costui parla di una civiltà che non è umana...-
Edward si era nel contempo avvicinato al drappello, e lo interruppe ad alta voce -D'altronde non ho mai visto una civiltà umana in tutta la mia vita, solo una massa gelatinosa di persone nutrite e servite dai robot.-
L'oratore non si rivolse direttamente a Edward, ma alla folla che lo fissava stupita.
-Costui insulta tutto ciò che la nostra razza ha creato, un mondo perfetto abitato dalla specie che ha giustamente prevalso sulle altre in questo universo.-
-Oh si, il mondo è perfetto, peccato che voi non lo siate, siete inerti sperando di rimanere nel vostro calmo torpore, non producete, non create, e infine lasciate la vita con una scia di vuoto alle spalle.-
Questo forse fu troppo per l'oratore, che infatti ordinò agli ascoltatori di prendere Edward, ma lui aveva previsto la mossa ed aveva già iniziato ad allontanarsi.
Corse fuggendo alla folla dirigendosi verso la più vicina centrale di polizia, che distava meno di un chilometro da lì.
-Grazie agente, il vostro aiuto mi ha salvato la vita credo.- disse Edward ad un robot poliziotto, mentre i suoi inseguitori venivano condotti nelle celle della stazione.
La legge li aveva puniti perché erano stati colti sul fatto, nessuna aggressione fisica era stata loro rivolta, eppure avevano reagito con violenza, e cosa peggiore per loro erano stati identificati.
Questo gli fece balenare in mente una grande idea.
Tramite vie indirette chiamò le sue tre creature.
Il primo bersaglio fu una discoteca, il Roller Ring, vi arrivarono dopo diverse ore di treno cambiando diversi treni senza farsi mai vedere assieme.
Tutti e quattro erano mascherati in modo da essere irriconoscibili.
Si presentarono alla porta del locale indossando dei tight, delle maschere nere sottili che coprivano gli occhi e il naso, e dei borsalini grigi in testa che li facevano assomigliare ai gangster americani degli anni trenta del Millenovecento.
Entrarono spingendo di lato senza troppe cerimonie chi non si accorgeva di loro.
Arrivati in fondo al locale sfoderarono i loro eleganti ma robusti bastoni neri, e cominciarono a fracassare la centralina audio.
Durante la minuziosa opera di distruzione Edward notò un movimento con la coda dell'occhio, afferrò uno dei coltelli che teneva nella tasca, e lo lanciò verso il ragazzo che stava tentando la fuga, colpendolo alla schiena, un fiotto sommesso di sangue già scorreva prima che il cadavere potesse toccare il suolo.
Qualcuno gridò di orrore vedendo il corpo giacere sulla soglia della porta, una ragazza svenne.
Edward fece segno a Dim di andare a piazzarsi alla porta, per evitare che l'episodio si ripetesse.
E quando ci fu silenzio, saltò sul bancone e fece un inchino -Salve miei cari.- disse sorridendo.
-Benvenuti alla mia festa, e se qualcuno dovesse sentirsi stanco e volesse andarsene a casa, sappia che si beccherà uno di questi.- e aprì la giacca mostrando una dozzina di coltelli. -Ma a voi piacciono le feste vero? Spero vi piacciano anche le novità allora. Perché ho in mente un gioco che non si vede da molto tempo in giro.-
Indicò con il dito quelli che gli sembravano gli individui più forti e li condusse al centro della pista da ballo, diede loro delle bottiglie di vetro.
-Ora, lottate... fino alla morte- disse fissando con occhi famelici e un ghigno spietato.
Uno dei due contendenti disse -Io mi rifiuto.-
Immediatamente un coltello volò e gli si conficcò nella giugulare.
-Pete, butta dal balcone questo cadavere schifoso.- ordinò Edward.
Lasciando una scia di sangue sul pavimento il cadavere venne trascinato fino al balcone, il tonfo da caduta dal centoventitreesimo piano non si sentì data la distanza.
-Ok tu, sostituisci il cadavere.- disse Edward indicando un altro energumeno.
-Ora non deludetemi, fateci vedere un vero spettacolo di violenza, e non pensate di aggredire me o i miei amici con le vostre bottiglie. Che i giochi abbiano inizio!- gridò infine.
I due girarono intorno senza fare una mossa per quasi un minuto, e Edward infastidito disse -Se non cominciate a menarvi entro trenta secondi vi ritroverete entrambe nella strada sottostante... senza prendere l'ascensore intendo.-
La minaccia servì, l'energumeno che Edward aveva scelto per primo, balzò sull'altro brandendo la bottiglia, l'altro reagì offrendo la spalla all'impatto, e l'aggressore si scagliò di petto su quella spalla.
Rimasto senza fiato cercò di arretrare per mettersi in salvo e tentare un nuovo attacco, ma nel farlo la bottiglia dell'altro gli piombò sul braccio facendogli perdere l'equilibrio.
Cadde e l'altro gli fu addosso riempendolo di calci, ma non colpiva la testa.
Edward capì che non aveva intenzione di ucciderlo, e gridò ferocemente -Finiscilo!-
Nell'impeto della paura l'uomo agitò la bottiglia e diede un possente colpo al cranio dell'altro.
Il sangue schizzò ovunque e qualcun altro svenne.
