Il lungo corridoio era illuminato dalla poca luce emessa dalle lampade appese al soffitto.
Una porta si aprì dietro alle sue spalle. Istintivamente si fermò per guardare. Ne uscì un uomo di circa quarant'anni, trasandato nel vestire e dalla barba incolta. Lo seguì alcuni istanti con lo sguardo mentre si dirigeva con passo incerto verso l'uscita.
Si rimise in cammino lungo quel corridoio scuro. Ora il suo incedere era un po' meno sicuro, il rumore cadenzato dovuto al contatto dei suoi alti tacchi con il marmo del pavimento aveva abbandonato il rigido formalismo che lo faceva assomigliare ad una marcia militare.
L'ufficio duecentotrentasei era in fondo all'androne. Dalle connessure della porta trapelava una luce molto più forte di quella a cui si era abituata.
Bussò. Non rispose nessuno. Bussò di nuovo. Entrò.
Di fronte a sé c'era un tavolo abbastanza lungo dietro il quale erano seduti due uomini che la stavano guardando in silenzio.
Ferma sull'uscio ricambiò lo sguardo in attesa di istruzioni che però non arrivavano. Vide una sedia davanti al tavolo e decise di sedersi ripensando senza capirne il motivo a quell'uomo che aveva visto prima nel corridoio.
Decise di prendere l'iniziativa, e disse che aveva ricevuto una lettera che la invitava a presentarsi a quell'ufficio quel giorno alle ore diciotto e trenta,
Gli sguardi di quei due si fermarono simultaneamente su un punto situato in alto dietro alle sue spalle. Lei si voltò per guardare. Vide un orologio fissato al muro sopra la porta. Segnava le diciotto e trentasei.
" Un piccolo ritardo." Disse loro, sentendo la necessità di scusarsi, mentre avvertiva
il calore diffondersi sulle sue guance.
Sottoposta a quelle occhiate mute e indagatrici provava un profondo disagio.
Uno dei due uomini prese in mano un foglio, lo guardò per alcuni istanti e infine lo appoggiò sul tavolo davanti a lei.
Lo prese in mano per leggerlo. Era una specie di rapporto, talmente denso di termini burocratici, sigle, abbreviazioni e richiami di leggi e regolamenti da risultare illeggibile. Stava per restituirlo quando in fondo scorse il suo nome con a fianco riportato con una scrittura manuale - crede nella realtà della vita -.
" Che cosa significa? "
" È vero? "
Quella domanda formulata in risposta alla sua le procurò una fitta al petto.
" Lei dunque crede che la vita sia reale. Perché?"
Eccola quindi di fronte al dilemma che aveva sempre voluto sfuggire, alla realtà sconvolgente di cui si narrava come fosse una leggenda. Fino ad allora aveva vissuto nell'ignoranza approfittando di quella situazione paradossale.
Doveva passare dall'apparenza della realtà alla certezza dell'illusione.
In fondo aveva sempre saputo che sarebbe successo.
In fondo aveva solo sperato che il sogno non finisse mai.