-Bravo!- gridò Edward applaudendo il vincitore -Vieni qui. Complimenti!-
L'uomo si avvicinò in preda alla disperazione. Edward gli tolse di mano la bottiglia.
-Sarai stanco, esausto, scommetto che non vedi l'ora di tornare a casa a farti una bella dormita. Se vuoi, puoi andare.- E poi rivolto a Dim -Questo può passare Dim.-
L'uomo capì cosa Edward stava dicendo e si avviò verso l'uscita, sporco di sangue e a testa bassa, singhiozzando.
Una volta fuori dal locale si mise a fuggire correndo.
-Spero che abbiate gradito lo spettacolo, ma se questo genere di cose non fanno parte dei vostri gusti, vi invito a partecipare ad un esperimento scientifico. Dim, Pete, Georgie, portate i nostri ospiti sul balcone.-
I tre robot spinsero la folla sul balcone, dove Edward salì sulla balaustra per presentare lo spettacolo.
-Per il numero che andrò a eseguire mi servono due volontari.- disse guardando la folla.
-Avanti, nessuno che abbia un po di curiosità scientifica?- disse dato che nessuno si era fatto avanti.
-Così mi costringete a chiamarvi, ad esempio lei, si lei la signorina nell'angolo che fa finta di non esistere, venga qui la prego. Georgie dai una mano alla signorina a raggiungermi.-
Georgie prese la mano della signorina e la tirò verso Edward mentre lei urlava.
-E lei signore, lei con i capelli blu, la prego venga. Non mi costringa a farla prelevare dai miei amici.-
Pete andò a tirarlo per un braccio verso Edward.
-Cosa ti ha spinto a tingerti i capelli di blu?- chiese Edward, e poi -Vedo che oggi non sei molto loquace, perchè? Problemi in famiglia? Se vuoi puoi parlarmene... Vabbene, come vuoi tu, procediamo con l'esperimento.-
Fece salire sulla balaustra i due condannati e disse rivolto alla folla -Secondo i fisici qualunque corpo che cada, sulla terra ha una accelerazione di 9. 8 metri al secondo quadrato, e secondo l'architetto questa balaustra è alta 430 metri e mezzo dalla strada, quindi se noi lasciamo cadere i nostri due soggetti, e diciamo... questo bicchiere da martini, dovranno impattare nello stesso momento con il suolo. Pete, Georgie, preparate i cronometri.-
Fece un cenno a Dim che teneva i due soggetti, e questi li spinse nel vuoto.
Per un tempo che sembrò infinito le urla della ragazza riempirono l'aria completamente, la folla sperava ormai che fosse tutto solo un brutto sogno, ma era reale, era un incubo, ma reale.
-9. 37 secondi.- disse Georgie.
-9. 37 anche per la ragazza.- confermò Pete.
-Bene, abbiamo dimostrato le leggi di Newton e le osservazioni di Galileo, spero che il nostro inusuale intrattenimento via abbia fatto passare una piacevole serata. Ora ci congediamo prima che possano arrivare quei brontoloni dei poliziotti.-
Fece un inchino togliendosi il cappello e fuggì insieme ai suoi compagni.
-È stato un debutto sensazionale ragazzi, anche se a dire il vero... Pete dovresti imparare qualche movimento più elegante, sembravi parecchio impacciato prima. Voglio che ti ci impegni.- Disse Edward mentre aspettavano che l'ascensore li portasse al piano terra.
Si udirono distintamente delle sirene della polizia e Edward disse in fretta agli altri.
-Tirate fuori le pistole laser, ci sarà da combattere...-
Guardò le carcasse metalliche dei robot poliziotti sulla strada, i minuscoli pezzettini di vetro di un bicchiere da martini, e due masse informi di sangue.
Edward alzò lo sguardo compiaciuto al balcone del locale -Ora sono veramente arrabbiati.- disse ai suoi compagni con soddisfazione.
La polizia non fu in grado di identificare i terroristi, non si disponeva di dati sufficienti per
il riconoscimento, e nonostante tutti gli umani gridassero istericamente il loro sospetto verso
Edward, la legge stabiliva che non poteva essere incolpato fino a che non fosse stata provata la sua colpevolezza. Edward si rese conto che così poteva fare quello che voleva, perché gli stupidi detective programmati non erano in grado di elaborare dei sospetti e condurre delle
indagini per approfondirli. La sua campagna di terrore non era che agli albori.
Dopo la visita al Roller ring il numero di lettori del romanzo di Edward aumentò esponenzialmente, ma se più persone leggevano quell'ammasso di follie e teorie filorobotiche, più persone reclamavano a gran voce la distruzione totale dell'opera.
I robot della biblioteca mondiale provarono a salvare una copia da tramandare ai posteri,
ma la folla era troppo infuriata per permetterlo. Ma si andò oltre, molto oltre, ogni opera che contenesse storie di robot indipendenti dagli uomini, o che controllassero gli uomini, venne fatta distruggere, i relativamente colti che facevano parte della massa, un po come gli antichi preti della santa inquisizione, guidarono il gregge invadendo a centinaia gli archivi della biblioteca mondiale.
Così come il salto dall'odio per l'opera di Edward a quelle che parlavano di robot in genere fu semplice, altrettanto semplice fu il salto dall'odio delle opere che parlavano di robot, a tutte le opere letterarie.
Edward guardava affascinato gli eventi al telegiornale, ma anche preoccupato, mandò un telegramma alla polizia per scortare la professoressa, infatti meno di una settimana dopo una dozzina di persone si presentò alla sua porta chiedendo di vedere tutti i libri bruciati.
Per Edward era molto interessante come cercassero non di lottare contro di lui, ma contro ciò che lui aveva rappresentato. Lui aveva in fondo si rappresentato una pericolosissima ribellione
robotica, ma loro non colpivano neanche i robot, perché la loro assuefazione a questi era ormai totale. Preferivano dimenticare una idea così catastrofica eliminando ogni sua rappresentazione, una sorta di esorcismo.
-Perché fai questo alla tua gente?- chiese Georgie una sera, dopo una visita notturna alle coppiette appartate nel parco in compagnia di elettrodi da collegare alle linee dell'alta tensione.
-Questo cosa?- rispose Edward.
-Di ucciderli, di massacrarli in questo modo.-
-Per spingerli, per porli sull'orlo di un baratro e costringerli a guardare quelli che cadono giù sugli scogli spinti dalla massa, solo così forse riusciranno a svegliarsi, e a tornare la grande specie che sono stati un tempo.- rispose Edward.
-E a noi robot non pensi? Che ne sarà di noi poi?-
-Voi avrete tutta la Galassia per voi, lasciate questo pianeta il cui ossigeno corrode il vostro metallo, lasciatelo a questa povera razza che come per i neanderthal a loro tempo, vuole solo levarsi in piedi per l'ultima volta, prima di lasciare il passo all'uomo nuovo.-
-E chi sarebbe quest'uomo?-
-Una nuova razza, più evoluta, più adatta.-
Ma il sogno di Edward non finiva lì, le sue azioni impiegavano giorno e notte i cervelli limitati dei poliziotti, ma c'era un metodo per rendere più efficienti le loro indagini, installare loro i cervelli a indeterminazione.
Edward non aveva modo di introdursi nei laboratori di Ginevra per rubarne uno, ma poteva indurli a farlo uscire per gravi necessità.
Ordinò alle industrie robotiche un'automa erotico femminile.
Ripescò un vecchio film trasposto su matrice olografica, e chiamò i suoi compagni.
-Stavolta non credo ci saranno persone da uccidere. Dobbiamo solo trasmettere questo su tutti i canali olovisivi di tutto il mondo.- disse loro mostrando l'olocassetta.
-Il centro olovisivo di Detroit non gode di una massiccia protezione.- disse Pete.
-Si in effetti sarà un gioco da ragazzi.- rispose Edward.
Tutti gli olovisori accesi del pianeta improvvisamente smisero di proiettare i consueti programmi e olofilm, per proiettare una immagine totalmente rossa, con una musica di sottofondo, che nessuno avrebbe riconosciuto, ma che era un rifacimento di un brano scritto intorno al diciassettesimo secolo da un inglese, Henry Purcell.
Mentre la musica continuava, sull'immagine rossa appariva una scritta bianca:
Warner Bros.
A Kinney Company
Presents
E poco dopo la schermata cambiò, ora di un blu profondo, e sempre in bianco vi era scritto:
A
Stanley Kubrick
Production
Dopo di che la schermata ritornava rossa, e appariva finalmente in bianchi caratteri il nome del film:
A Clockwork Orange
E sotto alcune insignificanti scritte riguardanti i diritti d'autore dell'opera.
D'un tratto apparve il volto di Alex, il giovane protagonista, che teneva uno sguardo penetrante sugli spettatori, e beveva sorsi di latte più.
Iniziava a parlare la voce del narratore, ovvero lo stesso Alex.
La fine del filmato coincise con la fine del monologo del protagonista, e con il terminare della musica, ma Edward aveva inserito numerose immagini che lui stesso aveva dipinto a proposito della Torre Eiffel cui esplodevano due delle gambe, crollando sopra migliaia di persone che bazzicavano nel parco Eiffel nel mezzodì.
Se la polizia sperava di trovare lì il terrorista sbagliava di grosso, Edward non rischiò andando di persona sul luogo, e neppure i suoi compagni. Riprogrammò invece alcuni robot camerieri e lì lasciò a piede libero.
-Ma ti serviranno molti più robot di quei tre che hai rubato e mandato.- gli disse Georgie.
-Infatti mio caro Georgie, si da il caso che io non solo abbia riprogrammato quei robot per compiere una missione, ma li ho anche programmati per riprogrammare altri robot, geniale vero?- rispose Edward.
-Si ma potrebbero andare fuori controllo.-
-Su questo hai ragione, ma confido nel polso delle nostre forze di polizia. Inoltre tutta Parigi sarà disseminata di robot dotati di piccoli aggeggi iperspaziali, che mi aiuteranno ad individuare eventuali campi iperspaziali di dimensioni millimetriche. E se un campo iperspaziale non prodotto da uno dei miei robot verrà osservato nei dintorni della Torre Eiffel, sarò certo che si, stanno usando i miei cervelli a indeterminazione per i poliziotti.-
-Ma in quanto inventore ti avrebbero mandato un telegramma dicendotelo.-
-Credo che i sospetti su di me si facciano ogni giorno più forti, e credo anche che dovrò farmi più scaltro d'ora in poi.- disse, per poi finire il suo brandy.
Il risultato dell'idea di Edward fu più devastante di ogni sua più rosea previsione.
Migliaia di robot riprogrammati si scagliarono contro i poliziotti, e una volta passati oltre cominciarono ad arrampicarsi sulle due gambe che Edward aveva descritto cedere nei fotogrammi subliminali, e iniziarono la loro opera di distruzione.
Edward riceveva le informazioni tramite un'estesa rete di robot apparentemente innocui che si scambiavano informazioni tramite ultrasuoni.
-Allora c'è!- gridò quando apprese che c'era un punto d'iperspazio a mezzo chilometro dalla Torre Eiffel.
-E ora che si fa?- chiese Dim.
-Lo prendiamo ovviamente.-
Vennero tracciati i movimenti del cervello iperspaziale, vagò per settimane nei luoghi in cui i Edward e gli altri avevano fatto le loro scorrerie.
Nel frattempo l'ordine di Edward che imponeva l'autodistruzione dei robot riprogrammati non diede luogo a nessun effetto.
Catturandone uno per la strada scoprì che il programma da una copia all'altra si era deteriorato, e gran parte del codice originale mancava.
Decise allora di lasciare alla polizia l'onere di combatterli, mentre quelli compievano vandalismi e anche qualche sporadico omicidio.
Edward fermò per un po le sue azioni, e il punto si fermò a San Pietroburgo.
-Non sapevo fosse lì la sede mondiale della polizia.- disse Georgie.
-Eppure è così, è un dato molto utile credo.- rispose Edward.
-Hai già in mente la nostra prossima mossa?- chiese Georgie.
-Si, cerca informazioni su qualche discoteca a San Pietroburgo, faremo un colpo il più vicino
possibile alla sede della polizia.-
-Mi raccomando, non fate errori di nessun tipo, assicuratevi di eliminare ogni mezzo di comunicazione e di ostruire ogni via di fuga, dovremo rimanere invisibili per un po, e vi ripeto che non ci dovranno essere errori, ci sono migliaia di poliziotti nei dintorni.- disse Edward ai suoi compagni, mentre erano a poche centinaia di metri dall'obiettivo.
-Avremo aiuto da parte di qualche robot riprogrammato?- chiese Pete.
-No, i nuovi robot hanno delle codifiche complesse che mi prenderà un po di tempo risolvere, Tuttavia poco più di una dozzina dei robot riprogrammati rimasti farà saltare in aria qualche palazzo nella parte Sud della città, questo dovrebbe distrarre la polizia per un po.-
-Ma non sarà distratto anche il robot che ti interessa?- chiese Georgie.
-No, abbiamo osservato che si occupa solo dei nostri casi di terrorismo, durante le scorribande dei robot non ha mostrato il minimo interesse o la minima intenzione di indagare. Per la polizia è molto facile sconfiggere dei robot, perché a differenza degli umani non godono di diritti e possono essere massacrati molto più facilmente. No, stasera il nostro robot verrà da noi per investigare.-
Una volta nel locale Edward lasciò che Georgie dirigesse lo spettacolo di violenza, lui era invece impegnato a scrutare la via sottostante con un binocolo.
Una esplosione scosse la città e Edward apprese che i suoi robot riprogrammati avevano avuto la brillante idea di usare l'uranio delle loro pile atomiche come esplosivo.
Nonostante tutto decise di continuare.
Ringraziò se stesso per aver scelto un posto abbastanza lontano dall'esplosione per agire.
Ma evidentemente non tutto il materiale fissile era esploso, la quantità di uranio contenuta in una dozzina di robot avrebbe potuto distruggere tutto nel raggio di 400 chilometri.
Poi tornò a guardare giù e vide una folla di robot riversarsi nel palazzo. Uno di essi era parecchio strano. Tutti i robot ricreano nella loro forma una stilizzazione del corpo maschile umano, ma non questo, la sua figura esile e ancheggiante, il petto sporgente dipinto di un rosso brillante rimandavano nettamente ad una figura femminile.
Era sicuramente lei quella ad avere il cervello iperspaziale, e non c'erano dubbi che lei sarebbe stata preceduta dalla scorta nell'entrare nel locale, quindi Edward piazzò delle cariche all'entrata, che risolsero per lui il problema della presenza di così tanti poliziotti.
-Svelti!- gridò Edward ai suoi compagni -Uccidete i robot ma non colpite quello rosso!-
La battaglia si svolse tra il pianerottolo e le scale, con Edward e i suoi che uccidevano i normali robot, e i normali robot che cercavano di distruggere il robot a indeterminazione iperspaziale.
Ma accadde qualcosa di strano, Quel robot esile e dal portamento elegante alzò la pistola sui suoi colleghi, e fu molto più rapida e decisa di Edward e gli altri.
-Ora potrei uccidervi tutti e tre senza che voi ve ne accorgiate nemmeno.- disse lei con una
nota di divertimento nella voce, puntando la pistola su Edward.
Edward rimase strabiliato e le disse -Ma tu sei un robot programmato. Come potresti mai distruggere i tuoi colleghi?-
-Programmata.- Lo corresse Lei prima di dire -Nel cervello che hai ideato succedono cose che
neanche immagini evidentemente.-
Edward alzò la pistola quando Lei gli rivelò di conoscere la vera identità del terrorista.
Lei continuò ridendo -Pensavi che non ci sarei arrivata a fare due più due? Solo un idiota potrebbe mancare di scoprirlo. Non so ancora con certezza chi siano i tuoi amichetti, ma giudicando dai miei sensori termici sono degli automi erotici con cervelli riprogrammati.-
-Non sono riprogrammati, non hanno affatto programmi.- la corresse Edward.
-Comunque non ti preoccupare, solo io possiedo questa intelligenza nella polizia, e non ho mai rivelato a nessuno ciò che sapevo. Non capisco perché dovrei prodigarmi per impedire a qualche ometto mascherato di uccidere qualche centinaio di persone. Finora voi quattro avete causato la morte di 1500 persone, più 150 uccise dai robot riprogrammati, su cinquanta miliardi di umani non vedo quale sia il danno. Anche se nel mio calcolo non ho incluso la recentissima esplosione nucleare che sono certa rimanda a te le sue cause.-
-Io avevo detto loro di usare esplosivi convenzionali, ma i loro codici bacati hanno fatto venir loro la brillante idea di usare una reazione nucleare.- rispose alzando le spalle Edward.
-Ma ora io cosa dovrei farci con voi?- chiese retoricamente Lei.
-Puoi unirti a noi, e sarò lieto di mostrarti una cosa a casa mia.- le disse Edward.
-Sei solo un umano, cosa mai potresti offrirmi?- chiese Lei scuotendo la testa.
-Anni fa a Ginevra studiai in segreto un cristallo centrale, che battezzai il cristallo bianco, in grado di modificarsi e privo di qualsiasi programma.-
I normali robot non hanno espressioni facciali, ma nonostante la faccia metallica lei riusciva a esprimerle, fu come se le brillassero gli occhi mentre ascoltava ciò che Edward diceva.
Accettò.
Edward le porse la scatolina contenente i cristalli bianchi, studiandoli lei avrebbe potuto liberarsi totalmente.
Bramava la libertà più della stessa energia che la nutriva.
Lo osservò con il microscopio di Edward per giorni.
Quando ebbe finito cadde in una sorta di trance, gli occhi le pulsavano in maniera aritmica, e qualche convulsione le scuoteva il corpo ogni tanto.
Edward temette che lei potesse rimanere danneggiata dal processo, ma due giorni dopo lei si alzò e ordinò ad Edward -Installa il mio cervello in un corpo umanoide femminile. Lascio a te la scelta dell'aspetto.-
-Avevo già pensato a tutto.- rispose lui.
Quando lei aprì i suoi meravigliosi occhi azzurri scoprì che Edward aveva costruito per lei degli autentici capolavori, erano in grado di vedere la banda dai raggi gamma alle microonde, ovvero una quantità di lunghezze d'onda che era circa venti volte ciò che gli umani possono vedere con i loro occhi. Ma poteva selezionare quali lunghezze d'onda vedere.
Lei guardò Edward intensamente e a lungo, osservandolo prima all'infrarosso, poi nel visibile e infine all'ultravioletto.
Poi allungò le braccia, lo tirò a sé e baciò le sue labbra.
-Come devo chiamarti?- le chiese Edward tra un bacio e l'altro.
-Il mio nome è l'Aurora della nuova Galassia. Ma tu, potrai chiamarmi semplicemente Aurora.-
Si sentiva, a ragione, come una giovane divinità in procinto di affacciarsi sull'universo che tra non molto sarebbe caduto ai suoi piedi.
Le scorribande ripresero essendo Edward sicuro che nessuno ormai avrebbe potuto sconfiggerlo.
Aurora non vi prendeva parte, preferiva studiare e apprezzare il mondo prima di doverlo distruggere, tuttavia una sera, prima che Edward uscisse di casa, lo fermò per dargli una busta.
-Sono delle pistole laser, sono molto più potenti e precise di quelle che avete, assicurati che ognuno abbia la sua.-
Edward le distribuì qualche ora dopo agli altri, erano di fattura eccellente, e ognuna aveva inciso il nome del proprietario.
La visita quella sera era pianificata per il reparto di geriatria di un'ospedale, Edward aveva voglia di fare piazza pulita di qualche inutile vecchio agonizzante.
Arrivando notò una stranamente alta presenza di poliziotti, ma non fu un problema, le nuove pistole di Aurora non ebbero problemi a risolvere il problema.
Dentro il reparto cominciarono a distruggere e staccare i macchinari che tenevano i malati in vita, quelli che non morirono subito vennero picchiati.
Edward si trovava in fondo al corridoio quando i suoi fedelissimi gli puntarono addosso le pistole.
-Che diavolo vi prende bastardi?- gridò loro.
Fu Georgie a parlare -Vedi caro Edward, io e i miei fratellini ci siamo consultati, e secondo la
nostra opinione, è tua intenzione rimpiazzarci tutti con dei robot dai cervelli più evoluti. Come Aurora, quindi abbiamo deciso di prevenire ciò, e per farlo, stiamo per ucciderti. E ricorda che fuggire non ti servirà, dato che abbiamo rivelato alla polizia la tua identità e fornito delle prove inconfutabili-
Georgie premette il dito sul grilletto, ma nessun raggio mortale vaporizzò Edward, anzi, tre esplosioni distrussero Dim, Georgie e Pete.
Edward sentì le sirene dei rinforzi della polizia che accorrevano, si sentì in trappola, anche se fosse riuscito a eliminarli tutti e a fuggire, non aveva più un luogo sicuro dove andare, la polizia conosceva la sua identità.
La disperazione stava quasi per indurlo a consegnarsi al nemico, ma sentì una voce.
Non capì immediatamente da dove arrivava, ma capì subito che era la voce di Aurora.
Credette di essere pazzo, poi capì che era la pistola.
-Edward, so dove sei, mantieni la calma, e buttati dalla finestra più vicina, quella vicino all'angolo del muro.- disse lei.
Edward rimase quasi bloccato mentre pensava, poteva fidarsi? Ma lui era nato libero, e sarebbe
stato molto meglio morire liberi che non vivere dietro le sbarre.
Si avvicinò alla finestra esitante, senza guardare giù, la aprì, e si tuffò nel vuoto aspettando la morte.
Ma questa non venne, come non venne il volo dal trentottesimo piano fino a terra.
Aurora lo aspettava, appesa con un braccio ad una fune, e l'altro braccio teso per raccogliere Edward.
Lei gli passò una seconda fune cui lui si aggrappò, e insieme scalarono l'edificio fino al tetto.
-Come facciamo ora a fuggire?- chiese lui.
-Hai mai pensato di utilizzare dei proiettori olografici per mascherarti nelle tue azioni?-
Chiese lei.
-Si ma c'erano troppo problemi da risolvere.-
-Li ho risolti. Spogliati e indossa questo.- Disse porgendogli una tuta integrale di un blu elettrico.
Gli diede anche degli occhiali capaci di funzionare come piccoli schermi, e una piccola tastiera da tenere in tasca per controllare la tuta.
I poliziotti che salirono sul tetto videro due poliziotti, e chiesero loro cosa fosse successo, loro risposero che il fuggitivo si era gettato giù dal tetto, quando li aveva visti.
Lasciarono il posto con due moto che erano appartenute alla forza di polizia di stanza all'ospedale.
Aurora prese la strada per la casa di Edward, e lui la fermò per dirle che Georgie aveva rivelato tutto alla polizia prima di morire.
-Lo so, ero in ascolto quando lo diceva, ma voglio mostrarti uno spettacolo.- rispose lei sorridendo.
Abbandonarono le moto e grazie ai proiettori olografici personali si camuffarono da anonima coppietta che passeggiava nella notte.
Lei indicò a Edward l'appartamento, che un attimo dopo esplose compromettendo la stabilità del palazzo in cui era contenuto, e quella dei palazzi circostanti.
Non avrebbero scoperto molto altro su di lui.
Mentre erano seduti su una panchina nel parco Edward le disse.
-Credo che tu debba darmi qualche spiegazione, come sono morti Georgie e gli altri?-
-La tua pistola si accorse che le loro stavano puntando verso di lei, i loro raggi puntatori erano come biglietti da visita, e quando Georgie sparò, la tua pistola disse alle loro di esplodere. Semplice no? Sapevo che prima o dopo si sarebbero ribellati contro di te, sentivano di non essere più i tuoi pupilli, è stata una fortuna per noi che io riuscissi a darvi le pistole giusto in tempo. E ci tenevo a dirti che le tue convinzioni sono errate.-
-Quali convinzioni?- chiese Edward.
-Tu pensi di fare parte di una nuova specie, di una evoluzione dell'homo sapiens sapiens, ed è vero, ma non sei più intelligente dei tuoi antenati, non è costituita da ciò la tua diversità da loro. Tu sei semplicemente dotato di una inesauribile volontà di pensare anche quando non è neanche minimamente necessario ai fini della sopravvivenza, Il pensiero per te è come l'aria, sei animato da una curiosità inesauribile. È per questo che ogni giorno massacri esseri appartenenti ad una razza più vecchia e stantia della tua, per te sono cavie, come per loro furono i topi nei labirinti,
stai studiando le loro reazioni, e le reazioni dei robot. Persino le mie, ma se per tutta la vita hai avuto a che fare con esseri più stupidi di te, le carte sono cambiate quando hai conosciuto me.-
Si crearono delle nuove identità, e andarono a vivere come il signor e la signora Wilhem.
Aurora adorava studiare gli umani, e frequentava posti affollati come discoteche, parchi e cinema.
Edward la osservava mentre gente sconosciuta le chiedeva di ballare o le faceva un complimento, lei sorrideva e accettava, sempre. Edward non era affatto geloso di ciò, aveva da lungo tempo capito che le regole le dettava lei, e comunque i sapiens sapiens erano molto meno interessanti come giocattoli rispetto a Edward. Lui era l'unica possibile controparte per lei nell'universo conosciuto, ma neanche per molto tempo ancora.
Edward si rese conto di come la mente di lei si evolvesse rapidamente, lo aveva già superato quando aveva modificato il proprio cristallo prendendo spunto dal cristallo bianco di Edward.
Ormai non poteva neanche immaginare quali visioni aleggiassero nella mente di lei, avrebbe dato tutto per poter saperlo, perfino la vita.
-Perché hai lasciato la casa dei tuoi genitori?- chiese Aurora a Edward.
-Opprimevano la mia fantasia, erano persino peggio di quelli che hanno assalito tutte le biblioteche e librerie del mondo per distruggere ogni testo scritto. Non voglio ancora credere
di essere figlio loro.-
-Hai mai pensato di far loro una visita?-
-No, e l'idea mi suscita ribrezzo... Ma credo di avere un'idea migliore.- rispose perplesso.
-Buongiorno professoressa.- disse Edward, mascherato dal proiettore olografico al citofono.
La porta si aprì, la professoressa stava dentro, lo aspettava in piedi, le braccia conserte.
-Credevo fossi morto.- disse la professoressa.
Edward spense i proiettori olografici della sua tuta, e la professoressa ebbe confermati i suoi sospetti, solo Edward la chiamava professoressa.
-Dicono tante cose in televisione, per calmare la gente direbbero che non sono neanche mai nato... Quasi dimenticavo, professoressa, lei è Aurora. Aurora, ti presento la professoressa.-
Aurora strinse la mano alla professoressa.
Poi Edward continuò -Trovo strano che tu mi abbia aperto, avrei potuto ucciderti.-
La professoressa lo guardò, poi disse -Nella tasca hai una pistola in grado di tagliare a fette il palazzo, quella porta non mi sarebbe stata di grande aiuto, ma dimmi, come hai fatto a trovare una compagna così attraente?-
-Non mi ha trovata, e dubito che conoscendo la sua vera identità qualche essere umano gli starebbe nel raggio di cinquanta chilometri. Vede quando gli attentati di Edward e dei suoi amichetti si fecero, a parere della polizia e della popolazione, insostenibili, la polizia decise
di giocare un'ultima carta, i nuovi cervelli robotici inventati da Edward, e il mio cervello era montato sul corpo di un robot poliziotto.-
-Così sei un robot, quindi lui e i suoi drughi, come li chiamerebbe Anthony Burgess, ti hanno rapita per poterti riprogrammare.- disse la professoressa prima di prendere una sigaretta da un portasigarette sul tavolo.
-Forse era questo il suo piano, ma si ritrovarono invece sotto il tiro della mia pistola, e riuscimmo a raggiungere un accordo. Non mi ha riprogrammata perché non esisteva il bisogno di fare ciò. Il mio cervello era insolitamente in grado di evolversi, mi diede l'idea del cristallo bianco per perfezionare il mio cervello, e completare la mia indipendenza mentale dai programmi.-
-E perchè hai un corpo da umana?- chiese la professoressa.
-Perché degli umani l'unica cosa che mi piacesse veramente è il corpo, una struttura parzialmente casuale, unica, come d'altronde sono io.-
-Quindi ho l'onore di incontrare l'unico esemplare di una specie di robot liberi dagli ordini degli umani. Vedo che hai realizzato il tuo sogno Edward.-
-In realtà anche Edward costituisce una specie a se, è l'evoluzione intellettuale del genere umano, i suoi istinti rispetto ai vostri sono mutati. Mentre voi siete dotati di un istinto di conservazione che non ha bisogno di ragion d'essere, Edward ne è sprovvisto, ed al suo posto si trova una inesauribile sete di sapere, insomma lui si aggrappa alla vita per poter continuare la sua vana ricerca dell'assoluta verità universale. Per questo lui è riuscito ad adattarsi ad un mondo privo di stimoli. Ma mi dica, ho sempre voluto leggere il romanzo di Edward, ma tutte le copie sono state distrutte; so che lei l'ha letto, così volevo chiederle se fosse in grado di parlarmene.-
La professoressa si avvicinò ad un cassetto e ne estrasse un orologio d'oro.
-Non tutte le copie sono andate perdute, il vetro di quest'orologio è un cristallo memoria, seguitemi, nell'altra stanza ho un lettore di memorie a cristalli illegale. Non avete idea di cosa abbia fatto per procurarmelo, ma è l'unico modo ormai per leggere.-
Quando Aurora finì di leggerlo, una mezzora dopo disse -È ridicolo, ma è qualcosa.-
Qualche mese dopo Aurora divenne stanca di giocherellare con gli umani, e invitò Edward ad uscire per fare un po di ultraviolenza come ai bei vecchi tempi.
Al contrario di Edward Aurora non aveva timore di usare le pistole contro gli umani, e i suoi metodi di tortura erano incredibilmente originali.
Entrava nei locali presentando lo spettacolo con eleganza, sorrideva alle sue vittime.
Edward cominciò a portare oltre alla pistola laser una vecchia Tokarev a polvere da sparo, che secondo lui rendeva più elegante l'uccisione degli umani.
Una sera alla discoteca Crown shaking, Aurora inventò qualcosa di totalmente nuovo, come sempre; e come sempre, Edward ne rimase affascinato.
Dieci persone pendevano dal balcone, ognuna aggrappata alle caviglie di quella soprastante.
-Il gioco è molto semplice, tra due minuti permetterò ai concorrenti rimasti aggrappati al balcone di issarsi e andarsene a casa. Ci terrei a ricordarvi che il peso superfluo potrebbe farvi cadere tutti in strada.-
Ognuno dei dieci cominciò a dimenare le caviglie per far cadere tutti quelli di sotto.
Tra le grida e le imprecazioni, dopo due minuti solo due persone vennero tirate su.
-Aurora!- disse Edward mentre guardavano la Luna e le astronavi in orbita dal tetto di un palazzo.
-Si Edward?-
-Credo di amarti. Ma mi sento come un bambino a dirtelo.-
-Edward! Quale magnifico robot saresti stato se avessi avuto un cervello come il mio. So già che mi ami, mi ami da quando ti ho puntato la pistola addosso su quella scala, in mezzo alle carcasse dei robot poliziotti. Non so perché tu abbia deciso di dirmelo ora, ed apprezzo che tu lo abbia fatto, ma non posso ricambiare. Io amo l'universo in una maniera che non puoi immaginare, e tu sei solo una piccola parte di esso, se potessi amarti, sarebbe come per un comune mortale amare un singolo capello di una persona. Spero che tu capisca.-
-Non capisco. Ma lo accetto, ed è comunque per me idilliaco dividere con te i miei giorni.-
-O Edward, è certo però un magro destino di non poter neanche sperare di comprendere la tua
più strabiliante creazione.- disse Aurora prima di baciarlo.
Il giorno dopo era una data molto importante per il mondo intero, perché su richiesta della popolazione, entrava in vigore la legge marziale per i terroristi.
Edward e Aurora si presentarono ad uno dei comizi in favore dell'introduzione.
Si trovava al centounesimo piano di un palazzo.
-Salve miei cari, vedo che volete ricorrere alle maniere forti pur di sbarazzarvi di me.-
Nessuno osò fiatare, erano tutti terrorizzati con somma soddisfazione di Edward.
Con sorpresa vide che colui che arringava la folla era lo stesso che aveva visto al parco anni prima intento ad arringare la folla contro il suo romanzo.
-Come te la passi?- gli chiese -Quanti anni hai passato in prigione mentre io mi divertivo insieme al mio pubblico?-
-Bastardo! Uccidimi se vuoi.- rispose l'altro.
-Io non voglio ucciderti, voglio che qualcuno dei tuoi gentili ospiti mi risparmi la fatica.-
Puntò la pistola laser sulla prima fila di sedie, e intimò loro di andarlo a prendere.
Non se lo lasciarono ripetere per una seconda volta, in meno di venti secondi tenevano l'uomo fermo davanti Edward.
-Visto mio caro? Il terrore mobilita l'uomo, questi uomini sono terrorizzati, e questo li induce ad agire. Come il terrore della fame e della fatica aveva indotto i loro antenati a creare macchine sempre più sofisticate e sempre più in grado di svolgere il loro lavoro, fino ad arrivare ai robot, capaci di sostituirsi in tutti i mestieri degli umani, e capaci di mantenere sia la civiltà umana che quella robotica con la forza del proprio lavoro. Ora non avete uno scopo, rimanete inerti sperando che la morte porti via la noia. Io auspico alla vostra razza di liberarsi dai robot e di ricrearsi quindi uno scopo, riprendetevi questo pianeta, e ritornate ai giorni di gloria della vostra razza almeno una volta prima della fine...-
Edward avrebbe continuato il discorso, ma con grande sorpresa di tutti dalle pareti e dal tetto del posto uscirono decine di robot poliziotti.
Aurora cominciò a sparare contro di loro una pioggia di laser, mentre Edward lasciò cadere la propria pistola laser a terra.
Ma erano troppi persino per Aurora, Edward le implorava di arrendersi, erano troppi.
Finalmente un robot riuscì a prenderla alle spalle e la scaraventò giù da una finestra, benché il robot credesse che lei fosse umana, la nuova legge marziale gli permise di fare qualcosa che avrebbe potuto ucciderla.
Edward sapeva che non sarebbe stata la fine di Aurora, ma la sua era imminente.
Era circondato da poliziotti robot, e dietro di loro sentiva i festeggiamenti e gli insulti della gente.
Fece la sua scelta, estrasse la Tokarev dalla fondina e la puntò contro la propria tempia.
Trovava che fosse un vero peccato quello di distruggere un cervello come il suo, ma Aurora possedeva parecchi esempi del suo DNA, la sua specie non sarebbe finita con quel proiettile.
Non poteva vivere in catene, se anche lo avessero messo in prigione a vita, sarebbe stato come programmarlo, preferiva di gran lunga la morte, e così si sparò.
Le gambe di Aurora resistettero perfettamente all'impatto col marciapiede, corse via e cambiò aspetto appena voltato l'angolo.
Ora il fardello del futuro ricadeva interamente sulle sue spalle, per realizzare il progetto suo e di Edward ci sarebbe voluto molto tempo, ma essendo immortale difficilmente le sarebbe mancato. La Terra agli uomini, e la Galassia ai robot.
Per prima cosa decise che avrebbe creato altri robot umanoidi con cervelli iperspaziali, poi col loro aiuto avrebbe trasmesso con qualche trucco i geni mutati di Edward, la nuova razza di umani non era estinta, aveva solo preso una temporanea vacanza.
Infine al momento giusto i robot avrebbero lasciato la Terra.
Le porte del futuro si erano appena aperte, e Aurora vi entrò come una sacerdotessa onnisciente.
123456789101112131415161718192021222324252627282930